martedì 27 luglio 2004

piacevole ozio in cui riempire nuovi spazi bianchi

anche Dico e Furio, i due marmocchi della scatola, vanno in ferie. E io con loro.


Ho da leggere la bibliografia per la stesura della tesi e le ultimissime 3 materie da interiorizzare per vomitarle a settembre.


Se avete attacchi di dicotomica astinenza, ci sono gli archivi da mordicchiare, la caponata e i nuovi cortocircuiti.


Ci rileggiamo a Settembre. Buona Vita

piacevole ozio in cui riempire nuovi spazi bianchi

anche Dico e Furio, i due marmocchi della scatola, vanno in ferie. E io con loro.


Ho da leggere la bibliografia per la stesura della tesi e le ultimissime 3 materie da interiorizzare per vomitarle a settembre.


Se avete attacchi di dicotomica astinenza, ci sono gli archivi da mordicchiare, la caponata e i nuovi cortocircuiti.


Ci rileggiamo a Settembre. Buona Vita

domenica 25 luglio 2004

galassia in espansione

un nuovo sito per i dicotomici lettori.


Ci troverete ogni settimana il meglio dei dicotomici furori: www.dicotomicifurori.tk


Buona lettura

galassia in espansione

un nuovo sito per i dicotomici lettori.


Ci troverete ogni settimana il meglio dei dicotomici furori: www.dicotomicifurori.tk


Buona lettura

martedì 20 luglio 2004

l'io in costante erezione. sull'autobiografismo

Ora vi spiego perché io e il (mio) (piccolo) mondo ci amiamo come due compagni di viaggio. Iniziamo da qualche frase recentemente captata:


- tu e quelle due maledette vocali! Non sei capace di dire altro... IO, IO, IO. Non mi porti mai fuori. Tutti uguali voi uomini. Appena ve la diamo [la fiducia...?] finite di stupirci, date tutto per scontato. Poi tu sei pure peggio. Hai l'IO in costante erezione!
- io non riesco a pensare un altro modo di scrivere. Per me è una storia si dà solo tra le mie cinque vie, tra i miei due o tre bar. Non esco di lì.
- Io scriverò sul mondo e sulle sue brutture...
- quelli che parlano per metafore dovrebbero farmi uno shampoo allo scroto [da che film ho preso sta bella frase?]
- L'autoreferenzialità quasi in ogni contesto conduce al paradosso, dal mendace cretese alle proposizioni indecidibili che sfuggono alla godelizzazione... Tranne per quanto riguarda l'IO che vive e il ME che rielabora l'esperienza appena vissuta. Appena un bimbo dice "io" è entrato a buon titolo nella razza umana.


Già, parliamo di noi stessi. Sempre.
Chissà poi perché. Colpa dell'uomo del sottosuolo che ha aperto l'abisso?
Di Agostino che si "confessava" in terza persona dannandosi per un furto di pere (e facendo incavolare di brutto Nietzche che scagliò il libro lontano dai suoi baffoni)?


Ci metto la mia. nell'ultimo raccontino sulle prof. d'italiano ho aggiunto per la prima volta un'etichetta proprio sul fondo: "basato su una storia vera. la mia.".
Questa è una buona chiave ermeneutica. E magari ora l'aggiungo a tutte le mie e-mail. [fatto.]


Potete silurarmi con un "parla per te!".
Ma il mio ego in costante erezione ripete: in linea di massima le mie storie hanno 22 anni e il pisello. Perché di quello che capita già oltre la mia provincia posso avere un'idea quanto mai "a contorni sfumati". (Con una messinese che dice "surgi" per "susiti" e non sa cosa significa "pulla", come poteva funzionare?). E con le sfumature poi che belle bugie bucate posso tessere?


Ma si potrebbe distorcere, annacquare, parlare dei massimi sistemi. Teniamoci fedeli alle muse di Esiodo. Ci sono solo due strade: le cose vere e le cose simili alla verità.
Ci ho provato a monologare dietro una vagina. Mi viene male. (Dopo i canonici 270 giorni, il massimo che posso fare, è tentare di rientrarci. Come diceva il buon Woody Allen)
E poi in qualunque campo si può essere originali. Perfino nel vecchio vizio della scrittura.
Basta trovare le corde giuste.


Non c'è una pagina che non parli di me e per me.
Se sopporto pure i palermitani che in spiaggia arrivano con teglie corazzate di pasta a forno e gridano ai propri pargoli irripetibili maledizioni (A-AAAAAAA-anjilo, questa è l'ultima volta che ti porto a mare. S'un fussi ca mi devo abbronzare, ti farei iccari sangu a casa" madre chic al pupo di manco sette anni) , c'è un motivo. Finiranno presto in qualche pagina.


Forse era Tabucchi che ricordava una strana figura degli antichi villaggi. C'era qualcuno a cui si raccontavano tutti i propri peccati e poi, semplicemente, si sgozzava. Morto il confessore, si estingueva il peccato.
Stessa cosa faccio io e fanno quelli che hanno la puzzetta di autori autorizzati (beccati le minuscole, tiziano scarparo!): ascoltiamo, captiamo, acchiappiamo eventi. Nostri e di tutto il pelago. Solo che non ci sgozzano più. O almeno, non sempre.


Perché la migliore cosa me l'ha detta il mio vecchio padre confessore:
- Padre, ho messo da parte la fede che avevo quand'ero un picciriddu. Quella bella fede che non mi faceva rompere la testa sul mistero della verginità di Maria o su altri dogmi come la transustanziazione... Sono nella merda, vero?
- la merda serve a concimare.
- e questa mia fissazione di dover lasciare un segno indelebile? Una traccia... Vorrei che la mia vita fosse una bella storia. Una storia speciale.
- ogni vita è unica. Si interseca con milioni di altre, ma nessuno vivrà il tuo oggi. Nessuno guarda il tuo stesso pezzo di mondo. È un limite fisico. Quello che vedi è solo tuo.
- minchia!
- Tonino...
- scusi, ma 'sta cosa qui è meravigliosa. 


Acchiappo un mondo che si svela solo per me. E poi metabolizzo il raccolto e lo ridono ai miei fedeli lettori.
Ecco perché io e il (mio) (piccolo) mondo ci amiamo come due compagni di viaggio.

l'io in costante erezione. sull'autobiografismo

Ora vi spiego perché io e il (mio) (piccolo) mondo ci amiamo come due compagni di viaggio. Iniziamo da qualche frase recentemente captata:


- tu e quelle due maledette vocali! Non sei capace di dire altro... IO, IO, IO. Non mi porti mai fuori. Tutti uguali voi uomini. Appena ve la diamo [la fiducia...?] finite di stupirci, date tutto per scontato. Poi tu sei pure peggio. Hai l'IO in costante erezione!
- io non riesco a pensare un altro modo di scrivere. Per me è una storia si dà solo tra le mie cinque vie, tra i miei due o tre bar. Non esco di lì.
- Io scriverò sul mondo e sulle sue brutture...
- quelli che parlano per metafore dovrebbero farmi uno shampoo allo scroto [da che film ho preso sta bella frase?]
- L'autoreferenzialità quasi in ogni contesto conduce al paradosso, dal mendace cretese alle proposizioni indecidibili che sfuggono alla godelizzazione... Tranne per quanto riguarda l'IO che vive e il ME che rielabora l'esperienza appena vissuta. Appena un bimbo dice "io" è entrato a buon titolo nella razza umana.


Già, parliamo di noi stessi. Sempre.
Chissà poi perché. Colpa dell'uomo del sottosuolo che ha aperto l'abisso?
Di Agostino che si "confessava" in terza persona dannandosi per un furto di pere (e facendo incavolare di brutto Nietzche che scagliò il libro lontano dai suoi baffoni)?


Ci metto la mia. nell'ultimo raccontino sulle prof. d'italiano ho aggiunto per la prima volta un'etichetta proprio sul fondo: "basato su una storia vera. la mia.".
Questa è una buona chiave ermeneutica. E magari ora l'aggiungo a tutte le mie e-mail. [fatto.]


Potete silurarmi con un "parla per te!".
Ma il mio ego in costante erezione ripete: in linea di massima le mie storie hanno 22 anni e il pisello. Perché di quello che capita già oltre la mia provincia posso avere un'idea quanto mai "a contorni sfumati". (Con una messinese che dice "surgi" per "susiti" e non sa cosa significa "pulla", come poteva funzionare?). E con le sfumature poi che belle bugie bucate posso tessere?


Ma si potrebbe distorcere, annacquare, parlare dei massimi sistemi. Teniamoci fedeli alle muse di Esiodo. Ci sono solo due strade: le cose vere e le cose simili alla verità.
Ci ho provato a monologare dietro una vagina. Mi viene male. (Dopo i canonici 270 giorni, il massimo che posso fare, è tentare di rientrarci. Come diceva il buon Woody Allen)
E poi in qualunque campo si può essere originali. Perfino nel vecchio vizio della scrittura.
Basta trovare le corde giuste.


Non c'è una pagina che non parli di me e per me.
Se sopporto pure i palermitani che in spiaggia arrivano con teglie corazzate di pasta a forno e gridano ai propri pargoli irripetibili maledizioni (A-AAAAAAA-anjilo, questa è l'ultima volta che ti porto a mare. S'un fussi ca mi devo abbronzare, ti farei iccari sangu a casa" madre chic al pupo di manco sette anni) , c'è un motivo. Finiranno presto in qualche pagina.


Forse era Tabucchi che ricordava una strana figura degli antichi villaggi. C'era qualcuno a cui si raccontavano tutti i propri peccati e poi, semplicemente, si sgozzava. Morto il confessore, si estingueva il peccato.
Stessa cosa faccio io e fanno quelli che hanno la puzzetta di autori autorizzati (beccati le minuscole, tiziano scarparo!): ascoltiamo, captiamo, acchiappiamo eventi. Nostri e di tutto il pelago. Solo che non ci sgozzano più. O almeno, non sempre.


Perché la migliore cosa me l'ha detta il mio vecchio padre confessore:
- Padre, ho messo da parte la fede che avevo quand'ero un picciriddu. Quella bella fede che non mi faceva rompere la testa sul mistero della verginità di Maria o su altri dogmi come la transustanziazione... Sono nella merda, vero?
- la merda serve a concimare.
- e questa mia fissazione di dover lasciare un segno indelebile? Una traccia... Vorrei che la mia vita fosse una bella storia. Una storia speciale.
- ogni vita è unica. Si interseca con milioni di altre, ma nessuno vivrà il tuo oggi. Nessuno guarda il tuo stesso pezzo di mondo. È un limite fisico. Quello che vedi è solo tuo.
- minchia!
- Tonino...
- scusi, ma 'sta cosa qui è meravigliosa. 


Acchiappo un mondo che si svela solo per me. E poi metabolizzo il raccolto e lo ridono ai miei fedeli lettori.
Ecco perché io e il (mio) (piccolo) mondo ci amiamo come due compagni di viaggio.

domenica 18 luglio 2004

dicotomiche novità on line

Da oggi è on line caponata: "Questa prima raccolta di racconti, schegge e poesiole la chiamerò caponata. Sì, caponata è un nome perfetto: ingredienti diversi e colorati affogati nell'aceto. Sì, l'aspro sapore dell'aceto su tutti i dadi di melanzane e sui capperi che giocano a poker con il sedano. L'ideale per mettere alla prova i tubi digerenti di tutti i miei Fedeli e Dicotomici Lettori."


Buona lettura.

dicotomiche novità on line

Da oggi è on line caponata: "Questa prima raccolta di racconti, schegge e poesiole la chiamerò caponata. Sì, caponata è un nome perfetto: ingredienti diversi e colorati affogati nell'aceto. Sì, l'aspro sapore dell'aceto su tutti i dadi di melanzane e sui capperi che giocano a poker con il sedano. L'ideale per mettere alla prova i tubi digerenti di tutti i miei Fedeli e Dicotomici Lettori."


Buona lettura.

sabato 17 luglio 2004

come le millestelle


Era un quarto di cazzuola. Almeno secondo le immutabili gerarchie del cantiere. Veniva subito dopo la folla di mastri, mezzi mastri, cazzuole, mezze-cazzuole e manovali. Lui ci provava con tutta la sua buona volontà a far quel gioco di polso e avambraccio che segna la vera differenza tra un buon muratore e una schiappa. Per capirci, al primo affideresti la costruzione del tuo tetto, al secondo al massimo fai fare i buchi in cui infilare i tubi del cesso. Gianni accettava il suo status. S'era laureato qualche settimana prima con una tesi su Benjamin ed era finito lì, in uno dei cantieri di un suo zio imprenditore per racimolare gli euro necessari per farsi un interrail o almeno un viaggetto decente per ricaricare le pile prima del dottorato. La sua prof. del liceo era venuta alla proclamazione. Aveva applaudito e pianto per il 110 senza infamia e senza lode del suo quasi-figlio. Solo che, per non smentire la sua etichetta di simpatica e preparatissima svampita, s'era dimenticata il regalo a casa. Per rimediare la prof. aveva deciso di portargli quella borsa di pelle lucida e imbottita di libri al cantiere. E s'era presentata vestita di un bel tailleur di lino nero. Gianni l'aveva accolta con un abbraccio bello e vero che le aveva fatto diventare il vestito di un grigio sbiadito. La prof. aveva sorriso e ricambiato.



I manovali avevano assistito a quell'incontro strappalacrime prolungando la pausa caffè di una buona mezz'ora.


Gianni e la prof. erano andati a prendere una granita al limone affogata nel thè nel migliore caffè di Palermo. Erano seduti lì, Gianni che succhiava thè e granita da una cannuccia che s'attuppava ogni due sorsate e la prof. che sorrideva felice. Aveva qualcosa da dire al suo quasi-figlio, si vedeva che era qualcosa d'importante. E Gianni aveva digitato sul suo cellulare un esseemmeesse per il numero dello zio. Lo zio aveva risposto quasi subito: aveva il resto della giornata libera e venti euro in meno a fine settimana. Quello che aveva da dire la prof. li valeva tutti.

- gianni, lo sai che ti voglio bene quanto e più di un figlio. E tra noi non ci sono stati mai peli sulla lingua. Quando ti dovevo smorzare quel tuo sarcasmo da citrullo te l'ho detto chiaro e tondo...-




- già, e m'ha messo pure 10- in ogni tema. Diceva che erano perfetti ma che il 10 avrebbe fatto lievitare il mio già smisurato ego.




- eh già, avrai pensato che ero pazza. Ma serviva soprattutto a te. Tu scrivi bene. Parli anche meglio ma ti senti, scusa l'espressione, un cazzo e mezzo.




- professoressa...




- eh dai che lo sai... lo sai e lo sei. non ci puoi fare niente. Io ti dicevo di frenare e tu mi rispondevi che in salita si accelera. E io non avevo altro da dirti. Mi hai pure presentato tutte le donne che ti hanno accompagnato per almeno un pezzo di strada, ricordi?




- sì, a lei le presentavo volentieri. Ai miei genitori manco ammazzato. Passare una serata con lei e con la mia zita del momento mi piaceva. E poi volevo la sua "benedizione".




- e io te la davo. Soprattutto perché sceglievi donne con abbastanza cervello. Le ochette le lasciavi agli altri.




- e dov'è la novità? Ogni dannata volta faccio sempre la stessa cosa. La scelgo intelligente e bella e poi finisce sempre a schifiu... mai una volta che riesca a durare per più di sei mesi. È una condanna.




- no, è la vita. La vita che ti scegli tu, giorno dopo giorno. Ti ricordi Lisa?




- sì, eravamo nella stessa classe all'ultimo anno di Liceo. Lei era arrivata verso novembre, un tipo simpatico...




- non fare lo gnorri. Sarò vecchia, mica citrulla. Lo sapevo che stavate assieme. L'ho capito la prima volta che vi ho interrogati insieme. Eravate i migliori e cercavate di primeggiare anche fra voi due. Che spasso interrogarvi! Vi azzoppavate con la lealtà di due vecchi cavalieri. Eravate perfetti.




- E' finita una vita fa. Mi ha mollato lei, per un altro.


Arrivò il fiotto dei ricordi, i capelli di Gianni erano di nuovo lunghi e c'era di nuovo la vecchia vespa e Lisa dietro di lui. L'estate del diploma era volata via presto. Neanche il tempo di godersela, era finita con loro due che s'erano salutati facendo l'amore sulla spiaggia, di notte. Con la luna che sembrava capire tutto e sorridere. Poi lei era ripartita per il nord, seguendo gli spostamenti del padre. E lui era rimasto lì, come un'acciuga sotto sale. Lui le aveva telefonato tutte le sere, poi sempre un po’ meno spesso, sempre di meno. Sino a quando lui aveva deciso di andarla a trovare a Milano e lei gli aveva detto di restarsene a casa. Era stata una telefonata di neve e silenzio. Un ghiaccio polare era calato e Gianni aveva riattaccato. Però prima di farlo aveva fatto la domanda più stupida e più complicata del mondo: perché? Capire la fine di una storia d'amore è pura follia. Si spengono presto gli amori, come le millestelle che ti mettono in mano quando sei piccolo. Fanno una fiammata luminosa e poi pian piano ritornano ad essere solo una bacchetta grigia, oramai senza più magia. Però con Lisa era diverso. Lui già sognava la loro vita futura. Si vedeva con la barba lunga - pensava sempre che se la sarebbe fatta crescere per darsi un certo tono - e soprattutto si vedeva con lei, ancora innamorati e abbracciati con una dozzina di marmocchi per casa e almeno quattro cani. Poi lei aveva preso i suoi sogni e li aveva strozzati. Così, senza cattiveria. Senza rabbia, senza rancore. Era finita tiepidamente. Era quella la cosa che mandava su tutte le furie Gianni. I tiepidi li avrebbe smolecolarizzati tutti, dal primo all'ultimo. A lui piaceva la gente che ha le palle per lottare in quello in cui crede, per qualunque cosa che dia senso a un'intera vita. Poteva essere il buco dell'ozono, le emorroidi del papa o la campagna per eliminare la pubblicità nei Simpson. Qualunque cosa. E questo Lisa lo sapeva bene.


I capelli erano di nuovo rasati e, invece della peluria sottile, sulla faccia di Gianni c'era un barbone ingrigito dagli schizzi di cemento. La prof. stava bevendo l'ultimo sorso del suo thè. Gianni s'accese una lucky strike e stette in silenzio, il peso dei ricordi l'aveva spiazzato. Come sempre.




- Lisa è tornata. Mi è venuta a cercare. E' ancora più bella, come li chiamavi i suoi occhi? Occhi di cielo? Già, sono splendidi. E' tornata per restare qui, a Palermo.




- mi fa piacere. Se la incoccio per strada, cambio marciapiede. Professoressa, mi dica la verità... Che dovrei fare, andare a casa sua e vedere che sta bene? Che la sua vita senza di me è stata splendida? Lo so, l'ho sempre saputo. A lei la gloria e gli onori e a me una laurea in filosofia. Il mondo va così. Lei ha sempre avuto tutto, le bastava sfoderare il suo sorriso aprimondi. Io pure per farmi un viaggio deve spaccare balatoni e carriare quacina e cemento. C'est la vie! Le battaglie coi mulini a vento le ho finite dieci chili fa.




- Sei sempre stato un amabile citrullo. E secondo te io venivo sino al cantiere solo per darti il regalo? Io lo so che lei è la donna della tua vita. Certe cose le prof. d'italiano le sentono. Vi siete perduti? E allora? E poi con che faccia vuoi farmi credere che lei è storia vecchia? Appena ti ho detto "lisa" sei schizzato nell'iperuranio. Sei stato venti minuti buoni a rimasticare il passato e sorridevi. Già, sorridevi.




- stavo fantasticando su quella svedese che è passata di qua...




- Giannuzzo, mi vuoi prendere in giro? Io quello che dovevo dirti, l'ho detto. Questo è il suo indirizzo, l'ho scritto in questo pezzo di carta. Te lo lascio qui. Sta  a te decidere. Solo a te.


La prof. gli accarezza la testa e si alza. Sparisce verso la cassa. Gianni sta lì, con un'altra sigaretta che gli penzola triste tra le labbra. Di quel foglio ha paura. Paura che rivedere Lisa gli mandi all'aria tutta quella serenità che ha faticosamente raggranellato. Accarezza il foglio. Lo scansa come se fosse elettrificato. Sta per una buona mezz'ora a contemplare i leoni di pietra che sorvegliano il Massimo. Poi arriva il cameriere, per liberare il tavolo. Ha già preso il foglio e lo sta per gettare nel cestino.



 scusi, quello no. Su quel foglio c'è una speranza.



 cosa?


Gianni riacchiappa il foglietto e lascia il cameriere in preda ai suoi dubbi. Come dicevano in quel film? "La speranza è una cosa buona. La migliore."




Gianni spera e sperando, sorride.  



come le millestelle


Era un quarto di cazzuola. Almeno secondo le immutabili gerarchie del cantiere. Veniva subito dopo la folla di mastri, mezzi mastri, cazzuole, mezze-cazzuole e manovali. Lui ci provava con tutta la sua buona volontà a far quel gioco di polso e avambraccio che segna la vera differenza tra un buon muratore e una schiappa. Per capirci, al primo affideresti la costruzione del tuo tetto, al secondo al massimo fai fare i buchi in cui infilare i tubi del cesso. Gianni accettava il suo status. S'era laureato qualche settimana prima con una tesi su Benjamin ed era finito lì, in uno dei cantieri di un suo zio imprenditore per racimolare gli euro necessari per farsi un interrail o almeno un viaggetto decente per ricaricare le pile prima del dottorato. La sua prof. del liceo era venuta alla proclamazione. Aveva applaudito e pianto per il 110 senza infamia e senza lode del suo quasi-figlio. Solo che, per non smentire la sua etichetta di simpatica e preparatissima svampita, s'era dimenticata il regalo a casa. Per rimediare la prof. aveva deciso di portargli quella borsa di pelle lucida e imbottita di libri al cantiere. E s'era presentata vestita di un bel tailleur di lino nero. Gianni l'aveva accolta con un abbraccio bello e vero che le aveva fatto diventare il vestito di un grigio sbiadito. La prof. aveva sorriso e ricambiato.



I manovali avevano assistito a quell'incontro strappalacrime prolungando la pausa caffè di una buona mezz'ora.


Gianni e la prof. erano andati a prendere una granita al limone affogata nel thè nel migliore caffè di Palermo. Erano seduti lì, Gianni che succhiava thè e granita da una cannuccia che s'attuppava ogni due sorsate e la prof. che sorrideva felice. Aveva qualcosa da dire al suo quasi-figlio, si vedeva che era qualcosa d'importante. E Gianni aveva digitato sul suo cellulare un esseemmeesse per il numero dello zio. Lo zio aveva risposto quasi subito: aveva il resto della giornata libera e venti euro in meno a fine settimana. Quello che aveva da dire la prof. li valeva tutti.

- gianni, lo sai che ti voglio bene quanto e più di un figlio. E tra noi non ci sono stati mai peli sulla lingua. Quando ti dovevo smorzare quel tuo sarcasmo da citrullo te l'ho detto chiaro e tondo...-




- già, e m'ha messo pure 10- in ogni tema. Diceva che erano perfetti ma che il 10 avrebbe fatto lievitare il mio già smisurato ego.




- eh già, avrai pensato che ero pazza. Ma serviva soprattutto a te. Tu scrivi bene. Parli anche meglio ma ti senti, scusa l'espressione, un cazzo e mezzo.




- professoressa...




- eh dai che lo sai... lo sai e lo sei. non ci puoi fare niente. Io ti dicevo di frenare e tu mi rispondevi che in salita si accelera. E io non avevo altro da dirti. Mi hai pure presentato tutte le donne che ti hanno accompagnato per almeno un pezzo di strada, ricordi?




- sì, a lei le presentavo volentieri. Ai miei genitori manco ammazzato. Passare una serata con lei e con la mia zita del momento mi piaceva. E poi volevo la sua "benedizione".




- e io te la davo. Soprattutto perché sceglievi donne con abbastanza cervello. Le ochette le lasciavi agli altri.




- e dov'è la novità? Ogni dannata volta faccio sempre la stessa cosa. La scelgo intelligente e bella e poi finisce sempre a schifiu... mai una volta che riesca a durare per più di sei mesi. È una condanna.




- no, è la vita. La vita che ti scegli tu, giorno dopo giorno. Ti ricordi Lisa?




- sì, eravamo nella stessa classe all'ultimo anno di Liceo. Lei era arrivata verso novembre, un tipo simpatico...




- non fare lo gnorri. Sarò vecchia, mica citrulla. Lo sapevo che stavate assieme. L'ho capito la prima volta che vi ho interrogati insieme. Eravate i migliori e cercavate di primeggiare anche fra voi due. Che spasso interrogarvi! Vi azzoppavate con la lealtà di due vecchi cavalieri. Eravate perfetti.




- E' finita una vita fa. Mi ha mollato lei, per un altro.


Arrivò il fiotto dei ricordi, i capelli di Gianni erano di nuovo lunghi e c'era di nuovo la vecchia vespa e Lisa dietro di lui. L'estate del diploma era volata via presto. Neanche il tempo di godersela, era finita con loro due che s'erano salutati facendo l'amore sulla spiaggia, di notte. Con la luna che sembrava capire tutto e sorridere. Poi lei era ripartita per il nord, seguendo gli spostamenti del padre. E lui era rimasto lì, come un'acciuga sotto sale. Lui le aveva telefonato tutte le sere, poi sempre un po’ meno spesso, sempre di meno. Sino a quando lui aveva deciso di andarla a trovare a Milano e lei gli aveva detto di restarsene a casa. Era stata una telefonata di neve e silenzio. Un ghiaccio polare era calato e Gianni aveva riattaccato. Però prima di farlo aveva fatto la domanda più stupida e più complicata del mondo: perché? Capire la fine di una storia d'amore è pura follia. Si spengono presto gli amori, come le millestelle che ti mettono in mano quando sei piccolo. Fanno una fiammata luminosa e poi pian piano ritornano ad essere solo una bacchetta grigia, oramai senza più magia. Però con Lisa era diverso. Lui già sognava la loro vita futura. Si vedeva con la barba lunga - pensava sempre che se la sarebbe fatta crescere per darsi un certo tono - e soprattutto si vedeva con lei, ancora innamorati e abbracciati con una dozzina di marmocchi per casa e almeno quattro cani. Poi lei aveva preso i suoi sogni e li aveva strozzati. Così, senza cattiveria. Senza rabbia, senza rancore. Era finita tiepidamente. Era quella la cosa che mandava su tutte le furie Gianni. I tiepidi li avrebbe smolecolarizzati tutti, dal primo all'ultimo. A lui piaceva la gente che ha le palle per lottare in quello in cui crede, per qualunque cosa che dia senso a un'intera vita. Poteva essere il buco dell'ozono, le emorroidi del papa o la campagna per eliminare la pubblicità nei Simpson. Qualunque cosa. E questo Lisa lo sapeva bene.


I capelli erano di nuovo rasati e, invece della peluria sottile, sulla faccia di Gianni c'era un barbone ingrigito dagli schizzi di cemento. La prof. stava bevendo l'ultimo sorso del suo thè. Gianni s'accese una lucky strike e stette in silenzio, il peso dei ricordi l'aveva spiazzato. Come sempre.




- Lisa è tornata. Mi è venuta a cercare. E' ancora più bella, come li chiamavi i suoi occhi? Occhi di cielo? Già, sono splendidi. E' tornata per restare qui, a Palermo.




- mi fa piacere. Se la incoccio per strada, cambio marciapiede. Professoressa, mi dica la verità... Che dovrei fare, andare a casa sua e vedere che sta bene? Che la sua vita senza di me è stata splendida? Lo so, l'ho sempre saputo. A lei la gloria e gli onori e a me una laurea in filosofia. Il mondo va così. Lei ha sempre avuto tutto, le bastava sfoderare il suo sorriso aprimondi. Io pure per farmi un viaggio deve spaccare balatoni e carriare quacina e cemento. C'est la vie! Le battaglie coi mulini a vento le ho finite dieci chili fa.




- Sei sempre stato un amabile citrullo. E secondo te io venivo sino al cantiere solo per darti il regalo? Io lo so che lei è la donna della tua vita. Certe cose le prof. d'italiano le sentono. Vi siete perduti? E allora? E poi con che faccia vuoi farmi credere che lei è storia vecchia? Appena ti ho detto "lisa" sei schizzato nell'iperuranio. Sei stato venti minuti buoni a rimasticare il passato e sorridevi. Già, sorridevi.




- stavo fantasticando su quella svedese che è passata di qua...




- Giannuzzo, mi vuoi prendere in giro? Io quello che dovevo dirti, l'ho detto. Questo è il suo indirizzo, l'ho scritto in questo pezzo di carta. Te lo lascio qui. Sta  a te decidere. Solo a te.


La prof. gli accarezza la testa e si alza. Sparisce verso la cassa. Gianni sta lì, con un'altra sigaretta che gli penzola triste tra le labbra. Di quel foglio ha paura. Paura che rivedere Lisa gli mandi all'aria tutta quella serenità che ha faticosamente raggranellato. Accarezza il foglio. Lo scansa come se fosse elettrificato. Sta per una buona mezz'ora a contemplare i leoni di pietra che sorvegliano il Massimo. Poi arriva il cameriere, per liberare il tavolo. Ha già preso il foglio e lo sta per gettare nel cestino.



 scusi, quello no. Su quel foglio c'è una speranza.



 cosa?


Gianni riacchiappa il foglietto e lascia il cameriere in preda ai suoi dubbi. Come dicevano in quel film? "La speranza è una cosa buona. La migliore."




Gianni spera e sperando, sorride.  



venerdì 16 luglio 2004

posti dove la storia si accumula

Per anni ho schivato la mia sicilianità.
Non so perché.
I primi racconti e scarabocchi parlavano del dottor Sgollek (il nome dei cereali al contrario) che era stato radiato dall'albo degli scienziati perché aveva cercato di costruirsi un figlio con pezzi di romanzi.
Avevo letto e riletto Frankenstein e i gialli di mia madre, mi sembrava logico che tutti i miei personaggi spuntassero sotto i tasti della lettera 22 con un cognome americano e finissero a schivar pallottole vaganti nei tuguri del bronx. Poi l'epifania con Camilleri e Montalbano. Mi piaceva leggere di personaggi "russi di pilu e di pinsiero" e che "taliavano" gli orologi.
Cominciai a sentirmi monco. Avevo scritto con mezza testa e mezzo cuore lasciando l'eredità della mia terra triangolare fuori dalla pagina. Iniziai infilandoci parole siciliane che non riuscivo a rendere in italiano. Pruvulazzo. Cannavazzu, Filietto ru fangu, taliare e ritaliare... E poi ho continuato. Perché  si scrive solo di ciò che si conosce. Ecco perché la stragrande maggioranza dei dicotomici personaggi ha 22 anni e il pisello. Mi viene naturale parlare del mio mondo. Scrivere mi serve a questo, ripeto: a salvare i miei kairoi, i miei eventi.


Bagheria è il mio sfondo ideale, prima o poi troverò un nome per una città che sia solo mia. Sarà lei, la piccola Bagheria trasfigurata. Come la Vigata di Montalbano o il villaggio di Macondo. Mia, solo mia. E ci sarà la vecchia strada fatta di curve e bestemmie e sgracchiate dei vecchi che fanno avanti e indietro sulla piazza principale. Ci sarà Pippo, l'edicolante che conosce i gusti letterari di tutti e riesce a far lievitare il conto dai 90 centesimi del quotidiano a più di 20 e rotti euro. Ci sarà il fruttivendolo che inneggia al ciavuru della cucuzza cantando i vecchi stornelli dei carettieri... Oh bedda ca ti vitti allu culleggiu e mi facisti veniri u curaggiu, acchianu carricatu e scinnu leggiu... E poi continua cambiando ritmo, ripescando i canti di Rosa Balistreri: l'aciduzzu ri me cumpari senza pinne e senza ali si pusò supra a scagghiola, a testa rintra e l'ali ri fora...


Giusto 12 anni fa hanno cancellato Paolo Borsellino. Io avevo 10 anni e un solo ricordo. Le rare volte che ci arrischiavamo ad attardarci nella bella sera di Palermo, mia madre diceva a mio padre di accelerare. Era l'ora dell'implicito coprifuoco.
Perché qua è andata così, allo Stato assente si è preferito una rete di favori e nepotismi tra vecchie coppole e gerani.


Ho sempre pensato una cosa: nei negozietti di souvenir c'è sempre "a mafiusa" con le zizze di terracotta di fuori e la lupara sotto la sottana. A questa matrioska siciliana aggiungono dei cartelli con una certa filosofia di vita. "Il serpente che muzzicò mia suocera morì avvelenato", e poi il classico: "si tutti i curnuti purtassero un lampione in testa, minchia che illuminazione!".


Chissà perché io ho sempre pensato a quest'ultimo trasponendolo: se ci fosse una lumino, un mozzicone di candela acceso in ogni luogo in cui hanno ammazzato qualcuno negli anni della grande guerra di mafia, minchia che illuminazione! Invece si è preferito rimuovere. La memoria pesa. Meglio ingoiare la pace del papavero e tirare avanti. Ci sarà sempre un nonno che insegnerà al nipote come si sbuccia un fico d'india senza spinarsi le mani, tanto basta.
E poi, semplicemente, ci sarà un 22enne che studia filosofia e si fa portare a passaggio dalla sua cagnolona:


Prima delle benefica arrifriscata nessuno s'arrischia a mettere fuori l'alluce, solo lui che si fa portare a passeggio dalla sua cagnolona. Gli scolano i sudori, le ascelle piangono ma lui continua, passo dopo passo con i bermuda inzuppati e i sandali appiccicosi. L'asfalto alita e all'orizzonte le auto vibrano nell'aria del pomeriggio con le case che sono chiuse a tenuta stagna, non deve uscire nemmeno un pò dell'aria scoreggiata dai condizionatori. Camus scriveva che basta poco per conoscere una città: "cercare come vi si lavora, come vi si ama e come vi si muore". A Bagheria le cose sono ancora più facili, si fa tutto allo stesso modo: con calma, senza premura. Si sa già che il ponte se lo terranno tra i progetti da snocciolare a ogni campagna elettorale, va così dai tempi di Federico II, quello sì che aveva capito tutto della Sicilia. La Scuola Siciliana era il migliore contributo che le tre punte dell'isola potessero regalare al mondo: dateci soltanto sole, mare e spunti per continuare a poetare.
Continua a camminare e suda, attaccato al guinzaglio, ripensa a quanto è bella Palermo la sera, tra i binari arrugginiti ad aspettare il treno che è ancora, per fortuna, lontano.
Le saracinesche sono tutte calate con i cartelli che ricordano che ad agosto si pratica l'orario unico, dalle 9 alle 13, senza eccezioni. Restano solo le macchinette dei tabaccai a sputare le assassine bianche e arancioni.
Il ragazzo cammina con i suoi dubbi arancioni in testa, livellando i marciapiedi.


Il Corso Principale lo porta sotto i salici di Piazza Garibaldi tra i bagheresi che ricordano degli americani le barrette di cioccolata e le camel, quelle buone, senza filtro in quell'estate del '43. Loro passano così i pomeriggi, seduti sui muretti grigi e sbrecciati delle aiuole comunali. Appoggiano le chiappe sui giornali passati o su pezzi di cartone, i più attrezzati si portano dietro un cuscino infilato in una busta della SMA. Parlano, ridono con in bocca dentiere che finiranno di pagare tra 4 anni. Arriva pure il reduce che si è perso le gambe su una mina inesplosa, non lo ammetterà mai ma inneggia ancora alla Buon'Anima e rimpiange la colonia estiva dove spediva i troppi figli che la moglie continuava a sfornare. Cammina il ragazzo, cammina dietro il cane, cammina attaccato al guinzaglio come se fosse un bambino che tiene la coda di un aquilone, qui si chiamano draghi volanti e si sono estinti, si vedono volare solo quelli dei cinesi nelle mattinate di vento lungo il bagnasciuga del Foro Umberto I nella bella Palermo. Nessun bambino se lo costruisce più facendo croci di bambù. Dicono che prima si passeggiasse sino alle prime ore dell'alba ora già alle 8 e mezza di sera nessuno più si arrischia a scendere in strada, sembra una città fantasma ma è un'impressione falsa come una banconota da tre euro. C'è troppo rispetto per i fantasmi e per le lumìe, questo è il vero motivo. I vivi dividono la città con i loro morti e lo fanno con equità: appena scende la notte tocca ai defunti passeggiare tra le ville del Settecento che tanto piacquero a Goethe. Sono morti tutti in una delle tante guerre di mafia, si sono beccati il loro colpo di livella e ora passeggiano vicino assassini e assassinati, nessun vivo si arrischia a uscire nell'ora dei morti, brucia ancora il ricordo di tutti quei colpi di beretta e quel gesto diventato troppo presto un'abitudine: al primo sparo toccava alla madre calare piano piano la serranda, accostare le tende e alzare il volume della radio e del televisore.
Cammina ancora il ragazzo, si passa un kleenex sulla fronte e pensa con quanta facilità si cambi bandiera sotto il sole di Sicilia, sì, ci si abitua a tutto qui, si cambia presto l'adesivo sull'auto a tempo d'elezioni come nell'URSS ci si spicciava a sostituire le facce sui muri a seconda delle decisioni del Politburo. Passeggia il ragazzo, passeggia sulla voglia di lavoro, sui posteggiatori abusivi che giurano che t'hanno taliato e ritaliato la macchina come se fosse "cosa loro".
I cani ci somigliano: dormono e mangiano senza pensare alla maledetta e amatissima Sicilia. Qui impari a sbucciare i fichi d'india a sei anni e subito dopo impari pure che devi accettare quello che il cielo ti regala, senza romperti la testa perché, si sa, domani andrà meglio. Lì quegli onorevoli cornuti si ricorderanno anche di noi e alle prossime elezioni - è cosa sicurissima - sale pure un mio cugino di quarto grado - è cosa arcisicura - mi sistemo pure io.
Te lo dicono e ci credono con la puzza di gerani che ci tiene compagnia e scaccia, dicono, gli scavagghi.


Cammina il ragazzo e pensa: "Sono venuti gli arabi e i normanni, gli svevi e gli aragonesi, i tedeschi e gli americani e siamo ancora qui a ricordare quanto ci piace questa terra dove nessuno compra i limoni e il sale. Basta poco, anche qualche caddozzo di sasizza alla Festa dell'unità e qualche litro di vino per ritrovare quella bella sensazione dei tuoi sette anni. Sì, quando giri un secchiello di sabbia bagnata e diventi re e imperatore di una terra che vedi solo tu".

posti dove la storia si accumula

Per anni ho schivato la mia sicilianità.
Non so perché.
I primi racconti e scarabocchi parlavano del dottor Sgollek (il nome dei cereali al contrario) che era stato radiato dall'albo degli scienziati perché aveva cercato di costruirsi un figlio con pezzi di romanzi.
Avevo letto e riletto Frankenstein e i gialli di mia madre, mi sembrava logico che tutti i miei personaggi spuntassero sotto i tasti della lettera 22 con un cognome americano e finissero a schivar pallottole vaganti nei tuguri del bronx. Poi l'epifania con Camilleri e Montalbano. Mi piaceva leggere di personaggi "russi di pilu e di pinsiero" e che "taliavano" gli orologi.
Cominciai a sentirmi monco. Avevo scritto con mezza testa e mezzo cuore lasciando l'eredità della mia terra triangolare fuori dalla pagina. Iniziai infilandoci parole siciliane che non riuscivo a rendere in italiano. Pruvulazzo. Cannavazzu, Filietto ru fangu, taliare e ritaliare... E poi ho continuato. Perché  si scrive solo di ciò che si conosce. Ecco perché la stragrande maggioranza dei dicotomici personaggi ha 22 anni e il pisello. Mi viene naturale parlare del mio mondo. Scrivere mi serve a questo, ripeto: a salvare i miei kairoi, i miei eventi.


Bagheria è il mio sfondo ideale, prima o poi troverò un nome per una città che sia solo mia. Sarà lei, la piccola Bagheria trasfigurata. Come la Vigata di Montalbano o il villaggio di Macondo. Mia, solo mia. E ci sarà la vecchia strada fatta di curve e bestemmie e sgracchiate dei vecchi che fanno avanti e indietro sulla piazza principale. Ci sarà Pippo, l'edicolante che conosce i gusti letterari di tutti e riesce a far lievitare il conto dai 90 centesimi del quotidiano a più di 20 e rotti euro. Ci sarà il fruttivendolo che inneggia al ciavuru della cucuzza cantando i vecchi stornelli dei carettieri... Oh bedda ca ti vitti allu culleggiu e mi facisti veniri u curaggiu, acchianu carricatu e scinnu leggiu... E poi continua cambiando ritmo, ripescando i canti di Rosa Balistreri: l'aciduzzu ri me cumpari senza pinne e senza ali si pusò supra a scagghiola, a testa rintra e l'ali ri fora...


Giusto 12 anni fa hanno cancellato Paolo Borsellino. Io avevo 10 anni e un solo ricordo. Le rare volte che ci arrischiavamo ad attardarci nella bella sera di Palermo, mia madre diceva a mio padre di accelerare. Era l'ora dell'implicito coprifuoco.
Perché qua è andata così, allo Stato assente si è preferito una rete di favori e nepotismi tra vecchie coppole e gerani.


Ho sempre pensato una cosa: nei negozietti di souvenir c'è sempre "a mafiusa" con le zizze di terracotta di fuori e la lupara sotto la sottana. A questa matrioska siciliana aggiungono dei cartelli con una certa filosofia di vita. "Il serpente che muzzicò mia suocera morì avvelenato", e poi il classico: "si tutti i curnuti purtassero un lampione in testa, minchia che illuminazione!".


Chissà perché io ho sempre pensato a quest'ultimo trasponendolo: se ci fosse una lumino, un mozzicone di candela acceso in ogni luogo in cui hanno ammazzato qualcuno negli anni della grande guerra di mafia, minchia che illuminazione! Invece si è preferito rimuovere. La memoria pesa. Meglio ingoiare la pace del papavero e tirare avanti. Ci sarà sempre un nonno che insegnerà al nipote come si sbuccia un fico d'india senza spinarsi le mani, tanto basta.
E poi, semplicemente, ci sarà un 22enne che studia filosofia e si fa portare a passaggio dalla sua cagnolona:


Prima delle benefica arrifriscata nessuno s'arrischia a mettere fuori l'alluce, solo lui che si fa portare a passeggio dalla sua cagnolona. Gli scolano i sudori, le ascelle piangono ma lui continua, passo dopo passo con i bermuda inzuppati e i sandali appiccicosi. L'asfalto alita e all'orizzonte le auto vibrano nell'aria del pomeriggio con le case che sono chiuse a tenuta stagna, non deve uscire nemmeno un pò dell'aria scoreggiata dai condizionatori. Camus scriveva che basta poco per conoscere una città: "cercare come vi si lavora, come vi si ama e come vi si muore". A Bagheria le cose sono ancora più facili, si fa tutto allo stesso modo: con calma, senza premura. Si sa già che il ponte se lo terranno tra i progetti da snocciolare a ogni campagna elettorale, va così dai tempi di Federico II, quello sì che aveva capito tutto della Sicilia. La Scuola Siciliana era il migliore contributo che le tre punte dell'isola potessero regalare al mondo: dateci soltanto sole, mare e spunti per continuare a poetare.
Continua a camminare e suda, attaccato al guinzaglio, ripensa a quanto è bella Palermo la sera, tra i binari arrugginiti ad aspettare il treno che è ancora, per fortuna, lontano.
Le saracinesche sono tutte calate con i cartelli che ricordano che ad agosto si pratica l'orario unico, dalle 9 alle 13, senza eccezioni. Restano solo le macchinette dei tabaccai a sputare le assassine bianche e arancioni.
Il ragazzo cammina con i suoi dubbi arancioni in testa, livellando i marciapiedi.


Il Corso Principale lo porta sotto i salici di Piazza Garibaldi tra i bagheresi che ricordano degli americani le barrette di cioccolata e le camel, quelle buone, senza filtro in quell'estate del '43. Loro passano così i pomeriggi, seduti sui muretti grigi e sbrecciati delle aiuole comunali. Appoggiano le chiappe sui giornali passati o su pezzi di cartone, i più attrezzati si portano dietro un cuscino infilato in una busta della SMA. Parlano, ridono con in bocca dentiere che finiranno di pagare tra 4 anni. Arriva pure il reduce che si è perso le gambe su una mina inesplosa, non lo ammetterà mai ma inneggia ancora alla Buon'Anima e rimpiange la colonia estiva dove spediva i troppi figli che la moglie continuava a sfornare. Cammina il ragazzo, cammina dietro il cane, cammina attaccato al guinzaglio come se fosse un bambino che tiene la coda di un aquilone, qui si chiamano draghi volanti e si sono estinti, si vedono volare solo quelli dei cinesi nelle mattinate di vento lungo il bagnasciuga del Foro Umberto I nella bella Palermo. Nessun bambino se lo costruisce più facendo croci di bambù. Dicono che prima si passeggiasse sino alle prime ore dell'alba ora già alle 8 e mezza di sera nessuno più si arrischia a scendere in strada, sembra una città fantasma ma è un'impressione falsa come una banconota da tre euro. C'è troppo rispetto per i fantasmi e per le lumìe, questo è il vero motivo. I vivi dividono la città con i loro morti e lo fanno con equità: appena scende la notte tocca ai defunti passeggiare tra le ville del Settecento che tanto piacquero a Goethe. Sono morti tutti in una delle tante guerre di mafia, si sono beccati il loro colpo di livella e ora passeggiano vicino assassini e assassinati, nessun vivo si arrischia a uscire nell'ora dei morti, brucia ancora il ricordo di tutti quei colpi di beretta e quel gesto diventato troppo presto un'abitudine: al primo sparo toccava alla madre calare piano piano la serranda, accostare le tende e alzare il volume della radio e del televisore.
Cammina ancora il ragazzo, si passa un kleenex sulla fronte e pensa con quanta facilità si cambi bandiera sotto il sole di Sicilia, sì, ci si abitua a tutto qui, si cambia presto l'adesivo sull'auto a tempo d'elezioni come nell'URSS ci si spicciava a sostituire le facce sui muri a seconda delle decisioni del Politburo. Passeggia il ragazzo, passeggia sulla voglia di lavoro, sui posteggiatori abusivi che giurano che t'hanno taliato e ritaliato la macchina come se fosse "cosa loro".
I cani ci somigliano: dormono e mangiano senza pensare alla maledetta e amatissima Sicilia. Qui impari a sbucciare i fichi d'india a sei anni e subito dopo impari pure che devi accettare quello che il cielo ti regala, senza romperti la testa perché, si sa, domani andrà meglio. Lì quegli onorevoli cornuti si ricorderanno anche di noi e alle prossime elezioni - è cosa sicurissima - sale pure un mio cugino di quarto grado - è cosa arcisicura - mi sistemo pure io.
Te lo dicono e ci credono con la puzza di gerani che ci tiene compagnia e scaccia, dicono, gli scavagghi.


Cammina il ragazzo e pensa: "Sono venuti gli arabi e i normanni, gli svevi e gli aragonesi, i tedeschi e gli americani e siamo ancora qui a ricordare quanto ci piace questa terra dove nessuno compra i limoni e il sale. Basta poco, anche qualche caddozzo di sasizza alla Festa dell'unità e qualche litro di vino per ritrovare quella bella sensazione dei tuoi sette anni. Sì, quando giri un secchiello di sabbia bagnata e diventi re e imperatore di una terra che vedi solo tu".

giovedì 15 luglio 2004

Letterona

/sui nodi dell'esperienza, su BombaSicilia, sui 17 anni, su Demetrio Ernesto (e viceversa), su Lisa, sui pescatori di Pino e sui doppi discorsi di Ulisse, sui 180 e passa bombers silenti.../


Premessa: Più che un fucile, sarebbe utile tenere uno scolapasta noetico sotto il letto. Però poi si fa confusione col pitale...


Il tema del prossimo anno bombacartaceo è: "Nodi dell’esperienza" (conflitto e vulnerabilità, affettività e relazione, dolore e tragedia, silenzio e solitudine, soglie e mistero, felicità e gioia, ...)


Bello pieno il piatto del prossimo anno, nodi dell'esperienza. Già la metafora del titolo è dannatamente plastica. L'ego dattilografo che mi abita il linguaggio già pensa al nodo gordiano e a come tagliarlo. Conflitto e vulnerabilità, 'sto primo binomio mi ricorda che la mia guerra-adolescenza si è appena sopita e allora faccio come Pollicino riprendo i sassi che ho lasciato sui miei vecchi passi... il conflitto generazionale l'ho vissuto nell'isola triangolare, perso nei quotidiani tormenti verso l'esaltante triangolino, proprio quel conflitto mi ha portato qui. Ecco i sassi sfatti:
 
2001, ottobre Roma, I° BombaDay. Parto in treno con Zummo e Sergio. Finalmente conosco Antonio Spadaro e i saturnisti.  Dormo a casa di Paolo Papotti, ha pubblicato un romanzo: In cerca di. Elezioni dei Coordinatori di BombaCarta, mi eleggono.
2001, ottobre Fondo BombaSicilia. E' troppo gialla. Trovo un nuovo stimolo nella scrittura creativa e mi scopro saturnista aprendo lo scanner. 2001, 11 settembre. Mentre studio psicologia attaccano le Torri Gemelle. 2001, estate Grazie a Carlo mi riprendo. Poi lui va a Perugia. 2001, estate Valentina mi ritrova. La perdo di nuovo. 2001, giugno Storia Medioevale. Primo esame: trenta. Penso di partire.
2001, aprile Depresso navigo su internet e trovo BombaCarta. 2000, ottobre Primo anno all'Università: Filosofia. Non so più chi sono. Cazzeggio con Santi e la sambuca.
2001, febbraio Scappo di casa. Finisce con Giacoma e scoppia pure l'amicizia con Ivan.
2001, gennaio La mia famiglia festeggia il Capodanno a Roma. Io resto a casa. 2000, ottobre Giacoma. Ci scambiamo poesie e novelle. 2000, estate Finisce con Stefania. Impugno di nuovo la cazzuola per 50000 lire al giorno. Lo zio Enzo mi insegna un fusto di cose.
2000, luglio Maturità Scientifica. Voto: 100/100 e menzione. Tesina: Il cielo che fu dell'aquilone (il difficile rapporto tra politica e cultura). All'esame viene ad applaudirmi anche il Prof. Bellavia.
2000, luglio Patente B, guido la vecchia R4 di famiglia (colore verde pisello). 2000, giugno Inizia il secondo round con Stefania.
2000, aprile Vienna e Praga: il ponte Carlo e le Marlboro a 2800 lire e tanta tanta birra. 2000, aprile Papà va in pensione. Dopo più di trent'anni si toglie la divisa.
2000, febbraio Dopo 18 anni di capelli con la riga, decido di lasciarli allungare. Leggo Conversazione in Sicilia. 2000, febbraio 18 anni. Doppia festa. Una privata e l'altra etilica. Finisce vomitando. Non invito mia sorella. Me lo rinfaccia ancora oggi. 1999, novembre Compro il mio primo PC nel negozio del padre di Calogero. Scopro INTERNET e la bacheca sportiva.


Ecco, tutto fila. Da quei 2 milioni e rotti di lire trasformati in plastica dura e grigia, cavi e silicio a quella prima volta di fronte alle cancellate bianche dell'istituto Massimo.


Intermezzo : "Mi commuove che il più debole dei mezzi, il più inerme dei media, l’alfabeto, dimostri ancora una volta, contro tutte le previsioni, quant’è vigoroso." tiziano scarpa su nazione indiana, la polemica tra autori autorizzati e diaristi minimisti. Tiziano Scarpa, grand'uomo, davvero. Critica i blogger e poi pubblica su un micromega di qualche vita fa PENSIERI SU MARIAGRAZIA, un delirio sui suoi pensieri durante una seduta di sesso orale. E Marco Candida che sta sudando per averlo a Tortona... Fine intermezzo


In tutti gli elenchi alfabetici sono sempre il 17esimo, sarà tutta colpa della P... Fatto curioso, 17, in numeri romani XVII, l'anagramma di VIXI, sono vissuto (ergo sono già sottoterra e da qui l'alone di iella associato al numero primo in questione).  17 anni, bei tempi. In un altro luogo il buon demetrio ernesto (o viceversa) scriveva che « Scrivere è arrivato intorno ai 16/17 anni, più che altro per fare colpo sulle ragazze e per tenere a bada la mia testa che incominciava ad avere cataste di immagini, frasi e pensieri. Credo di non aver ancora esaurito le immagini, che mi sono formate in quegli anni.».


Già. Il serbatoio dei 17 anni è come il fondo l'abisso di Nietzche, lo guardi e lui guarda te. E in quell'istante in cui i 6 occhi si incrociano (quelli dell'uno, quelli del 7 e i tuoi), hai già vissuto tutti i ricordi che strozzerai per tirarne fuori qualche sillaba storca e rinsecchita da conficcare nel culo dei giorni troppo uguali (sempre tra le le tette del calendario di Max del 1998, l'anno della Marcuzzi p.s.m. [prima di sgonfiarsi i meloni] ).


Nodi dell'esperienza e nodi marinareschi. Se n'è andato pure Brando, ridotto a 180 chili di esperienze annodate. Lontano migliaia di vite e di capocchie di spillo dal protagonista dell'ammutinamento del Bounty, indimenticabile quando il sordido capitano gli impone di amoreggiare con la bella taitiana dalla pelle di pesca e lui fa lo gnorri.


Il mare ritorna sempre. Oggi mi rosolavo ben bene sui sassi del bagnasciuga e guardavo il mare e pensavo a due cose: al solito vecchio Ulisse e a quel pezzo di vita di Pino il poeta: « Da tempo intorno allo zampillo non si vede più nessuno e mi sembra come se i miei amici abbiano avuto tutti lo stesso sogno. I miei amici, scopro soltanto ora, sono tutti marinai.»


... se ci fosse ancora mondo, sono pronto, dove andiamo?...


La filosofia inizia coi doppi discorsi che Ulisse svende al ciclope. Appena dice di chiamarsi Nessuno, la strada dell'Occidente è segnata. Il logos non ha più un significato univoco.


"Fratelli, venite, Nessuno mi uccide..."
"Non ci disturbare"


La strada per Esiodo e le sue belle bugie simili a verità è stata appena disegnata. Si annodano le esperienze, si mischiano «mille storie di rapimenti, di amori passionali consumati fra fruscii di sete e  tremule stelle» come scrive Lisa.


Perché? Volo basso, tocco terra e vi svelo un segreto: le anatre di Central Park su cui il buon vecchio Holden ci si rompeva la testa, le usano i giganti come carta igienica. (cfr. Gargantua e Pantagruel...).


Fine del delirio: Il tema è stuzzicante, e siamo solo sulla soglia. Forse è la volta buona che i 180 bomber silenti escono dal loro bozzolo.


(180 bomber, uno per ogni chilo di Brando. il cerchio si chiude)

Letterona

/sui nodi dell'esperienza, su BombaSicilia, sui 17 anni, su Demetrio Ernesto (e viceversa), su Lisa, sui pescatori di Pino e sui doppi discorsi di Ulisse, sui 180 e passa bombers silenti.../


Premessa: Più che un fucile, sarebbe utile tenere uno scolapasta noetico sotto il letto. Però poi si fa confusione col pitale...


Il tema del prossimo anno bombacartaceo è: "Nodi dell’esperienza" (conflitto e vulnerabilità, affettività e relazione, dolore e tragedia, silenzio e solitudine, soglie e mistero, felicità e gioia, ...)


Bello pieno il piatto del prossimo anno, nodi dell'esperienza. Già la metafora del titolo è dannatamente plastica. L'ego dattilografo che mi abita il linguaggio già pensa al nodo gordiano e a come tagliarlo. Conflitto e vulnerabilità, 'sto primo binomio mi ricorda che la mia guerra-adolescenza si è appena sopita e allora faccio come Pollicino riprendo i sassi che ho lasciato sui miei vecchi passi... il conflitto generazionale l'ho vissuto nell'isola triangolare, perso nei quotidiani tormenti verso l'esaltante triangolino, proprio quel conflitto mi ha portato qui. Ecco i sassi sfatti:
 
2001, ottobre Roma, I° BombaDay. Parto in treno con Zummo e Sergio. Finalmente conosco Antonio Spadaro e i saturnisti.  Dormo a casa di Paolo Papotti, ha pubblicato un romanzo: In cerca di. Elezioni dei Coordinatori di BombaCarta, mi eleggono.
2001, ottobre Fondo BombaSicilia. E' troppo gialla. Trovo un nuovo stimolo nella scrittura creativa e mi scopro saturnista aprendo lo scanner. 2001, 11 settembre. Mentre studio psicologia attaccano le Torri Gemelle. 2001, estate Grazie a Carlo mi riprendo. Poi lui va a Perugia. 2001, estate Valentina mi ritrova. La perdo di nuovo. 2001, giugno Storia Medioevale. Primo esame: trenta. Penso di partire.
2001, aprile Depresso navigo su internet e trovo BombaCarta. 2000, ottobre Primo anno all'Università: Filosofia. Non so più chi sono. Cazzeggio con Santi e la sambuca.
2001, febbraio Scappo di casa. Finisce con Giacoma e scoppia pure l'amicizia con Ivan.
2001, gennaio La mia famiglia festeggia il Capodanno a Roma. Io resto a casa. 2000, ottobre Giacoma. Ci scambiamo poesie e novelle. 2000, estate Finisce con Stefania. Impugno di nuovo la cazzuola per 50000 lire al giorno. Lo zio Enzo mi insegna un fusto di cose.
2000, luglio Maturità Scientifica. Voto: 100/100 e menzione. Tesina: Il cielo che fu dell'aquilone (il difficile rapporto tra politica e cultura). All'esame viene ad applaudirmi anche il Prof. Bellavia.
2000, luglio Patente B, guido la vecchia R4 di famiglia (colore verde pisello). 2000, giugno Inizia il secondo round con Stefania.
2000, aprile Vienna e Praga: il ponte Carlo e le Marlboro a 2800 lire e tanta tanta birra. 2000, aprile Papà va in pensione. Dopo più di trent'anni si toglie la divisa.
2000, febbraio Dopo 18 anni di capelli con la riga, decido di lasciarli allungare. Leggo Conversazione in Sicilia. 2000, febbraio 18 anni. Doppia festa. Una privata e l'altra etilica. Finisce vomitando. Non invito mia sorella. Me lo rinfaccia ancora oggi. 1999, novembre Compro il mio primo PC nel negozio del padre di Calogero. Scopro INTERNET e la bacheca sportiva.


Ecco, tutto fila. Da quei 2 milioni e rotti di lire trasformati in plastica dura e grigia, cavi e silicio a quella prima volta di fronte alle cancellate bianche dell'istituto Massimo.


Intermezzo : "Mi commuove che il più debole dei mezzi, il più inerme dei media, l’alfabeto, dimostri ancora una volta, contro tutte le previsioni, quant’è vigoroso." tiziano scarpa su nazione indiana, la polemica tra autori autorizzati e diaristi minimisti. Tiziano Scarpa, grand'uomo, davvero. Critica i blogger e poi pubblica su un micromega di qualche vita fa PENSIERI SU MARIAGRAZIA, un delirio sui suoi pensieri durante una seduta di sesso orale. E Marco Candida che sta sudando per averlo a Tortona... Fine intermezzo


In tutti gli elenchi alfabetici sono sempre il 17esimo, sarà tutta colpa della P... Fatto curioso, 17, in numeri romani XVII, l'anagramma di VIXI, sono vissuto (ergo sono già sottoterra e da qui l'alone di iella associato al numero primo in questione).  17 anni, bei tempi. In un altro luogo il buon demetrio ernesto (o viceversa) scriveva che « Scrivere è arrivato intorno ai 16/17 anni, più che altro per fare colpo sulle ragazze e per tenere a bada la mia testa che incominciava ad avere cataste di immagini, frasi e pensieri. Credo di non aver ancora esaurito le immagini, che mi sono formate in quegli anni.».


Già. Il serbatoio dei 17 anni è come il fondo l'abisso di Nietzche, lo guardi e lui guarda te. E in quell'istante in cui i 6 occhi si incrociano (quelli dell'uno, quelli del 7 e i tuoi), hai già vissuto tutti i ricordi che strozzerai per tirarne fuori qualche sillaba storca e rinsecchita da conficcare nel culo dei giorni troppo uguali (sempre tra le le tette del calendario di Max del 1998, l'anno della Marcuzzi p.s.m. [prima di sgonfiarsi i meloni] ).


Nodi dell'esperienza e nodi marinareschi. Se n'è andato pure Brando, ridotto a 180 chili di esperienze annodate. Lontano migliaia di vite e di capocchie di spillo dal protagonista dell'ammutinamento del Bounty, indimenticabile quando il sordido capitano gli impone di amoreggiare con la bella taitiana dalla pelle di pesca e lui fa lo gnorri.


Il mare ritorna sempre. Oggi mi rosolavo ben bene sui sassi del bagnasciuga e guardavo il mare e pensavo a due cose: al solito vecchio Ulisse e a quel pezzo di vita di Pino il poeta: « Da tempo intorno allo zampillo non si vede più nessuno e mi sembra come se i miei amici abbiano avuto tutti lo stesso sogno. I miei amici, scopro soltanto ora, sono tutti marinai.»


... se ci fosse ancora mondo, sono pronto, dove andiamo?...


La filosofia inizia coi doppi discorsi che Ulisse svende al ciclope. Appena dice di chiamarsi Nessuno, la strada dell'Occidente è segnata. Il logos non ha più un significato univoco.


"Fratelli, venite, Nessuno mi uccide..."
"Non ci disturbare"


La strada per Esiodo e le sue belle bugie simili a verità è stata appena disegnata. Si annodano le esperienze, si mischiano «mille storie di rapimenti, di amori passionali consumati fra fruscii di sete e  tremule stelle» come scrive Lisa.


Perché? Volo basso, tocco terra e vi svelo un segreto: le anatre di Central Park su cui il buon vecchio Holden ci si rompeva la testa, le usano i giganti come carta igienica. (cfr. Gargantua e Pantagruel...).


Fine del delirio: Il tema è stuzzicante, e siamo solo sulla soglia. Forse è la volta buona che i 180 bomber silenti escono dal loro bozzolo.


(180 bomber, uno per ogni chilo di Brando. il cerchio si chiude)

lunedì 12 luglio 2004

Eravamo morti e potevamo respirare

"Eravamo morti e potevamo respirare".


Aveva trovato questo verso tra le poesie di Celan e l'aveva usato per smerigliare i suoi ricordi. Si gustava la piccola morte che segue l'appagamento - insieme, da uno ritornare due con il ponticello di carne che si spegne. Ci sgonfiamo, sudati, innamorati, ci siamo letti a vicenda, prigionieri di Monsieur Le Songe. - Era lì, sudato, perduto negli occhi di chi credeva di amare riamato e pensava a una sola cosa, al tavolo di sua madre. Sua madre aveva trasformato la tredicesima del 1987 in un tavolo per 18 persone. Suo padre l'aveva bollata come l'ultima delle tante follie della moglie, con quella tredicesima potevano fare un viaggio, comprare un nuovo televisore, ritappezzare i divani. No, sua madre l'aveva trasformato in legno di noce, un ripiano tanto grande che ci si poteva giocare a calcio. L'aveva fatto perché era questa la differenza tra sua madre e suo padre, suo padre si ancorava alla solidità degli investimenti a lungo termine fatti di acronimi duri e sicuri, sua madre invece voleva rimpinzare la casa di oggetti che trasudassero amore. E quel tavolo stillava amore per tutta la famiglia, dopo decenni di tavoli e tavolini per i bambini, finalmente l'intero clan poteva mangiare nello stesso desco. Tutti assieme, con le patate al cartoccio che giravano veloci e le forchette che finivano sempre a terra. E poi arrivava lei, la cassata gigante e i suoi canditi lucidi mitigavano tutte le incomprensioni che si erano accumulate durante l'anno. Quel tavolo era così grosso che al centro sua sorella ci aveva piazzato pure il presepe. Era un Natale bello pieno, come i piatti che passavano veloci di mano in mano. Sua madre era soddisfatta, perfino lo zio Enzo, magro come un'acciuga e alto come un giocatore di pallacanestro s'era sbottonato la cintura e il primo bottone dei pantaloni di lana rasata, era il segnale definitivo, tutti avevano gradito il cenone. La verifica ufficiale sarebbe arrivata verso gennaio, quando le zie avrebbero ritirato fuori le bilance e, dopo l'angosciosa pesatura, avrebbero iniziato a mangiare insalate e frutta per scacciare quei rotolini d'affetto che erano spuntati.



Erano passati dieci anni, La famiglia s'era sfasciata e il Natale era solo uno scambio di panettoni Motta e regalini tiepidi. Il tavolone era finito in soffitta, l'avevano rimontato lì per appoggiarci gli scatoloni pieni di passato. Era stato il nonno a trasmettere quell'assurdo attaccamento alle cose, dopo che sei sopravvissuto a due Guerre Mondiali vedi una vecchia giacca con occhi nuovi.


Era tornato una domenica mattina e l'aveva rivisto, due metri e mezzi di noce ricoperti da almeno cinque anni di polvere. Aveva messo gli scatoloni a terra e dopo aver svitato una ventina di viti l'aveva smontato in dimensioni accettabili per la sua Tipo. Aveva deciso di portarsi quel pezzo della sua vecchia vita nella sua nuova casa e poi l'aveva rimontato al centro del suo studio, ci stava bene su quel tavolo. Pensava che sopra quel legno avrebbe finalmente ultimato il suo romanzo, soprattutto dopo che la sua editor gli aveva intimato di darsi una smossa.


 


Lei dormiva ancora, lui s'era alzato dal letto, aveva cercato inutilmente per dieci minuti i boxer e poi aveva scelto di coprirsi con la vestaglia. Era andato da lui, dal suo tavolo e con la luce della luna che leccava la stanza s'era messo ad accarezzarlo. Ogni graffio gli ricordava qualcosa, c'era perfino la bruciatura di una sigaretta, di una delle sue prime sigarette che aveva scroccato a sua zia Franca.


- Eravamo morti e potevamo respirare. - quel verso sapeva di vita e di luna. Pensò a quando fuori pioveva e lasciava l'ombrello a casa per assaporare la stessa meraviglia del primo uomo che si trovò sotto la pioggia all'origine del mondo. Era sicuro che quel suo antenato alzò gli occhi al cielo e grugnì soddisfatto bevendo l'ennesimo regalo del Cielo. Forse ritornò felice nella sua grotta e sacrificò il cuore di una tigre dai denti a sciabola al Signore delle Nuvole... Mise da parte quelle divagazioni ancestrali e annusò l'odore denso del legno che lucidava ogni settimana con cerchi concentrici di panno e cera d'api, pensò alla morte, gli capitava spesso ogni volta che credeva di aver trovato la donna giusta. Forse era inevitabile. Tutto finisce, finiva anche la cassata gigante che sua madre ordinava nella migliore pasticceria di Palermo. Erano finite pure le abbuffate di Natale che aveva creduto eterne, pensò all'odore del legno: «una vita passata ad annusare le bugie delle violette di campo per poi finire in una cassa di legno a strozzare ricordi».


Aveva finito il suo romanzo.

Eravamo morti e potevamo respirare

"Eravamo morti e potevamo respirare".


Aveva trovato questo verso tra le poesie di Celan e l'aveva usato per smerigliare i suoi ricordi. Si gustava la piccola morte che segue l'appagamento - insieme, da uno ritornare due con il ponticello di carne che si spegne. Ci sgonfiamo, sudati, innamorati, ci siamo letti a vicenda, prigionieri di Monsieur Le Songe. - Era lì, sudato, perduto negli occhi di chi credeva di amare riamato e pensava a una sola cosa, al tavolo di sua madre. Sua madre aveva trasformato la tredicesima del 1987 in un tavolo per 18 persone. Suo padre l'aveva bollata come l'ultima delle tante follie della moglie, con quella tredicesima potevano fare un viaggio, comprare un nuovo televisore, ritappezzare i divani. No, sua madre l'aveva trasformato in legno di noce, un ripiano tanto grande che ci si poteva giocare a calcio. L'aveva fatto perché era questa la differenza tra sua madre e suo padre, suo padre si ancorava alla solidità degli investimenti a lungo termine fatti di acronimi duri e sicuri, sua madre invece voleva rimpinzare la casa di oggetti che trasudassero amore. E quel tavolo stillava amore per tutta la famiglia, dopo decenni di tavoli e tavolini per i bambini, finalmente l'intero clan poteva mangiare nello stesso desco. Tutti assieme, con le patate al cartoccio che giravano veloci e le forchette che finivano sempre a terra. E poi arrivava lei, la cassata gigante e i suoi canditi lucidi mitigavano tutte le incomprensioni che si erano accumulate durante l'anno. Quel tavolo era così grosso che al centro sua sorella ci aveva piazzato pure il presepe. Era un Natale bello pieno, come i piatti che passavano veloci di mano in mano. Sua madre era soddisfatta, perfino lo zio Enzo, magro come un'acciuga e alto come un giocatore di pallacanestro s'era sbottonato la cintura e il primo bottone dei pantaloni di lana rasata, era il segnale definitivo, tutti avevano gradito il cenone. La verifica ufficiale sarebbe arrivata verso gennaio, quando le zie avrebbero ritirato fuori le bilance e, dopo l'angosciosa pesatura, avrebbero iniziato a mangiare insalate e frutta per scacciare quei rotolini d'affetto che erano spuntati.



Erano passati dieci anni, La famiglia s'era sfasciata e il Natale era solo uno scambio di panettoni Motta e regalini tiepidi. Il tavolone era finito in soffitta, l'avevano rimontato lì per appoggiarci gli scatoloni pieni di passato. Era stato il nonno a trasmettere quell'assurdo attaccamento alle cose, dopo che sei sopravvissuto a due Guerre Mondiali vedi una vecchia giacca con occhi nuovi.


Era tornato una domenica mattina e l'aveva rivisto, due metri e mezzi di noce ricoperti da almeno cinque anni di polvere. Aveva messo gli scatoloni a terra e dopo aver svitato una ventina di viti l'aveva smontato in dimensioni accettabili per la sua Tipo. Aveva deciso di portarsi quel pezzo della sua vecchia vita nella sua nuova casa e poi l'aveva rimontato al centro del suo studio, ci stava bene su quel tavolo. Pensava che sopra quel legno avrebbe finalmente ultimato il suo romanzo, soprattutto dopo che la sua editor gli aveva intimato di darsi una smossa.


 


Lei dormiva ancora, lui s'era alzato dal letto, aveva cercato inutilmente per dieci minuti i boxer e poi aveva scelto di coprirsi con la vestaglia. Era andato da lui, dal suo tavolo e con la luce della luna che leccava la stanza s'era messo ad accarezzarlo. Ogni graffio gli ricordava qualcosa, c'era perfino la bruciatura di una sigaretta, di una delle sue prime sigarette che aveva scroccato a sua zia Franca.


- Eravamo morti e potevamo respirare. - quel verso sapeva di vita e di luna. Pensò a quando fuori pioveva e lasciava l'ombrello a casa per assaporare la stessa meraviglia del primo uomo che si trovò sotto la pioggia all'origine del mondo. Era sicuro che quel suo antenato alzò gli occhi al cielo e grugnì soddisfatto bevendo l'ennesimo regalo del Cielo. Forse ritornò felice nella sua grotta e sacrificò il cuore di una tigre dai denti a sciabola al Signore delle Nuvole... Mise da parte quelle divagazioni ancestrali e annusò l'odore denso del legno che lucidava ogni settimana con cerchi concentrici di panno e cera d'api, pensò alla morte, gli capitava spesso ogni volta che credeva di aver trovato la donna giusta. Forse era inevitabile. Tutto finisce, finiva anche la cassata gigante che sua madre ordinava nella migliore pasticceria di Palermo. Erano finite pure le abbuffate di Natale che aveva creduto eterne, pensò all'odore del legno: «una vita passata ad annusare le bugie delle violette di campo per poi finire in una cassa di legno a strozzare ricordi».


Aveva finito il suo romanzo.

sabato 10 luglio 2004

La legge degli spazi bianchi. Sulla necessita' della Poesia

Stavo arrotando le mie solite metafore e sono rimasto piacevolmente colpito dalle ultime apparizioni "poetiche" in lista. Sarà anche perché ormai vivo a stretto contatto con Paul Celan, sfoglio le sue foto, ascolto la sua voce, soffro con/per lui. Ho cercato tra i milioni di file che mi rimpinzano il computer e ho fatto una piccola selezione di versi dicotomici.
Nella poesia la verita' è incastrata tra gli spazi bianchi che separano le sillabe, il resto e' puro mistero.
Paul Celan: « cos'e' il ritorno? forse non c'è, forse è solo un fiocco di neve.»
M'ha raggiunto un cortocircuito, la figura più usata da Paul è la neve e tutto quello che ad essa è connesso. La notizia della morte dei suoi genitori in un campo di concentramento nazista diventa una nevicata di fiocchi neri che bruciano le sue ossa.
Ogni cristallo di ghiaccio ha sei punte, come la stella ebraica.
Per resistere al silenzio Paul ha scritto più di 800 poesie, dalla celeberrima Todesfuge alle ultime volutamente criptiche prima della sua morte per acqua.
Cercava la pace del silenzio? Cercava di conciliare la dimenticanza del papavero e la necessità della memoria? Ogni suicidio resta un mistero in cui non è lecito scavare.


Io ho scritto versi perché ero innamorato di una piccola poetessa vegetariana. Lei scendeva bella e profumata, si sedeva accanto a me che ero solo 18 anni in un grumo di ormoni sotto un assurdo cappello giamaicano che mi copriva i riccioli. Arrivava e mi infilava nel cruscotto sempre nuovi versi. Io rispondevo con novelle e racconti. Poi una domenica ho iniziato pure io a lasciare spazi tra le righe. Era una caponata di pensieri. Dubbi, letture recenti e roventi, pippe mentali e altri ammennicoli. Lei era in Tunisia e io dovevo tenere la mente impegnata per non pensare alle erezioni dei maschi della sua comitiva. Avevo 18 anni ed ero genuinamente siciliano.


Vennero fuori le prime experimentazioni in versi. Li ho ritrovate. Ne accludo qualcuna. Perche' d'estate la poesia vola leggera. E perche' della metrica e dello stile non me ne fregava nulla, seguivo solo il consiglio di Pindaro. Raggranellavo i miei "kairoi", i miei eventi e cercavo di restituirli al mondo sotto forma di poesia. Erano solo belle bugie bucate che scrivevo per non ridurmi a un uomo di sola panza, seguendo il consiglio delle muse di Esiodo.


VITA
Delfini innamorati, i tuoi occhi
si tuffano e riemergono di continuo.
Nuvole di pioggia nascondono un sole malato e
un altro rosso
ferma la mia corsa verso
fantasmi di libertà.
La strada divora me e la mia
auto, scarta solo bucce scorticate di sogno.
Procedo fermandomi ad ogni incrocio
tra scoppi di candele
restano solo i tuoi delfini.


FORTEZZE
Guardo la neve e non scorgo
Niente dentro il cannocchiale.
Aspetto i miei Tartari e
Nella solitudine della soffitta, dentro
Bauli tarlati
Conservo
Sorrisi.


NUOVI DOVERI
Non ho un cavallo,
non ho terre,
non ho tre belle figlie.
Sento solo voglia di fare qualcosa
Ma non ho coltelli, né lame, né forbici da farmi arrotare,
la testa non riesco a chinarla
E continuo a camminare in punta di piedi
Sognando conversazioni e chiocciole e aringhe affumicate
E nel cielo vorrei vedere volare
Altri aquiloni.


RICORDANDO GOLDING
su un isola aspetto che la conchiglia
suoni ancora.
teste di maiali incarnano superstizioni.
faccio sacrifici mentre la mia vera natura
si fa spazio a colpi di machete.
Ho ucciso e gli occhiali non accenderanno altri fuochi.


IL CIELO DI BAGHERIA
Ho conosciuto attrici
Che avevano dimenticato il sipario.
Ho lottato contro consigli che non avevo chiesto
E sguardi che spolpavano I miei pensieri.
Ho visto cani smerdare marciapiedi
E passanti bestemmiare nel loro slalom quotidiano.
Ero già andato via.



(EC)CESSO DI MEDITAZIONI MATTUTINE


Aggrediscono il cielo
le mie parole cercando
succo e verità in cambio
di ceci secchi di retorica. Noto che
la lente è fuori asse mentre guardo
storto il naso che mi è toccato: sta lì a
puntare il riflesso della mia faccia.
Penso e monto e spruzzo
troppa schiuma alla menta piperita, poi
spacchetto il rasoio e
ancora mi taglio
distratto dal croco e
dal senso dell'essere.
[Con i pensieri fuori fuoco guardo il mondo
nel buco tondo della carta igienica.
vedo solo belle bugie bucate]
Mi siedo sul trono e aspetto i ricordi.
Arrivano dalla collina dei broccoli e li vedo bene:
sono sdentati. Potevano giocare
con la mia felicità e hanno preferito
mordermi l'amore e il cranio.


[Bussano.]


Lascio piangere la catenella sulle mie meditazioni
che scivolano giù
siiiiiiiiiiiiiilenziose.



TENAZA GRAPADORA


Ho giocato.
Ho solo giocato con grammatica e mortadella.


|L'8NEROUN'ALTRAVOLTAINBUCA|
Ho giocato, sì, ho giocato
con queste dita
a sfumare sinonimi.


[La divina mania sfrigola in padella


tra spicchi poetici e disamori saturnisti]


Beltistos logos e cicale,
dolcetti e scherzetti sugli aquiloni del mondo.


IL
LINGUAGGIO
NON
E'
C O N V E N Z I O N E


un altro numero alla roulette russa, la tartaruga
è morta e Achille non l'ha raggiunta:
tu continua a spedirmi lamette
con quegli occhi color canguro
che hai
Solo tU


Spediscile, spediscile
ancora calde.
Spediscile con la posta prioritaria
e io odio i postini
che portano brutte notizie
e magari in un cimitero qualcuno
parla di Kafka
e Sisifo imita ancora uno scarabeo stercorario.


Spediscile
in una busta gialla,
spediscile che Et telefona, il naso
s
g
o
c
c
i
o
l
a


e le rotte della filosofia
si perdono nel gracidare del modem.


***
L'ULTIMO SORRISO


Un'altra giornata
sei ore a scuola che si ripetono sempre uguali,
immutabili con sveglia, colazione, doccia e quella stessa strada,
la stessa strada e vedo Papà
seduto su quella stramaledetta sedia
e la mamma con le sue soap e le mie sorelle con i miei tre nipoti.
Davanti all'ingresso i miei compagni, amici? Persone con cui vivo
sei ore e magari divido Una sigaretta
nel cambio dell'ora e pure quella strana solidarietà contro chi sta
dietro la cattedra ma lei,
i suoi occhi, i suoi capelli mentre
scambio la stessa battuta sporca con l'amico bidello e in testa
i miei quadri e sforzo
i miei pensieri per incanalarli e trasferirli sulla tela con
le macchie di vernice spray e strozzo
la pistola del compressore e quel sibilo costante nel vuoto della
cantina e
la sedia di papà, quante volte l'ho disegnata tracciando il suo profilo
e
la condanna a stare seduto sempre lì
con quell'ignomibile [ignobileimmobileinutile] sorriso e la 131 è solo
un ammasso di lamiere da cinque anni.


La professoressa ha il suo sorriso falso
Sa tutto ma si accanisce contro di me e
Mi rimane quell'ultima eterna sigaretta
E voglio smettere, questa è l'ultima e domani smetto, magari ci credo
nella pallida luce che si riflette sulla tela bianca e
i miei due cognati sanno solo sfornare figli e succhiano
le tette della pensione d'invalidità di papà
magari potrei sparargli nel mezzo degli occhi,
un colpo per Totò e uno per Carluccio e Fuggire via
chiedendo un passaggio a quel bambino e al
suo aquilone
ma Il richiamo della professoressa e la sua voce nasale sbatte nelle mie
solite
scuse e
Mamma stava preparando la lingua di vitello, lingua per parlare ma resta
il mutismo di papà e quel suo sorriso e suona
triste L'intervallo e non bastano tredici minuti d'aria
gentilmente concessi dal preside e l'assicurazione non coprirà nemmeno
la metà
delle spese,
bella roba le assicurazioni e mio padre sulla sedia
e il suo sorriso è un muro e io sbatto nel suo silenzio di ghiaccio
e il sole sulle mie trecce rasta, lo stesso
vecchio sole sui suoi occhi e
quel bastardo che l'abbraccia e le sue mani scivolano sui
capezzoli imprigionati nelle coppe del reggiseno
con la campanella che
guida la processione verso le classi, solo
tre ore e poi addenterò quella disgustosa lingua di vitello,
la lingua affogherà nel pomodoro e nell'aglio e
poi lo rutterò sino a domani e guarderò
Totò e Carluccio che si ingozzeranno e chiederanno doppia razione di
tutto e
tra i loro denti ingialliti dalle merit di mia sorella ci saranno pezzi
di
lingua
e lingua tra lingua
vedrò di nuovo la lingua di quel bastardo che stuzzica la sua lingua e
i suoi capezzoli frizzeranno contro la maglietta acrilica,
ora c'è l'ora d'inglese e sputacchierò
tutti i miei th
- I think -
e ci sarà sempre una lingua sul mio piatto
e dovrò ricacciare a fatica il conato che sale dallo stomaco
e mio nipote con la sua lingua che lecca un gelato confezionato e
l'isterica musichetta di Papillon e ci saranno ancora
le mani di mamma nella sua borsa e i suoi soldi stretti tra le dita
grassocce
della mia nipotina
e lei correrà verso il camioncino dei gelati e sentirò
la sigla dei Simpson e qualcuno farà
Lo zapping tra Beautiful e i Simpson e resteranno cazzate su cazzate col
dubbio
tra donne incerate o mostri giallo difterite e io dovrò scendere in
cantina e
violentare il bianco della tela e lo spray agitato bene prima dell'uso
e le
dita
sulla tastiera del telefono faranno
quel numero, il suo numero e vorrei poter dimenticare quello sguardo ma
non
si riesce mai a dimenticare sé stessi e nemmeno fuggire
sull'aquilone sarebbe una soluzione
e mio padre con il caffè che sgocciola scorre sulle sue labbra e sul
tappeto
nel suo sorriso e
Lo stereo sputerà i Metallica e forse stavolta ce la faccio a
non pensare e comincio a ragionare per assurdo e girare la chiave
per alzare il piede dalla frizione ci vuole la patente me nessuna
patente nel
mio portafoglio
e piantonare casa sua
attendendo il rombo della stramaledetta honda e vedere l'abbraccio, il
bacio
la sua mano sui suoi capezzoli e schiacciare l'acceleratore
verso l'autostrada col
lampeggiare accecante, ipnotico della spia del carburante e tornare
in cantina e dipingere un'altra volta
l'ultimo sorriso di mio padre.


***


L'INVERNO DEI MANICHINI


per i manichini
impiccati al sole
è già inverno.
la forfora è tornata
e lo scaldabagno sussurra,
il cane tossisce
masticando
croccantini puzzolenti
che tintinnano nella ciotola e
pure
le monete nel porcellino che grugnisce soddisfatto
e mio padre russa
dopo due cruciverba
sul divano di vimini
e la notte ha troppo da dire
e nessuno l'ascolta.
Fonzie
prende a cazzotti
un altro juke-box e
dylan dog non ha la forfora
e io non mi metto
giacche nere
per non vedere nevicare sul buio.
ululano i venditori
non hanno più almanacchi
ma due pacchi di biscotti, signora,
solamente cinquemila lire
e venticinque tortine, dico proprio a lei
signora, pure le ciambelline
solo cinquemila lire
e pure i polaretti per i picciriddi, signora
venga ad assaggiare gratuitamente
e abbassa
quello stereo che
ne ho le palle piene dei beatles
e i manichini vivono il loro inverno
e altre ascelle sudano
alla fine di quest'estate
un sottile dispiacere
imita
la voce della schiuma dello shampoo
e solo cinquemila signora,
assaggi pure
signora e se
scendo ti faccio
volare John Lennon
dal balcone
e un altro mozzicone
di marlboro
nel vaso dei gerani
e la notte ha ancora troppo da dire.


THAT'S SICILY!


tutta la famiglia
snocciola
avemarie
sui grani del rosario e i cani abbaiano
in sottofondo.
la zia piange
e si batte il petto
e il piccolino lancia cozzi di pizza al cane.
la mamma ripensa alla sua laurea in teologia e lancia anatemi
alla fornicazione e io
noncelafacciononcelafaccio
e guardo
Serena e lei guarda me
e scappa nella sua stanza
e ancora devo finire di leggere l'Orlando furioso
sarebbe bello
Volare sull'ippogrifo


lontano...


sotto il pergolato della zia Maria Pia
Catia si liscia la pancia
sognando bomboniere e pannolini e ride
sulla diagnosi dello
psichiatra.
Mio zio s'è perso
tra i pensieri
e non vuole ascoltare, le sue mani da muratore
sudano
e il dolore cresce e cazzo, siamo
nel 2001 e ancora
si parla di fuitine
e mia madre
stringe le sue due lauree e cerca
di capire e
sputa su quella fornicazione
nessuno pensa ai bambini
e i piedi di Francesco puzzano,
falli stare zitti quei maledetti cani,
mia zia
si scaglia contro sua figlia
e gloria al Padre al Figlio e
allo Spirito Santo
e solo un altro schiaffo
com'era nel principio guardo mia madre
e un'altra estate muore
e io ancora non ci credo
e sarà sempre
nei secoli dei secoli.
Amen


***


LA DANZA DELLE MARIONETTE


nemmeno so
com'è fatto un colibrì
ma voglio andare via prima
che Pippo mi chiami un'altra volta compagno
passandomi il manifesto
e Liberazione
e snocciolando il resto
cercando di capire
che 1500 lire saranno 0,77 euro
e chiederò a mio padre
5 euro,
sempre quelle 10 carte
che mi servono per
far bere un pò quella
sconsolata
R4 che aspetta qualche altra ragazza sul sedile anteriore
e io sono stanco
solo a pensare di ricominciare tutta quella danza delle marionette
per un bacio
e magari se mi và bene un'altra notte
da intaccare
sulla colt che non ho
perché sono pacifista
ma lo so che ci cadrò di nuovo
e basteranno
magari solo due fossette
e gli attimi fuggono ed è tutta fatica sprecata
corrergli dietro,
Gatsby è morto
e io cerco un'altra Daisy.


RANDAGIO BLUES


Ascolta...
sì, proprio tu... ciuccia quell'ultimo sorso di bracardi breeze
all'orange
e ascolta.
come cosa?
ascolta.


niente?
ma sei sordo?
la voce delle lattine che rotolano,
la saracinesca della champagneria del Massimo
che chiude...
e guardali bene
fumano una dopo l'altra
contrattano poster dei simpson
ma sono così...
così grigi.
Sì, sono uomini grigi,
Grigi fuori e grigi dentro...


preferisco le mie pulci a quel grigiore, e tu?


"BAU!"


THAT'S SICILY - (part 2)
Catia non si liscia più la pancia e pensa
solo a dimagrire sognando la nuova campanella
che suonerà a fine settembre e Piero
ha messo via la fascia da cameriere e il finto curriculum
da sciorinare in faccia a tutti, l'ha stirata e conservata
con la targa vinta per quel nuovo coktail inventato
in una delle tante notti che ha passato solo nel suo bungalow,
notti che poi ha gonfiato con stracci
di vita presi in prestito all'ultimo romanzo
di Donald Westlake.
Sua sorella è sempre sotto il portico
con un'altra 100's accesa per coprire il puzzo del
pannolone della nonna, la vecchia dagli occhi cattivi che aspetta
suo padre e suo marito nella faccia di suo figlio.
Lo zio è tornato, stanco delle sue bugie
ripassando le alternate verità che si è cucito
per darsi un certo status, ha il borsello
pieno perchè qualcuno s'è scordato nel suo autobus una copia
sgualcita e ingiallita delle avventure di Gulliver,
fuma un altro mezzo sigaro e dal cofano della Uno
ha sceso un'altra faccia di santo gesso per tenere compagnia alla triste
e bianca Madonna da 7 euro che sua moglie tiene in veranda.


Sto guardando la testa di mio padre e cerco proprio lì
la definizione per riempire il 7 verticale
del cruciverba a stile libero che si porta dietro
da tre anni, sempre quello e gli occhialini da lettura presi alla
Rinascente.
Scriverà altre due definizioni e poi si addormenterà, di traverso
sui tre cuscini del dondolo.


_________________
O d i o questo monitor
e di più le vostre facce che lo guardano
Invece di guardare me.
Rivoglio le rughe sulla fronte,
gli schizzi dei th
con la lingua accucciata tra gli incisivi
per imitare le parole inglesi.
Rivoglio il puzzo di sudore e sentire che sei zuppo
un secondo dopo che ti ho dato una pacca sulla schiena,
rivoglio il rumore della barba sgrattata,
rivoglio il dubbio che ho la patta aperta
e pure l’odore del profumo tuo,
rivoglio i tuoi occhi e toccare
te e non solo 'sto sorcio attaccato al filo,
toccare te e toccarti la curva della pancia
e ridere solo con gli occhi,
senza mettere due punti, trattino e parentesi.
: - )
L’ho capito solo oggi e
i futuri contingenti
li lascio tutti a te.
Me ne vado a giocare a scacchi con i segni
e con l’Ornitorinco-Che-Non-Sa-Di-Non-Essere-Possibile.
Sa solo che il sole sorge lo stesso, pensa
che ci siamo talmente abituati
che ci resteremmo male a vedere
il cielo tenuto su dai cocuzzoli delle montagne
sgranocchiate male dalle nuvole.
L’ho capito, saluto e ribadisco
che non sono io questo qui.
Solo un sorriso per la foto saturnista
che tanto la macchina fotografica non l’ho mai avuta, anzi
l’ho avuta e poi l’ho abolita:
era poco obiettiva e aveva
solo un piccolo e striminzito punto di vista.
Silenzio cieco.
Tutto si perde nel gracidare del modem
perduto lungo le doppie rotte della filosofia.

La legge degli spazi bianchi. Sulla necessita' della Poesia

Stavo arrotando le mie solite metafore e sono rimasto piacevolmente colpito dalle ultime apparizioni "poetiche" in lista. Sarà anche perché ormai vivo a stretto contatto con Paul Celan, sfoglio le sue foto, ascolto la sua voce, soffro con/per lui. Ho cercato tra i milioni di file che mi rimpinzano il computer e ho fatto una piccola selezione di versi dicotomici.
Nella poesia la verita' è incastrata tra gli spazi bianchi che separano le sillabe, il resto e' puro mistero.
Paul Celan: « cos'e' il ritorno? forse non c'è, forse è solo un fiocco di neve.»
M'ha raggiunto un cortocircuito, la figura più usata da Paul è la neve e tutto quello che ad essa è connesso. La notizia della morte dei suoi genitori in un campo di concentramento nazista diventa una nevicata di fiocchi neri che bruciano le sue ossa.
Ogni cristallo di ghiaccio ha sei punte, come la stella ebraica.
Per resistere al silenzio Paul ha scritto più di 800 poesie, dalla celeberrima Todesfuge alle ultime volutamente criptiche prima della sua morte per acqua.
Cercava la pace del silenzio? Cercava di conciliare la dimenticanza del papavero e la necessità della memoria? Ogni suicidio resta un mistero in cui non è lecito scavare.


Io ho scritto versi perché ero innamorato di una piccola poetessa vegetariana. Lei scendeva bella e profumata, si sedeva accanto a me che ero solo 18 anni in un grumo di ormoni sotto un assurdo cappello giamaicano che mi copriva i riccioli. Arrivava e mi infilava nel cruscotto sempre nuovi versi. Io rispondevo con novelle e racconti. Poi una domenica ho iniziato pure io a lasciare spazi tra le righe. Era una caponata di pensieri. Dubbi, letture recenti e roventi, pippe mentali e altri ammennicoli. Lei era in Tunisia e io dovevo tenere la mente impegnata per non pensare alle erezioni dei maschi della sua comitiva. Avevo 18 anni ed ero genuinamente siciliano.


Vennero fuori le prime experimentazioni in versi. Li ho ritrovate. Ne accludo qualcuna. Perche' d'estate la poesia vola leggera. E perche' della metrica e dello stile non me ne fregava nulla, seguivo solo il consiglio di Pindaro. Raggranellavo i miei "kairoi", i miei eventi e cercavo di restituirli al mondo sotto forma di poesia. Erano solo belle bugie bucate che scrivevo per non ridurmi a un uomo di sola panza, seguendo il consiglio delle muse di Esiodo.


VITA
Delfini innamorati, i tuoi occhi
si tuffano e riemergono di continuo.
Nuvole di pioggia nascondono un sole malato e
un altro rosso
ferma la mia corsa verso
fantasmi di libertà.
La strada divora me e la mia
auto, scarta solo bucce scorticate di sogno.
Procedo fermandomi ad ogni incrocio
tra scoppi di candele
restano solo i tuoi delfini.


FORTEZZE
Guardo la neve e non scorgo
Niente dentro il cannocchiale.
Aspetto i miei Tartari e
Nella solitudine della soffitta, dentro
Bauli tarlati
Conservo
Sorrisi.


NUOVI DOVERI
Non ho un cavallo,
non ho terre,
non ho tre belle figlie.
Sento solo voglia di fare qualcosa
Ma non ho coltelli, né lame, né forbici da farmi arrotare,
la testa non riesco a chinarla
E continuo a camminare in punta di piedi
Sognando conversazioni e chiocciole e aringhe affumicate
E nel cielo vorrei vedere volare
Altri aquiloni.


RICORDANDO GOLDING
su un isola aspetto che la conchiglia
suoni ancora.
teste di maiali incarnano superstizioni.
faccio sacrifici mentre la mia vera natura
si fa spazio a colpi di machete.
Ho ucciso e gli occhiali non accenderanno altri fuochi.


IL CIELO DI BAGHERIA
Ho conosciuto attrici
Che avevano dimenticato il sipario.
Ho lottato contro consigli che non avevo chiesto
E sguardi che spolpavano I miei pensieri.
Ho visto cani smerdare marciapiedi
E passanti bestemmiare nel loro slalom quotidiano.
Ero già andato via.



(EC)CESSO DI MEDITAZIONI MATTUTINE


Aggrediscono il cielo
le mie parole cercando
succo e verità in cambio
di ceci secchi di retorica. Noto che
la lente è fuori asse mentre guardo
storto il naso che mi è toccato: sta lì a
puntare il riflesso della mia faccia.
Penso e monto e spruzzo
troppa schiuma alla menta piperita, poi
spacchetto il rasoio e
ancora mi taglio
distratto dal croco e
dal senso dell'essere.
[Con i pensieri fuori fuoco guardo il mondo
nel buco tondo della carta igienica.
vedo solo belle bugie bucate]
Mi siedo sul trono e aspetto i ricordi.
Arrivano dalla collina dei broccoli e li vedo bene:
sono sdentati. Potevano giocare
con la mia felicità e hanno preferito
mordermi l'amore e il cranio.


[Bussano.]


Lascio piangere la catenella sulle mie meditazioni
che scivolano giù
siiiiiiiiiiiiiilenziose.



TENAZA GRAPADORA


Ho giocato.
Ho solo giocato con grammatica e mortadella.


|L'8NEROUN'ALTRAVOLTAINBUCA|
Ho giocato, sì, ho giocato
con queste dita
a sfumare sinonimi.


[La divina mania sfrigola in padella


tra spicchi poetici e disamori saturnisti]


Beltistos logos e cicale,
dolcetti e scherzetti sugli aquiloni del mondo.


IL
LINGUAGGIO
NON
E'
C O N V E N Z I O N E


un altro numero alla roulette russa, la tartaruga
è morta e Achille non l'ha raggiunta:
tu continua a spedirmi lamette
con quegli occhi color canguro
che hai
Solo tU


Spediscile, spediscile
ancora calde.
Spediscile con la posta prioritaria
e io odio i postini
che portano brutte notizie
e magari in un cimitero qualcuno
parla di Kafka
e Sisifo imita ancora uno scarabeo stercorario.


Spediscile
in una busta gialla,
spediscile che Et telefona, il naso
s
g
o
c
c
i
o
l
a


e le rotte della filosofia
si perdono nel gracidare del modem.


***
L'ULTIMO SORRISO


Un'altra giornata
sei ore a scuola che si ripetono sempre uguali,
immutabili con sveglia, colazione, doccia e quella stessa strada,
la stessa strada e vedo Papà
seduto su quella stramaledetta sedia
e la mamma con le sue soap e le mie sorelle con i miei tre nipoti.
Davanti all'ingresso i miei compagni, amici? Persone con cui vivo
sei ore e magari divido Una sigaretta
nel cambio dell'ora e pure quella strana solidarietà contro chi sta
dietro la cattedra ma lei,
i suoi occhi, i suoi capelli mentre
scambio la stessa battuta sporca con l'amico bidello e in testa
i miei quadri e sforzo
i miei pensieri per incanalarli e trasferirli sulla tela con
le macchie di vernice spray e strozzo
la pistola del compressore e quel sibilo costante nel vuoto della
cantina e
la sedia di papà, quante volte l'ho disegnata tracciando il suo profilo
e
la condanna a stare seduto sempre lì
con quell'ignomibile [ignobileimmobileinutile] sorriso e la 131 è solo
un ammasso di lamiere da cinque anni.


La professoressa ha il suo sorriso falso
Sa tutto ma si accanisce contro di me e
Mi rimane quell'ultima eterna sigaretta
E voglio smettere, questa è l'ultima e domani smetto, magari ci credo
nella pallida luce che si riflette sulla tela bianca e
i miei due cognati sanno solo sfornare figli e succhiano
le tette della pensione d'invalidità di papà
magari potrei sparargli nel mezzo degli occhi,
un colpo per Totò e uno per Carluccio e Fuggire via
chiedendo un passaggio a quel bambino e al
suo aquilone
ma Il richiamo della professoressa e la sua voce nasale sbatte nelle mie
solite
scuse e
Mamma stava preparando la lingua di vitello, lingua per parlare ma resta
il mutismo di papà e quel suo sorriso e suona
triste L'intervallo e non bastano tredici minuti d'aria
gentilmente concessi dal preside e l'assicurazione non coprirà nemmeno
la metà
delle spese,
bella roba le assicurazioni e mio padre sulla sedia
e il suo sorriso è un muro e io sbatto nel suo silenzio di ghiaccio
e il sole sulle mie trecce rasta, lo stesso
vecchio sole sui suoi occhi e
quel bastardo che l'abbraccia e le sue mani scivolano sui
capezzoli imprigionati nelle coppe del reggiseno
con la campanella che
guida la processione verso le classi, solo
tre ore e poi addenterò quella disgustosa lingua di vitello,
la lingua affogherà nel pomodoro e nell'aglio e
poi lo rutterò sino a domani e guarderò
Totò e Carluccio che si ingozzeranno e chiederanno doppia razione di
tutto e
tra i loro denti ingialliti dalle merit di mia sorella ci saranno pezzi
di
lingua
e lingua tra lingua
vedrò di nuovo la lingua di quel bastardo che stuzzica la sua lingua e
i suoi capezzoli frizzeranno contro la maglietta acrilica,
ora c'è l'ora d'inglese e sputacchierò
tutti i miei th
- I think -
e ci sarà sempre una lingua sul mio piatto
e dovrò ricacciare a fatica il conato che sale dallo stomaco
e mio nipote con la sua lingua che lecca un gelato confezionato e
l'isterica musichetta di Papillon e ci saranno ancora
le mani di mamma nella sua borsa e i suoi soldi stretti tra le dita
grassocce
della mia nipotina
e lei correrà verso il camioncino dei gelati e sentirò
la sigla dei Simpson e qualcuno farà
Lo zapping tra Beautiful e i Simpson e resteranno cazzate su cazzate col
dubbio
tra donne incerate o mostri giallo difterite e io dovrò scendere in
cantina e
violentare il bianco della tela e lo spray agitato bene prima dell'uso
e le
dita
sulla tastiera del telefono faranno
quel numero, il suo numero e vorrei poter dimenticare quello sguardo ma
non
si riesce mai a dimenticare sé stessi e nemmeno fuggire
sull'aquilone sarebbe una soluzione
e mio padre con il caffè che sgocciola scorre sulle sue labbra e sul
tappeto
nel suo sorriso e
Lo stereo sputerà i Metallica e forse stavolta ce la faccio a
non pensare e comincio a ragionare per assurdo e girare la chiave
per alzare il piede dalla frizione ci vuole la patente me nessuna
patente nel
mio portafoglio
e piantonare casa sua
attendendo il rombo della stramaledetta honda e vedere l'abbraccio, il
bacio
la sua mano sui suoi capezzoli e schiacciare l'acceleratore
verso l'autostrada col
lampeggiare accecante, ipnotico della spia del carburante e tornare
in cantina e dipingere un'altra volta
l'ultimo sorriso di mio padre.


***


L'INVERNO DEI MANICHINI


per i manichini
impiccati al sole
è già inverno.
la forfora è tornata
e lo scaldabagno sussurra,
il cane tossisce
masticando
croccantini puzzolenti
che tintinnano nella ciotola e
pure
le monete nel porcellino che grugnisce soddisfatto
e mio padre russa
dopo due cruciverba
sul divano di vimini
e la notte ha troppo da dire
e nessuno l'ascolta.
Fonzie
prende a cazzotti
un altro juke-box e
dylan dog non ha la forfora
e io non mi metto
giacche nere
per non vedere nevicare sul buio.
ululano i venditori
non hanno più almanacchi
ma due pacchi di biscotti, signora,
solamente cinquemila lire
e venticinque tortine, dico proprio a lei
signora, pure le ciambelline
solo cinquemila lire
e pure i polaretti per i picciriddi, signora
venga ad assaggiare gratuitamente
e abbassa
quello stereo che
ne ho le palle piene dei beatles
e i manichini vivono il loro inverno
e altre ascelle sudano
alla fine di quest'estate
un sottile dispiacere
imita
la voce della schiuma dello shampoo
e solo cinquemila signora,
assaggi pure
signora e se
scendo ti faccio
volare John Lennon
dal balcone
e un altro mozzicone
di marlboro
nel vaso dei gerani
e la notte ha ancora troppo da dire.


THAT'S SICILY!


tutta la famiglia
snocciola
avemarie
sui grani del rosario e i cani abbaiano
in sottofondo.
la zia piange
e si batte il petto
e il piccolino lancia cozzi di pizza al cane.
la mamma ripensa alla sua laurea in teologia e lancia anatemi
alla fornicazione e io
noncelafacciononcelafaccio
e guardo
Serena e lei guarda me
e scappa nella sua stanza
e ancora devo finire di leggere l'Orlando furioso
sarebbe bello
Volare sull'ippogrifo


lontano...


sotto il pergolato della zia Maria Pia
Catia si liscia la pancia
sognando bomboniere e pannolini e ride
sulla diagnosi dello
psichiatra.
Mio zio s'è perso
tra i pensieri
e non vuole ascoltare, le sue mani da muratore
sudano
e il dolore cresce e cazzo, siamo
nel 2001 e ancora
si parla di fuitine
e mia madre
stringe le sue due lauree e cerca
di capire e
sputa su quella fornicazione
nessuno pensa ai bambini
e i piedi di Francesco puzzano,
falli stare zitti quei maledetti cani,
mia zia
si scaglia contro sua figlia
e gloria al Padre al Figlio e
allo Spirito Santo
e solo un altro schiaffo
com'era nel principio guardo mia madre
e un'altra estate muore
e io ancora non ci credo
e sarà sempre
nei secoli dei secoli.
Amen


***


LA DANZA DELLE MARIONETTE


nemmeno so
com'è fatto un colibrì
ma voglio andare via prima
che Pippo mi chiami un'altra volta compagno
passandomi il manifesto
e Liberazione
e snocciolando il resto
cercando di capire
che 1500 lire saranno 0,77 euro
e chiederò a mio padre
5 euro,
sempre quelle 10 carte
che mi servono per
far bere un pò quella
sconsolata
R4 che aspetta qualche altra ragazza sul sedile anteriore
e io sono stanco
solo a pensare di ricominciare tutta quella danza delle marionette
per un bacio
e magari se mi và bene un'altra notte
da intaccare
sulla colt che non ho
perché sono pacifista
ma lo so che ci cadrò di nuovo
e basteranno
magari solo due fossette
e gli attimi fuggono ed è tutta fatica sprecata
corrergli dietro,
Gatsby è morto
e io cerco un'altra Daisy.


RANDAGIO BLUES


Ascolta...
sì, proprio tu... ciuccia quell'ultimo sorso di bracardi breeze
all'orange
e ascolta.
come cosa?
ascolta.


niente?
ma sei sordo?
la voce delle lattine che rotolano,
la saracinesca della champagneria del Massimo
che chiude...
e guardali bene
fumano una dopo l'altra
contrattano poster dei simpson
ma sono così...
così grigi.
Sì, sono uomini grigi,
Grigi fuori e grigi dentro...


preferisco le mie pulci a quel grigiore, e tu?


"BAU!"


THAT'S SICILY - (part 2)
Catia non si liscia più la pancia e pensa
solo a dimagrire sognando la nuova campanella
che suonerà a fine settembre e Piero
ha messo via la fascia da cameriere e il finto curriculum
da sciorinare in faccia a tutti, l'ha stirata e conservata
con la targa vinta per quel nuovo coktail inventato
in una delle tante notti che ha passato solo nel suo bungalow,
notti che poi ha gonfiato con stracci
di vita presi in prestito all'ultimo romanzo
di Donald Westlake.
Sua sorella è sempre sotto il portico
con un'altra 100's accesa per coprire il puzzo del
pannolone della nonna, la vecchia dagli occhi cattivi che aspetta
suo padre e suo marito nella faccia di suo figlio.
Lo zio è tornato, stanco delle sue bugie
ripassando le alternate verità che si è cucito
per darsi un certo status, ha il borsello
pieno perchè qualcuno s'è scordato nel suo autobus una copia
sgualcita e ingiallita delle avventure di Gulliver,
fuma un altro mezzo sigaro e dal cofano della Uno
ha sceso un'altra faccia di santo gesso per tenere compagnia alla triste
e bianca Madonna da 7 euro che sua moglie tiene in veranda.


Sto guardando la testa di mio padre e cerco proprio lì
la definizione per riempire il 7 verticale
del cruciverba a stile libero che si porta dietro
da tre anni, sempre quello e gli occhialini da lettura presi alla
Rinascente.
Scriverà altre due definizioni e poi si addormenterà, di traverso
sui tre cuscini del dondolo.


_________________
O d i o questo monitor
e di più le vostre facce che lo guardano
Invece di guardare me.
Rivoglio le rughe sulla fronte,
gli schizzi dei th
con la lingua accucciata tra gli incisivi
per imitare le parole inglesi.
Rivoglio il puzzo di sudore e sentire che sei zuppo
un secondo dopo che ti ho dato una pacca sulla schiena,
rivoglio il rumore della barba sgrattata,
rivoglio il dubbio che ho la patta aperta
e pure l’odore del profumo tuo,
rivoglio i tuoi occhi e toccare
te e non solo 'sto sorcio attaccato al filo,
toccare te e toccarti la curva della pancia
e ridere solo con gli occhi,
senza mettere due punti, trattino e parentesi.
: - )
L’ho capito solo oggi e
i futuri contingenti
li lascio tutti a te.
Me ne vado a giocare a scacchi con i segni
e con l’Ornitorinco-Che-Non-Sa-Di-Non-Essere-Possibile.
Sa solo che il sole sorge lo stesso, pensa
che ci siamo talmente abituati
che ci resteremmo male a vedere
il cielo tenuto su dai cocuzzoli delle montagne
sgranocchiate male dalle nuvole.
L’ho capito, saluto e ribadisco
che non sono io questo qui.
Solo un sorriso per la foto saturnista
che tanto la macchina fotografica non l’ho mai avuta, anzi
l’ho avuta e poi l’ho abolita:
era poco obiettiva e aveva
solo un piccolo e striminzito punto di vista.
Silenzio cieco.
Tutto si perde nel gracidare del modem
perduto lungo le doppie rotte della filosofia.

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