lunedì 30 giugno 2003

Quel che giusto è giusto. Il prof. Mancini merita di essere segnalato. E' un genio. Ama il suo lavoro e riesce a far amare la sua materia. Anche se non capirò mai che cacchio vuol dire una cosa che diceva sempre a lezione: "Se mio nonno avesse le ruote.... sarebbe una carriola". Ok, è una deduzione sbilenca, tipo i vari equilibrismi sintattici di Eutidemo e Dionisidoro nell'Eutidemo platonico, ma se mio nonno avesse le ruote (quindi 2 o più) perché, cribbio, dovrebbe essere una carriola? Le carriole non hanno solo una ruota?


Scusate la digressione ma oggi a Palermo c'erano 35 gradi, ho sostenuto l'esame di Morale e mi sono acchiappato il mio bel 30, lo so, il voto è un feticcio ma i feticci li voglio vedere schierati uno dopo l'altro sulle righe del libretto...


Ci sono incontri che ti segnano, questo è uno di quelli.


Vediamo un pò: 4 esami a settembre e poi gli ultimi 5 per arrivare alla laurea...

Quel che giusto è giusto. Il prof. Mancini merita di essere segnalato. E' un genio. Ama il suo lavoro e riesce a far amare la sua materia. Anche se non capirò mai che cacchio vuol dire una cosa che diceva sempre a lezione: "Se mio nonno avesse le ruote.... sarebbe una carriola". Ok, è una deduzione sbilenca, tipo i vari equilibrismi sintattici di Eutidemo e Dionisidoro nell'Eutidemo platonico, ma se mio nonno avesse le ruote (quindi 2 o più) perché, cribbio, dovrebbe essere una carriola? Le carriole non hanno solo una ruota?


Scusate la digressione ma oggi a Palermo c'erano 35 gradi, ho sostenuto l'esame di Morale e mi sono acchiappato il mio bel 30, lo so, il voto è un feticcio ma i feticci li voglio vedere schierati uno dopo l'altro sulle righe del libretto...


Ci sono incontri che ti segnano, questo è uno di quelli.


Vediamo un pò: 4 esami a settembre e poi gli ultimi 5 per arrivare alla laurea...

domenica 29 giugno 2003

Sì, ci sono libri che ti segnano a vita. Lo dicevo qualche post fa. Stavo riflettendo: oltre che macchiafogli e tastiera-dipendente sono anche un lettore famelico e, credetemi, quella panzana di Baricco sul nesso sconfitta-lettura non la digerisco proprio. Chi legge è uno sconfitto dalla vita che rischia solo così, girando pagina per non sporcarsi di gocce di vita. Baggianate! Leggere è immergersi in un mondo fantastico. Oltre il tempo, oltre lo spazio. Prendiamo uno dei frammenti di quei libri che mi hanno macchiato l'anima:


Ragazzo, uno non chiede che carta e vento, ha solo bisogno di lanciare un aquilone. Esce e lo lancia; ed è grido che si alza da lui, e il ragazzo lo porta per le sfere con filo lungo che non si vede, e così la sua fede consuma, celebra la certezza. Ma dopo che farebbe con la certezza? Dopo uno conosce le offese recate al mondo, l’empietà, e la servitù, l’ingiustizia tra gli uomini, e la profanazione della vita terrena contro il genere umano e contro il mondo. Che farebbe allora se avesse pur sempre certezza? Che farebbe? Uno si chiede. Che farei, che farei?


é Elio Vittorini nella sua conversazione in Sicilia. Ora così, sulla scia delle emozioni, lascio qui un racconto sgocciolato troppo tempo fa sulla mia tastiera.


LE 3 PAROLE MAGICHE


Ti capita quella mattina che pizzichi e spizzichi la lente a contatto senza ottenerne collaborazione. Te la spiaccichi contro la pupilla e lei preferisce starsene comodamente appollaiata sul tuo polpastrello. A Tonino era capitata una di quelle mattinate. Alla fine uscì di casa col naso pesante dei suoi vecchi occhiali, le ascelle che rilasciavano piano piano tracce di Axe e la gola ancora zuppa di collutorio. La strada era sempre quella, s'imboccava via Morana e i piedi seguivano quel tragitto troppo noto senza comunicare col cervello. Masticava le sue tre parole magiche e senza neanche accorgersene era già al Liceo. Arrivava ogni giorno con un ritardo variabile, tutto dipendeva da quelle maledette lentine. Oggi aveva sforato di una buona quindicina di minuti, non c'era nessuno a sfumacchiare marlboro sul marciapiede. Aveva perso tutto quello che c'era da perdere, solo le tre parole gli restavano e per questo continuava a ripeterle, per non restare ancora più solo.
Salutava con distacco i suoi compagni, un breve cenno alla professoressa di turno e una scusa farfugliata prima di precipitare dentro quelle sei ore che ti scorrevano lente e distanti. Tutti i concetti che scaccolavano fuori dalle bocche laureate chiedevano almeno un minimo d'attenzione. Tonino restava prigioniero della seconda fila con in testa le tre parole che piroettavano felici. I richiami di questa o quella professoressa lo strappavano via per un solo istante, bastava poco per ritornare lì. Nessuno lo sapeva, pensavano che era un ragazzo strano ma niente di più. Al suo compagno di banco bastava scopiazzare dalla sua versione di latino, ai professori che sapesse vomitare concettismi se interpellato e riempire le colonne di un tema. La campanella della sesta ora aveva assassinato anche quel giorno, Tonino poteva tornare da loro, era a casa. La casa dei suoi genitori non riusciva a sentirla sua, sembrava che quei muri lo tenessero prigioniero, lo soffocavano gocciolando ducotone. Per andare via di lì non bastava la patente o i diciott'anni, quell'angoscia ti avrebbe seguito sino in capo al mondo. C'era solo un modo e lui lo sapeva. Gli bastavano le sue tre parole magiche, solo quelle.
Il pranzo era una farsa, la madre gli chiedeva cose che non le interessavano e lui rispondeva con parole vuote e sorrisini d'occasione. Un giorno o l'altro gli sarebbe andata di traverso la pastasciutta e rantolante, boccheggiando forse avrebbe visto suo padre reagire finalmente a uno stimolo esterno. Poteva finalmente alzarsi dalla tavola e scendere nella sua stanza, si rintanava lì, provava una decina di diverse posizioni e slacciandosi le scarpe sistemava la luce ideale. Iniziava la sua magia e sussurrava le sue tre parole magiche, sull'ultima sillaba entrava in quell'ignoto mondo. Vagava con le orecchie piene di voci sconosciute, schiudendo gli occhi miopi a nuove percezioni. Il cielo aveva nuove sfumature e le nuvole lo cullavano sospirandogli la vecchia magia che aveva afferrato da piccolo. Il tempo lì era strano, qualcosa che passava in secondo piano e certe volte scompariva rapito da una lumaca che lo nascondeva dentro la sua conchiglia. Altre volte un cane nero correva veloce e acchiappava tra i denti bianchi minuti, ore, mesi. Correva lontano e scavava grosse buche in cui faceva sparire i figli del tempo.


"Tonino è tardi! Non devi studiare? Perdi tempo prezioso!" la voce di sua madre lo risucchiava via, lo strappava da quello strano, ignoto mondo per riconsegnarlo alla grigia realtà. Lei aveva dimenticato quell'incantesimo, lei che glielo aveva insegnato!
Tonino non voleva dimenticare e le ripeteva senza fermarsi come le parole di una vecchia canzone che ti s'incollano in testa e non riesci più a scrollartele via. Lui non voleva perdere l'unico accesso, l'unica chiave per quell'universo di luna.
"IO AMO LEGGERE, IO AMO LEGGERE, IO AMO LEGGERE" lo diceva ed era vero. Amava avventurarsi lungo capitoli che graffiavano il cielo del magico mondo della lettura, adorava guadare il fiume d'inchiostro saltando di libro in libro, arrampicarsi su per le virgolette che imprigionavano e le parole di personaggi che si staccavano dal testo e vivevano. Non si sarebbe mai stancato di giocare a rimpiattino con la lumaca e il cane nero dai denti bianchi, li avrebbe cercati e non avrebbe mai svelato il loro segreto. Ancora per molti anni avrebbe assistito in diretta a quel miracolo che si rinnovava giorno dopo giorno, ogni volta che apriva la copertina di un libro e con la bocca traboccante delle sue tre parole magiche avrebbe rivisto quel cielo dove gli aquiloni volavano liberi, volavano senza fili, volavano come lui stesso riusciva a volare.

  Ed ecco il bannerino per linkare i miei dicotomici furori

Sì, ci sono libri che ti segnano a vita. Lo dicevo qualche post fa. Stavo riflettendo: oltre che macchiafogli e tastiera-dipendente sono anche un lettore famelico e, credetemi, quella panzana di Baricco sul nesso sconfitta-lettura non la digerisco proprio. Chi legge è uno sconfitto dalla vita che rischia solo così, girando pagina per non sporcarsi di gocce di vita. Baggianate! Leggere è immergersi in un mondo fantastico. Oltre il tempo, oltre lo spazio. Prendiamo uno dei frammenti di quei libri che mi hanno macchiato l'anima:


Ragazzo, uno non chiede che carta e vento, ha solo bisogno di lanciare un aquilone. Esce e lo lancia; ed è grido che si alza da lui, e il ragazzo lo porta per le sfere con filo lungo che non si vede, e così la sua fede consuma, celebra la certezza. Ma dopo che farebbe con la certezza? Dopo uno conosce le offese recate al mondo, l’empietà, e la servitù, l’ingiustizia tra gli uomini, e la profanazione della vita terrena contro il genere umano e contro il mondo. Che farebbe allora se avesse pur sempre certezza? Che farebbe? Uno si chiede. Che farei, che farei?


é Elio Vittorini nella sua conversazione in Sicilia. Ora così, sulla scia delle emozioni, lascio qui un racconto sgocciolato troppo tempo fa sulla mia tastiera.


LE 3 PAROLE MAGICHE


Ti capita quella mattina che pizzichi e spizzichi la lente a contatto senza ottenerne collaborazione. Te la spiaccichi contro la pupilla e lei preferisce starsene comodamente appollaiata sul tuo polpastrello. A Tonino era capitata una di quelle mattinate. Alla fine uscì di casa col naso pesante dei suoi vecchi occhiali, le ascelle che rilasciavano piano piano tracce di Axe e la gola ancora zuppa di collutorio. La strada era sempre quella, s'imboccava via Morana e i piedi seguivano quel tragitto troppo noto senza comunicare col cervello. Masticava le sue tre parole magiche e senza neanche accorgersene era già al Liceo. Arrivava ogni giorno con un ritardo variabile, tutto dipendeva da quelle maledette lentine. Oggi aveva sforato di una buona quindicina di minuti, non c'era nessuno a sfumacchiare marlboro sul marciapiede. Aveva perso tutto quello che c'era da perdere, solo le tre parole gli restavano e per questo continuava a ripeterle, per non restare ancora più solo.
Salutava con distacco i suoi compagni, un breve cenno alla professoressa di turno e una scusa farfugliata prima di precipitare dentro quelle sei ore che ti scorrevano lente e distanti. Tutti i concetti che scaccolavano fuori dalle bocche laureate chiedevano almeno un minimo d'attenzione. Tonino restava prigioniero della seconda fila con in testa le tre parole che piroettavano felici. I richiami di questa o quella professoressa lo strappavano via per un solo istante, bastava poco per ritornare lì. Nessuno lo sapeva, pensavano che era un ragazzo strano ma niente di più. Al suo compagno di banco bastava scopiazzare dalla sua versione di latino, ai professori che sapesse vomitare concettismi se interpellato e riempire le colonne di un tema. La campanella della sesta ora aveva assassinato anche quel giorno, Tonino poteva tornare da loro, era a casa. La casa dei suoi genitori non riusciva a sentirla sua, sembrava che quei muri lo tenessero prigioniero, lo soffocavano gocciolando ducotone. Per andare via di lì non bastava la patente o i diciott'anni, quell'angoscia ti avrebbe seguito sino in capo al mondo. C'era solo un modo e lui lo sapeva. Gli bastavano le sue tre parole magiche, solo quelle.
Il pranzo era una farsa, la madre gli chiedeva cose che non le interessavano e lui rispondeva con parole vuote e sorrisini d'occasione. Un giorno o l'altro gli sarebbe andata di traverso la pastasciutta e rantolante, boccheggiando forse avrebbe visto suo padre reagire finalmente a uno stimolo esterno. Poteva finalmente alzarsi dalla tavola e scendere nella sua stanza, si rintanava lì, provava una decina di diverse posizioni e slacciandosi le scarpe sistemava la luce ideale. Iniziava la sua magia e sussurrava le sue tre parole magiche, sull'ultima sillaba entrava in quell'ignoto mondo. Vagava con le orecchie piene di voci sconosciute, schiudendo gli occhi miopi a nuove percezioni. Il cielo aveva nuove sfumature e le nuvole lo cullavano sospirandogli la vecchia magia che aveva afferrato da piccolo. Il tempo lì era strano, qualcosa che passava in secondo piano e certe volte scompariva rapito da una lumaca che lo nascondeva dentro la sua conchiglia. Altre volte un cane nero correva veloce e acchiappava tra i denti bianchi minuti, ore, mesi. Correva lontano e scavava grosse buche in cui faceva sparire i figli del tempo.


"Tonino è tardi! Non devi studiare? Perdi tempo prezioso!" la voce di sua madre lo risucchiava via, lo strappava da quello strano, ignoto mondo per riconsegnarlo alla grigia realtà. Lei aveva dimenticato quell'incantesimo, lei che glielo aveva insegnato!
Tonino non voleva dimenticare e le ripeteva senza fermarsi come le parole di una vecchia canzone che ti s'incollano in testa e non riesci più a scrollartele via. Lui non voleva perdere l'unico accesso, l'unica chiave per quell'universo di luna.
"IO AMO LEGGERE, IO AMO LEGGERE, IO AMO LEGGERE" lo diceva ed era vero. Amava avventurarsi lungo capitoli che graffiavano il cielo del magico mondo della lettura, adorava guadare il fiume d'inchiostro saltando di libro in libro, arrampicarsi su per le virgolette che imprigionavano e le parole di personaggi che si staccavano dal testo e vivevano. Non si sarebbe mai stancato di giocare a rimpiattino con la lumaca e il cane nero dai denti bianchi, li avrebbe cercati e non avrebbe mai svelato il loro segreto. Ancora per molti anni avrebbe assistito in diretta a quel miracolo che si rinnovava giorno dopo giorno, ogni volta che apriva la copertina di un libro e con la bocca traboccante delle sue tre parole magiche avrebbe rivisto quel cielo dove gli aquiloni volavano liberi, volavano senza fili, volavano come lui stesso riusciva a volare.

  Ed ecco il bannerino per linkare i miei dicotomici furori

Ulisse, lumache e cioccolatini


Un Jesù Punk, un rappresentante di articoli per suicidi, tanto buon rock e una grande storia d'amore... by Tonino Pintacuda


Ecco la nona scheggia... Per riprendere il filo qui ci sono le puntate precedenti: Intro (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8)


Nono


"Svegliati ragazzo, devo passare l'apirapolvere... Sveglia!" una voce strappò Ulisse dal sonno che era calato sui suoi pensieri. Doveva essere la maschera del teatro, la sala era ancora buia. Di Nicodemo nessuna traccia, anche lui scomparso.
La maschera lo guardava con due piccoli occhietti che sembravano verdi nel fuoco fatuo della lampada che teneva in mano. Le luci si accesero e Ulisse vide la sua faccia tra la barba rossastra che gli copriva le guance. L'aveva già visto, n'era sicuro. Non domandò nulla, s'alzò dalla sedia scotolandosi le briciole di popcorn e gettando nel cestino il bicchiere di coca cola che qualche baciapile gli aveva appeso sul pene.
Osservò i quadri che riempivano le pareti della sala, girasoli, dovunque maledetti girasoli. I girasoli si trascinavano dietro il più strano deja-vù della sua breve vita. Qualcosa che aveva a che fare con la maschera che l'aveva svegliato. Si girò e lo cercò. Inutile, era ancora più solo e Lisa era così lontana. Non trovava più la porta, tutte le pareti erano cieche, nessuna finestrella, nessun abbaino, nessun buco per topi. Solo solidi blocchi di tufo tirati su a cazzuolettate di calce e cemento. Il palco non aveva le quinte e nessuna porta laterale. Era prigioniero di quella stanza e aveva pure fame.
L'avventura continuava e lui era così stanco con in testa la faccia di Lisa che gli urlava aiuto. Doveva schizzare fuori da quella canzone di Battiato prima del ritornello. Di JC poteva anche fare a meno. Non era troppo sicuro di niente ma amava Lisa e Lisa era la sua priorità assoluta. Il resto poteva benissimo aspettare. Non c'erano porte ma da qualche parte sentiva uno spiffero. Non era Mc Giver ma se la sapeva cavare sempre in ogni caso. Guardò tra le fila del teatro, tra le cartacce e i popcorn c'era un rivoletto di coca cola che scendeva verso un piccolo forellino. Staccò la spina d'un portalampada e incominciò a martellare il pavimento. Indiana Jones non avrebbe saputo fare di meglio. Si ritrovò sudato e con la mattonella di marmo appena spizzicata. Doveva trovare una soluzione, non poteva più restare lì. Il telone era attaccato al solaio, s'arrampicò sulla stoffa pesante facendo leva sulla braccia. Arrivò in cima tutto sudato con una tosse piena zeppa di polvere. Trovò una scala e vi s'arrampicò.


C'erano tre sentieri con tutte le corde delle scenografie e con i contrappesi che sembravano tanti impiccati marciti al sole. Sarebbe tornato da Lisa, se lo sentiva. Ripescò nella sua testaccia tutto quello che gli avevano insegnato i film. Quei sacchi di sabbia compaiono spesso nei copioni. O finivano in testa all'antipatico di turno o servivano come spinte ascensionali. Bastava tagliare qualche corda. Aveva solo le unghia e i denti. Rosicchiò come un vecchio topo sdentato sputacchiando canapa e polvere e sudore. Dopo qualche ora e vari tentativi sbagliati, azzeccò la corda giusta e s'aggrappò all'altro capo. Finalmente la sua fatica portò qualche risultato. Un bella vetrata riempiva la parete, una vetrata che aspettava solo di essere violata. Si dondolò sulla corda ululando come un coyote e con un calcio ben assestato si fratturò tre o quattro dita dei piedi. La vetrata era blindata. A Mc Giver ste cose non capitavano mai. Aguzzò l'ingegno mandando a fanculo tutte quelle perle hollywoodiane, meglio fare affidamento solo sul cervello. Sto vetro non poteva essere incastonato direttamente sulla parete, era stato installato successivamente, magari con un bel telaietto d'alluminio con quattro viti parker per lato. L'intuizione era giusta ora ci voleva un coltellino svizzero o un bel piede di porco. Si guardò in giro ancora appeso come un salame a quel mozzicone di corda. Niente d'utile al suo piano di fuga.
Le viti erano state avvitate alla perfezione e lui non aveva niente neanche per allentarle. Ispezionò tutto il perimetro della vetrata e poi decise di riscendere alla ricerca di qualcosa per forzare quella maledetta finestra. Scese ustionandosi le dita spellate dalla corda e nessun'intuizione fece capolino tra i capelli. Si mise a fischiettare quella canzone degli U2, With or without you era la loro canzone. La canticchiò sottovoce con gli occhi chiusi e finì di nuovo tra le sedie scomode e sudate. Alcuni girasoli erano di cartapesta. Finalmente l'epifania che aveva tanto aspettato! Aveva un cugino di sette anni che l'obbligava a sorbirsi tutte le puntate dell'albero azzurro. Quel maledetto uccellaccio spennacchiato ripeteva ogni due minuti di farsi aiutare da un adulto e Ulisse era abbastanza grande da usare una bucafogli e una spillatrice. Il cuginetto gliel'aveva sempre detto, qualche volta Dodò l'avrebbe aiutato. Ed era vero. Colse una decina di girasoli cartapestati e li spogliò sino all'anima di fil di ferro. Stava raccogliendo l'ultimo quando s'accorse che dietro quel campo di fiori c'era una piccola porticina, era proprio lì, dietro un cespuglio di gesso. Era solo una botola di 50 cm per lato ma era la via di fuga ideale. Prese tutti i bicchieri di coca cola con qualche rimasuglio e si innaffiò di bibite per ridurre l'attrito con le pareti del cunicolo. Strisciò come una biscia tra la curiosità unanime degli scarafaggi. Qualcuno ne approfittò per zampettare tra i capelli e sgranocchiarsi qualche granello di forfora. L'attraversata sembrava non finire mai, sinora aveva solo guadagnato merda di topo, ematomi multicolori e lacerazioni multiple e nient'altro. Non poteva neanche fare marcia indietro, sarebbe morto lì pensando a Lisa e senza mutande.


Lisa lo aspettava, doveva tornare da lei, riabbracciarla, perdersi nei suoi baci e fuggire via da quella maledetta Bagheria, da quel maledetto cielo maligno e da quella stupida apatia che cala come mannaia. Sarebbero scappati via a bordo della Renò con il serbatoio pieno oltre misura con la colonna sonora sputata dal mangianastri. Magari quel bastardo del pater di Lisa avrebbe appiccicato le loro foto segnaletiche a ogni casello ma loro ce l'avrebbero fatta. Non potevano fermare i loro sogni, nessuno aveva impedito al capitano Achab di affondare insieme alla sua chimera bianca. Magari avrebbero chiesto un passaggio al biplano di Donald Shimoda o sarebbero planati sui sogni di qualche bimbo che faceva volare il suo spensierato aquilone. Sarebbero stati finalmente felici, Ulisse libero con gli occhi negli occhi di chi ama e Lisa con un sorriso mentre tutti i tubetti di colla del mondo aspettavano nuove rotture. Sarebbero stati felici, felici come non mai a spingere il macigno su quella collina che è già montagna, una montagna sempre più alta e loro a spingere sempre più su, spingere assieme l'eredità di Sisifo. Sisifo che aveva giocato anche la morte, ubriacandola di parole e per qualche tempo nessuno poteva più morire. Giove aveva perfino smesso d'inseguire procaci ninfette, aveva spacchettato la nera signora e aveva regalato a quel furbastro quella punizione che continuava ancora oggi. Come se non dovessimo mai morire, lo diceva sempre a Lisa, come se non dovessi mai più tornare a casa.
Lisa lo stava aiutando e lui si impegnò con tutta la forza di cui era capace e alla fine ci riuscì.


Ulisse era nato un'altra volta, sputato via da quel budello di pensieri. Si girò a guardare quel tunnel: erano solo una trentina di centimetri che s'erano dilatati innaffiati di sconforto.

Ulisse, lumache e cioccolatini


Un Jesù Punk, un rappresentante di articoli per suicidi, tanto buon rock e una grande storia d'amore... by Tonino Pintacuda


Ecco la nona scheggia... Per riprendere il filo qui ci sono le puntate precedenti: Intro (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8)


Nono


"Svegliati ragazzo, devo passare l'apirapolvere... Sveglia!" una voce strappò Ulisse dal sonno che era calato sui suoi pensieri. Doveva essere la maschera del teatro, la sala era ancora buia. Di Nicodemo nessuna traccia, anche lui scomparso.
La maschera lo guardava con due piccoli occhietti che sembravano verdi nel fuoco fatuo della lampada che teneva in mano. Le luci si accesero e Ulisse vide la sua faccia tra la barba rossastra che gli copriva le guance. L'aveva già visto, n'era sicuro. Non domandò nulla, s'alzò dalla sedia scotolandosi le briciole di popcorn e gettando nel cestino il bicchiere di coca cola che qualche baciapile gli aveva appeso sul pene.
Osservò i quadri che riempivano le pareti della sala, girasoli, dovunque maledetti girasoli. I girasoli si trascinavano dietro il più strano deja-vù della sua breve vita. Qualcosa che aveva a che fare con la maschera che l'aveva svegliato. Si girò e lo cercò. Inutile, era ancora più solo e Lisa era così lontana. Non trovava più la porta, tutte le pareti erano cieche, nessuna finestrella, nessun abbaino, nessun buco per topi. Solo solidi blocchi di tufo tirati su a cazzuolettate di calce e cemento. Il palco non aveva le quinte e nessuna porta laterale. Era prigioniero di quella stanza e aveva pure fame.
L'avventura continuava e lui era così stanco con in testa la faccia di Lisa che gli urlava aiuto. Doveva schizzare fuori da quella canzone di Battiato prima del ritornello. Di JC poteva anche fare a meno. Non era troppo sicuro di niente ma amava Lisa e Lisa era la sua priorità assoluta. Il resto poteva benissimo aspettare. Non c'erano porte ma da qualche parte sentiva uno spiffero. Non era Mc Giver ma se la sapeva cavare sempre in ogni caso. Guardò tra le fila del teatro, tra le cartacce e i popcorn c'era un rivoletto di coca cola che scendeva verso un piccolo forellino. Staccò la spina d'un portalampada e incominciò a martellare il pavimento. Indiana Jones non avrebbe saputo fare di meglio. Si ritrovò sudato e con la mattonella di marmo appena spizzicata. Doveva trovare una soluzione, non poteva più restare lì. Il telone era attaccato al solaio, s'arrampicò sulla stoffa pesante facendo leva sulla braccia. Arrivò in cima tutto sudato con una tosse piena zeppa di polvere. Trovò una scala e vi s'arrampicò.


C'erano tre sentieri con tutte le corde delle scenografie e con i contrappesi che sembravano tanti impiccati marciti al sole. Sarebbe tornato da Lisa, se lo sentiva. Ripescò nella sua testaccia tutto quello che gli avevano insegnato i film. Quei sacchi di sabbia compaiono spesso nei copioni. O finivano in testa all'antipatico di turno o servivano come spinte ascensionali. Bastava tagliare qualche corda. Aveva solo le unghia e i denti. Rosicchiò come un vecchio topo sdentato sputacchiando canapa e polvere e sudore. Dopo qualche ora e vari tentativi sbagliati, azzeccò la corda giusta e s'aggrappò all'altro capo. Finalmente la sua fatica portò qualche risultato. Un bella vetrata riempiva la parete, una vetrata che aspettava solo di essere violata. Si dondolò sulla corda ululando come un coyote e con un calcio ben assestato si fratturò tre o quattro dita dei piedi. La vetrata era blindata. A Mc Giver ste cose non capitavano mai. Aguzzò l'ingegno mandando a fanculo tutte quelle perle hollywoodiane, meglio fare affidamento solo sul cervello. Sto vetro non poteva essere incastonato direttamente sulla parete, era stato installato successivamente, magari con un bel telaietto d'alluminio con quattro viti parker per lato. L'intuizione era giusta ora ci voleva un coltellino svizzero o un bel piede di porco. Si guardò in giro ancora appeso come un salame a quel mozzicone di corda. Niente d'utile al suo piano di fuga.
Le viti erano state avvitate alla perfezione e lui non aveva niente neanche per allentarle. Ispezionò tutto il perimetro della vetrata e poi decise di riscendere alla ricerca di qualcosa per forzare quella maledetta finestra. Scese ustionandosi le dita spellate dalla corda e nessun'intuizione fece capolino tra i capelli. Si mise a fischiettare quella canzone degli U2, With or without you era la loro canzone. La canticchiò sottovoce con gli occhi chiusi e finì di nuovo tra le sedie scomode e sudate. Alcuni girasoli erano di cartapesta. Finalmente l'epifania che aveva tanto aspettato! Aveva un cugino di sette anni che l'obbligava a sorbirsi tutte le puntate dell'albero azzurro. Quel maledetto uccellaccio spennacchiato ripeteva ogni due minuti di farsi aiutare da un adulto e Ulisse era abbastanza grande da usare una bucafogli e una spillatrice. Il cuginetto gliel'aveva sempre detto, qualche volta Dodò l'avrebbe aiutato. Ed era vero. Colse una decina di girasoli cartapestati e li spogliò sino all'anima di fil di ferro. Stava raccogliendo l'ultimo quando s'accorse che dietro quel campo di fiori c'era una piccola porticina, era proprio lì, dietro un cespuglio di gesso. Era solo una botola di 50 cm per lato ma era la via di fuga ideale. Prese tutti i bicchieri di coca cola con qualche rimasuglio e si innaffiò di bibite per ridurre l'attrito con le pareti del cunicolo. Strisciò come una biscia tra la curiosità unanime degli scarafaggi. Qualcuno ne approfittò per zampettare tra i capelli e sgranocchiarsi qualche granello di forfora. L'attraversata sembrava non finire mai, sinora aveva solo guadagnato merda di topo, ematomi multicolori e lacerazioni multiple e nient'altro. Non poteva neanche fare marcia indietro, sarebbe morto lì pensando a Lisa e senza mutande.


Lisa lo aspettava, doveva tornare da lei, riabbracciarla, perdersi nei suoi baci e fuggire via da quella maledetta Bagheria, da quel maledetto cielo maligno e da quella stupida apatia che cala come mannaia. Sarebbero scappati via a bordo della Renò con il serbatoio pieno oltre misura con la colonna sonora sputata dal mangianastri. Magari quel bastardo del pater di Lisa avrebbe appiccicato le loro foto segnaletiche a ogni casello ma loro ce l'avrebbero fatta. Non potevano fermare i loro sogni, nessuno aveva impedito al capitano Achab di affondare insieme alla sua chimera bianca. Magari avrebbero chiesto un passaggio al biplano di Donald Shimoda o sarebbero planati sui sogni di qualche bimbo che faceva volare il suo spensierato aquilone. Sarebbero stati finalmente felici, Ulisse libero con gli occhi negli occhi di chi ama e Lisa con un sorriso mentre tutti i tubetti di colla del mondo aspettavano nuove rotture. Sarebbero stati felici, felici come non mai a spingere il macigno su quella collina che è già montagna, una montagna sempre più alta e loro a spingere sempre più su, spingere assieme l'eredità di Sisifo. Sisifo che aveva giocato anche la morte, ubriacandola di parole e per qualche tempo nessuno poteva più morire. Giove aveva perfino smesso d'inseguire procaci ninfette, aveva spacchettato la nera signora e aveva regalato a quel furbastro quella punizione che continuava ancora oggi. Come se non dovessimo mai morire, lo diceva sempre a Lisa, come se non dovessi mai più tornare a casa.
Lisa lo stava aiutando e lui si impegnò con tutta la forza di cui era capace e alla fine ci riuscì.


Ulisse era nato un'altra volta, sputato via da quel budello di pensieri. Si girò a guardare quel tunnel: erano solo una trentina di centimetri che s'erano dilatati innaffiati di sconforto.

sabato 28 giugno 2003

Siamo arrivati a 6400  visitatori. Grazie a tutti gli allegri ragazzi morti™ . Beccatevi pure un dicotomico sorriso...
Siamo arrivati a 6400  visitatori. Grazie a tutti gli allegri ragazzi morti™ . Beccatevi pure un dicotomico sorriso...

Lunedì: ultimo esame della sessione estiva...



Filosofia morale


(Filosofia della Conoscenza e della Comunicazione)


Prof. Sandro Mancini


PROGRAMMA a.a. 2002/2003


Argomento del corso


Dal "sogno di una cosa" alla critica dell'economia politica: la filosofia della prassi di Karl Marx


 


 I Modulo:  Inquadramento critico del pensiero marxiano, enucleazioni delle sue fonti filosofiche, analisi degli scritti giovanili


 II Modulo: I cardini teorici della critica dell'economia politica


 III Modulo: Il primo libro de Il capitale


 Testi


I Modulo


1) K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, pagg. 69-188.


2) ID., Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, in K. Marx, La questione ebraica, Editori Riuniti, pagg. 91-110.


3) 5) ID., Tesi su Feuerbach.


4) K. Marx - F. Engels, L'ideologia tedesca (Prefazione e Sezione I: Feuerbach, Editori Riuniti, pagg. 3-70. Il testo della prima sezione è stato pubblicato dal medesimo editore, col titolo redazionale La concezione materialistica della storia).


 II Modulo


1) K. Marx, Per la critica dell'economia politica,  Prefazione, Editori Riuniti, pagg. 4-8.


2) ID., Salario, prezzo, profitto, Editori Riuniti, pagg. 6-14, 55-114.


3) ID., Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica (Grundrisse), La Nuova Italia oppure Einaudi. Brani scelti dai quaderni M, I, II, III, IV, VI, VII (Nell'edizione La Nuova Italia: vol. I, pagg. 3-40, 96-120, 223-275, 277-299; vol. II, pagg. 59-94, 387-411, 454-473).


III Modulo


1) K. Marx, Il Capitale, Libro I, Editori Riuniti:


- Prefazione alla I edizione e Poscritto alla II edizione, pagg. 31-45;


- Prima sezione: cap. 1, pagg. 67-115; cap. 2, pagg. 117-125; cap. 3, pagg. 127-177;


- Seconda Sezione: cap. 4, 179-209;


- Terza Sezione: cap. 5, pagg. 211-232;


- Quarta Sezione (intera), pagg. 351-553.


 


Letture introduttive opzionali


Oltre alla lettura del Manifesto del partito comunista, per un primo approccio al pensiero marxiano si consiglia la lettura della Introduzione a Marx di Bedeschi, nella collana arancione "I filosofi" di Laterza. Per un inquadramento più analitico si consiglia la lettura del primo volume della Storia del marxismo, Il marxismo ai tempi di Marx, (in particolare pagg. 5-153: i saggi di Hobsbawm, Mclellan, Vilar, Dobb). 

Lunedì: ultimo esame della sessione estiva...



Filosofia morale


(Filosofia della Conoscenza e della Comunicazione)


Prof. Sandro Mancini


PROGRAMMA a.a. 2002/2003


Argomento del corso


Dal "sogno di una cosa" alla critica dell'economia politica: la filosofia della prassi di Karl Marx


 


 I Modulo:  Inquadramento critico del pensiero marxiano, enucleazioni delle sue fonti filosofiche, analisi degli scritti giovanili


 II Modulo: I cardini teorici della critica dell'economia politica


 III Modulo: Il primo libro de Il capitale


 Testi


I Modulo


1) K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, pagg. 69-188.


2) ID., Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, in K. Marx, La questione ebraica, Editori Riuniti, pagg. 91-110.


3) 5) ID., Tesi su Feuerbach.


4) K. Marx - F. Engels, L'ideologia tedesca (Prefazione e Sezione I: Feuerbach, Editori Riuniti, pagg. 3-70. Il testo della prima sezione è stato pubblicato dal medesimo editore, col titolo redazionale La concezione materialistica della storia).


 II Modulo


1) K. Marx, Per la critica dell'economia politica,  Prefazione, Editori Riuniti, pagg. 4-8.


2) ID., Salario, prezzo, profitto, Editori Riuniti, pagg. 6-14, 55-114.


3) ID., Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica (Grundrisse), La Nuova Italia oppure Einaudi. Brani scelti dai quaderni M, I, II, III, IV, VI, VII (Nell'edizione La Nuova Italia: vol. I, pagg. 3-40, 96-120, 223-275, 277-299; vol. II, pagg. 59-94, 387-411, 454-473).


III Modulo


1) K. Marx, Il Capitale, Libro I, Editori Riuniti:


- Prefazione alla I edizione e Poscritto alla II edizione, pagg. 31-45;


- Prima sezione: cap. 1, pagg. 67-115; cap. 2, pagg. 117-125; cap. 3, pagg. 127-177;


- Seconda Sezione: cap. 4, 179-209;


- Terza Sezione: cap. 5, pagg. 211-232;


- Quarta Sezione (intera), pagg. 351-553.


 


Letture introduttive opzionali


Oltre alla lettura del Manifesto del partito comunista, per un primo approccio al pensiero marxiano si consiglia la lettura della Introduzione a Marx di Bedeschi, nella collana arancione "I filosofi" di Laterza. Per un inquadramento più analitico si consiglia la lettura del primo volume della Storia del marxismo, Il marxismo ai tempi di Marx, (in particolare pagg. 5-153: i saggi di Hobsbawm, Mclellan, Vilar, Dobb). 

giovedì 26 giugno 2003

Fino al 1982 la mafia non esisteva per la legge. Erano stati uccisi a decine tra magistrati, giornalisti, forze dell'ordine e uomini politici. Ma le sentenze, quando e se arrivavano erano sempre uguali: assoluzione per insufficienza di prove.

Dopo la metà degli anni ottanta un piccolo gruppo di magistrati e poliziotti riuscì ad assestare colpi durissimi all'organizzazione criminale, mettendo a punto leggi importanti come quelle sui pentiti e sulla confisca dei patrimoni mafiosi.

Sono morti quasi tutti anche loro per il loro coraggio e la loro determinazione.

Lo Stato risponde con impegno e con durezza, vara la legge che prevede con l'art. 41/bis il carcere duro per i mafiosi. La mafia ancora una volta reagisce con la strategia stragista nel '93.

Da allora fino ad oggi l'Italia della mafia ha vissuto e vive una fase di calma apparente.

E ora, proprio ora, è il momento di porsi interrogativi, di sollevare dubbi e soprattutto è importante non dimenticare.


BLU NOTTE - MISTERI ITALIANI

"La mattanza"
Dai silenzi sulla mafia al silenzio della mafia

Fino al 1982 la mafia non esisteva per la legge. Erano stati uccisi a decine tra magistrati, giornalisti, forze dell'ordine e uomini politici. Ma le sentenze, quando e se arrivavano erano sempre uguali: assoluzione per insufficienza di prove.

Dopo la metà degli anni ottanta un piccolo gruppo di magistrati e poliziotti riuscì ad assestare colpi durissimi all'organizzazione criminale, mettendo a punto leggi importanti come quelle sui pentiti e sulla confisca dei patrimoni mafiosi.

Sono morti quasi tutti anche loro per il loro coraggio e la loro determinazione.

Lo Stato risponde con impegno e con durezza, vara la legge che prevede con l'art. 41/bis il carcere duro per i mafiosi. La mafia ancora una volta reagisce con la strategia stragista nel '93.

Da allora fino ad oggi l'Italia della mafia ha vissuto e vive una fase di calma apparente.

E ora, proprio ora, è il momento di porsi interrogativi, di sollevare dubbi e soprattutto è importante non dimenticare.


BLU NOTTE - MISTERI ITALIANI

"La mattanza"
Dai silenzi sulla mafia al silenzio della mafia

mercoledì 25 giugno 2003

Il tempo delle ICS


Mi hanno detto che fare una ics nei numeri del calendario denota un pessimismo radicato. Sarò pure pessimista ma io ne faccio una piccola piccola col blu della punta scalpello-indelebile-scrive su tutto del tratto MARKER. Lo faccio da quando avevo nove anni. Ho iniziato quindici giorni prima del mio decimo compleanno. Me l’aveva consigliato mia madre, forse per tenere a freno la frenesia che m’aveva preso: bruciavo dalla voglia di avere un’età a due cifre, un’età da “grande” . Sarei stato abbastanza grande da tenere anch’io il telecomando, bè, chiaro, se non c’era nessuno più grande di me nei paraggi del televisore del salotto. Poi ho continuato con tutte quelle ics, così, per accorciare i giorni che mi separavano dalle vacanze sparpagliate negli otto mesi di scuola. E mia madre mi ha sempre detto che s’impara sempre qualcosa di nuovo ogni giorno: quindi quelle ics erano buone pure per tenere il conto di tutte le cose nuove che sapevo. Mi bastava sfogliare al contrario i fogli del calendario di Topolino e Pluto per contare quante cose nuove sapevo, ed erano tante…


Di sicuro il concetto di TEMPO l’ho cominciato a capire proprio con le mie ics blu, di sicuro non mi prendevo un benino piccolo piccolo nella ricerca che la maestra m’aveva dato per le vacanze. Il titolo era chiaro: IL TEMPO. E io avevo passato tutte le vacanze a riempirmi gli occhi e la testa con i cartoni dell’Uomo Tigre e di He-man. Lo facevo per equilibrare tutte quelle sdolcinatezze (forse a quei tempi nemmeno la sapevo sta parola) che mi faceva obbligatoriamente assorbire mia sorella. A otto anni e mezzo sapevo tutto di Candy Candy e della casa di Pony, potevo ripetere a memoria il giorno di pioggia che Andrea e Giuliano incontrano Licia per caso e la mitologia non aveva segreti per merito di poro-poro-Pollon combinaguai… Ai tempi non pensavo che erano cartoni da “finocchi”, il finocchio per me era solo quell’ortaggio che mia madre metteva nell’insalata e che serviva per non ruttare lo sfingione di Natale. Che finocchio voleva dire omosessuale l’ ho capito solo a tredici anni in una PAUSA_CESSO, il Grande Francesco Paolo le chiamava così le ricreazioni. Le chiamava Così perché andava sempre a cacare all’intervallo e, dato che era già lì, si fumava o almeno provava a fumarsi le sigarette che rubava dal pacchetto di sua madre. Se ti comportavi bene e non facevi commenti sulle puzze di Francesco Paolo, potevi aspettare dietro la porta del cesso e il Grande in cambio di consistenti parti della tua merenda ti illustrava le meraviglie del SESSO. Sì, Francesco Paolo era un esperto, almeno in teoria. Aveva due sorelle adolescenti per casa, due casi clinici per i suoi attenti occhi e, ogni volta che andava a buttare l’ immondizia, si teneva per sé le copie di Cioè e di Ragazze al Top che le sue sorelle avevano letto e riletto. Lui passava i suoi pomeriggi a catalogare gli articoli tra una partita e l’altra di Super Mario, li raccoglieva in una carpetta dove aveva scritto Top Sicret, come aveva visto in qualche telefilm poliziesco. Poi ci rivendeva quella sapienza per mezza ciambella Mister Day o per quattro Ringo al cioccolato (quelli alla vaniglia non gli piacevano). Io avevo una sorella, quindi avevo già capito tutta la trafila degli assorbenti e del nervosismo pre-mestruale. Certo, non capivo bene dove fosse l’uovo in tutto quel casino che faceva Simona in bagno. Ma era uno di quei dubbi che mi tenevo per me, penso che mio padre ne sapesse meno di me e non volevo farlo sentire impreparato e con mia madre mi vergognavo troppo. Avevo solo capito che le galline avevano tutti i giorni il loro ciclo. Io volevo solo vedere l’uovo di mia sorella, mica volevo una ferrari fuori serie o un calendario con le tette di fuori… ma pensavo solo che mia sorella era molto più grande di una gallina e che quindi il suo uovo poteva bastare per almeno quattro frittate… solo una sbirciata. Francesco Paolo per mezza pizzetta e un succo di pera mi aveva detto tutto sugli “invertiti”. Io c’ero rimasto un po’ perplesso e lui per farmi capire meglio il concetto aveva detto che dipendeva tutto da come si mescolavano l’ uovo della femmina e lo SPERMA – lo diceva proprio così, tutto maiuscolo- del padre. Qualcosa andava storto nella “lambada orizzontale” – questa di scuro l’aveva presa da suo padre e gli piaceva sempre un sacco metterla nelle sue lezioni -, per sbaglio nasceva una femmina nel corpo di un maschio, gli mancava il concetto di lesbica… bè, si vede che Francesco Paolo non era poi così grande… Io ero ancora più perplesso, pensavo a quella povera femmina e all’unico posto possibile da dove poteva uscire il suo uovo in un corpo maschile… Mi diceva che avrebbe aggiunto altri particolari alla prossima PAUSA_CESSO e, dato che la sua risposta era incompleta, lui, salomonicamente mi aveva ridato il cozzo mezzo mangiucchiato della pizzetta e il fondo del succo di pera: era Grande e Giusto Francesco Paolo. Mi aveva salutato aggiungendo qualcosa mentre pisciavamo negli orinatoi a parete – erano accanto ma tutte e due guardavamo in alto, mica eravamo due di  “quelli” -, aveva aggiunto che “loro” si riconoscono” facilmente dai loro gusti televisivi: “loro” preferivano quelle cose smielate come Kiss me Licia, Lady Oscar, Haidi… Cavolo, c’ero rimasto male, molto male. Non l’ avrei detto manco se mi strappavano tutt’e dieci le dita delle mani con una tenaglia arrugginita e rovente, ma a me quelle storie mi sembravano belle, più reali dell’Uomo Tigre e di He-man. Dico: nessuno che si accorgeva che quando spariva Naoto c’era Tigre e viceversa? Nessuno vedeva  che He-man era il Principe Adam in mutande con i pettorali lucidi di auto-abbronzante?


Mi sono lasciato un po’ prendere la mano, ritorniamo a quella famosa ricerca… Avevo visto cartoni sino al giorno prima dell’ultimo giorno di vacanza e, come sempre, l’ultimo giorno io e mia sorella avremmo passato la notte per fare tutti i compiti del diario. Io avevo solo una decina di problemi sull’ area del pentagono e dell’esagono e quella ricerca sul Tempo. Mia madre aveva già preso il sesto volume dell’enciclopedia dalla copertina verde marcio: dalla esse alla Zeta più le tavole a colori. S’era letta tutta la definizione di Tempo e poi, come sapeva fare solo lei, aveva messo due ics rosse all’inizio e alla fine di quello che io dovevo copiare in calligrafia sul mio quadernone dei Puffi. Avevo scritto in alto IL TEMPO e poi avevo iniziato. Mia madre aveva interpretato quella ricerca come Tempo-da-orologio e aveva sintetizzato tutti i progressi dell’uomo: dall’ombra del primo bastoncino di legno conficcato nella sabbia all’orologio atomico che spaccava il milionesimo di nanosecondo. Dopo che avevo finito avevo sei facciate piene piene e un dolore alla mano destra dove poi mi sarebbero spuntati due bei calletti. Arrivo l’indomani a scuola, pettinato e in perfetto ordine. La Maestra passa tra i banchi e ci da un bacetto lieve lieve sulla guancia, uno per uno. Legge i quadernoni con la sua matita bicolore tra le dita. È il mio turno, già penso al Bravissimo bello grande che mi riempirà almeno mezza pagina… Lei legge forse appena tredici o quattordici righe e gira la matita dalla parte cattiva del blu, con me non l’aveva mai fatto. Penso che ci sarà una doppia sbagliata o una divisione in sillabe errata, no. Lei fa una ics gigantesca in tutti e sei i fogli, sei croci bluastre e mi guarda scontentissima, manco le avessi chiesto del suo uovo o se mi avesse beccato mentre le sbirciavo le gambe sotto la cattedra. Mi dice che sono andato TOTALMENTE FUORI-TRACCIA, lei con il TEMPO intendeva il TEMPO-da-calendario, dalla riforma di Cesare all’anno bisestile.


Il Tempo mi aveva fregato, per la prima volta avevo portato a casa un benino piccolo piccolo e solo perché ero io, ad un altro la Maestra avrebbe messo uno Scarso gigantesco.


Da allora ho capito che il Tempo mi avrebbe sempre fregato, potevo pure fare un miliardo di ics nel calendario ma, alla fine, vince sempre Lui. E il pessimismo radicato non c’entra un cavolo.

Il tempo delle ICS


Mi hanno detto che fare una ics nei numeri del calendario denota un pessimismo radicato. Sarò pure pessimista ma io ne faccio una piccola piccola col blu della punta scalpello-indelebile-scrive su tutto del tratto MARKER. Lo faccio da quando avevo nove anni. Ho iniziato quindici giorni prima del mio decimo compleanno. Me l’aveva consigliato mia madre, forse per tenere a freno la frenesia che m’aveva preso: bruciavo dalla voglia di avere un’età a due cifre, un’età da “grande” . Sarei stato abbastanza grande da tenere anch’io il telecomando, bè, chiaro, se non c’era nessuno più grande di me nei paraggi del televisore del salotto. Poi ho continuato con tutte quelle ics, così, per accorciare i giorni che mi separavano dalle vacanze sparpagliate negli otto mesi di scuola. E mia madre mi ha sempre detto che s’impara sempre qualcosa di nuovo ogni giorno: quindi quelle ics erano buone pure per tenere il conto di tutte le cose nuove che sapevo. Mi bastava sfogliare al contrario i fogli del calendario di Topolino e Pluto per contare quante cose nuove sapevo, ed erano tante…


Di sicuro il concetto di TEMPO l’ho cominciato a capire proprio con le mie ics blu, di sicuro non mi prendevo un benino piccolo piccolo nella ricerca che la maestra m’aveva dato per le vacanze. Il titolo era chiaro: IL TEMPO. E io avevo passato tutte le vacanze a riempirmi gli occhi e la testa con i cartoni dell’Uomo Tigre e di He-man. Lo facevo per equilibrare tutte quelle sdolcinatezze (forse a quei tempi nemmeno la sapevo sta parola) che mi faceva obbligatoriamente assorbire mia sorella. A otto anni e mezzo sapevo tutto di Candy Candy e della casa di Pony, potevo ripetere a memoria il giorno di pioggia che Andrea e Giuliano incontrano Licia per caso e la mitologia non aveva segreti per merito di poro-poro-Pollon combinaguai… Ai tempi non pensavo che erano cartoni da “finocchi”, il finocchio per me era solo quell’ortaggio che mia madre metteva nell’insalata e che serviva per non ruttare lo sfingione di Natale. Che finocchio voleva dire omosessuale l’ ho capito solo a tredici anni in una PAUSA_CESSO, il Grande Francesco Paolo le chiamava così le ricreazioni. Le chiamava Così perché andava sempre a cacare all’intervallo e, dato che era già lì, si fumava o almeno provava a fumarsi le sigarette che rubava dal pacchetto di sua madre. Se ti comportavi bene e non facevi commenti sulle puzze di Francesco Paolo, potevi aspettare dietro la porta del cesso e il Grande in cambio di consistenti parti della tua merenda ti illustrava le meraviglie del SESSO. Sì, Francesco Paolo era un esperto, almeno in teoria. Aveva due sorelle adolescenti per casa, due casi clinici per i suoi attenti occhi e, ogni volta che andava a buttare l’ immondizia, si teneva per sé le copie di Cioè e di Ragazze al Top che le sue sorelle avevano letto e riletto. Lui passava i suoi pomeriggi a catalogare gli articoli tra una partita e l’altra di Super Mario, li raccoglieva in una carpetta dove aveva scritto Top Sicret, come aveva visto in qualche telefilm poliziesco. Poi ci rivendeva quella sapienza per mezza ciambella Mister Day o per quattro Ringo al cioccolato (quelli alla vaniglia non gli piacevano). Io avevo una sorella, quindi avevo già capito tutta la trafila degli assorbenti e del nervosismo pre-mestruale. Certo, non capivo bene dove fosse l’uovo in tutto quel casino che faceva Simona in bagno. Ma era uno di quei dubbi che mi tenevo per me, penso che mio padre ne sapesse meno di me e non volevo farlo sentire impreparato e con mia madre mi vergognavo troppo. Avevo solo capito che le galline avevano tutti i giorni il loro ciclo. Io volevo solo vedere l’uovo di mia sorella, mica volevo una ferrari fuori serie o un calendario con le tette di fuori… ma pensavo solo che mia sorella era molto più grande di una gallina e che quindi il suo uovo poteva bastare per almeno quattro frittate… solo una sbirciata. Francesco Paolo per mezza pizzetta e un succo di pera mi aveva detto tutto sugli “invertiti”. Io c’ero rimasto un po’ perplesso e lui per farmi capire meglio il concetto aveva detto che dipendeva tutto da come si mescolavano l’ uovo della femmina e lo SPERMA – lo diceva proprio così, tutto maiuscolo- del padre. Qualcosa andava storto nella “lambada orizzontale” – questa di scuro l’aveva presa da suo padre e gli piaceva sempre un sacco metterla nelle sue lezioni -, per sbaglio nasceva una femmina nel corpo di un maschio, gli mancava il concetto di lesbica… bè, si vede che Francesco Paolo non era poi così grande… Io ero ancora più perplesso, pensavo a quella povera femmina e all’unico posto possibile da dove poteva uscire il suo uovo in un corpo maschile… Mi diceva che avrebbe aggiunto altri particolari alla prossima PAUSA_CESSO e, dato che la sua risposta era incompleta, lui, salomonicamente mi aveva ridato il cozzo mezzo mangiucchiato della pizzetta e il fondo del succo di pera: era Grande e Giusto Francesco Paolo. Mi aveva salutato aggiungendo qualcosa mentre pisciavamo negli orinatoi a parete – erano accanto ma tutte e due guardavamo in alto, mica eravamo due di  “quelli” -, aveva aggiunto che “loro” si riconoscono” facilmente dai loro gusti televisivi: “loro” preferivano quelle cose smielate come Kiss me Licia, Lady Oscar, Haidi… Cavolo, c’ero rimasto male, molto male. Non l’ avrei detto manco se mi strappavano tutt’e dieci le dita delle mani con una tenaglia arrugginita e rovente, ma a me quelle storie mi sembravano belle, più reali dell’Uomo Tigre e di He-man. Dico: nessuno che si accorgeva che quando spariva Naoto c’era Tigre e viceversa? Nessuno vedeva  che He-man era il Principe Adam in mutande con i pettorali lucidi di auto-abbronzante?


Mi sono lasciato un po’ prendere la mano, ritorniamo a quella famosa ricerca… Avevo visto cartoni sino al giorno prima dell’ultimo giorno di vacanza e, come sempre, l’ultimo giorno io e mia sorella avremmo passato la notte per fare tutti i compiti del diario. Io avevo solo una decina di problemi sull’ area del pentagono e dell’esagono e quella ricerca sul Tempo. Mia madre aveva già preso il sesto volume dell’enciclopedia dalla copertina verde marcio: dalla esse alla Zeta più le tavole a colori. S’era letta tutta la definizione di Tempo e poi, come sapeva fare solo lei, aveva messo due ics rosse all’inizio e alla fine di quello che io dovevo copiare in calligrafia sul mio quadernone dei Puffi. Avevo scritto in alto IL TEMPO e poi avevo iniziato. Mia madre aveva interpretato quella ricerca come Tempo-da-orologio e aveva sintetizzato tutti i progressi dell’uomo: dall’ombra del primo bastoncino di legno conficcato nella sabbia all’orologio atomico che spaccava il milionesimo di nanosecondo. Dopo che avevo finito avevo sei facciate piene piene e un dolore alla mano destra dove poi mi sarebbero spuntati due bei calletti. Arrivo l’indomani a scuola, pettinato e in perfetto ordine. La Maestra passa tra i banchi e ci da un bacetto lieve lieve sulla guancia, uno per uno. Legge i quadernoni con la sua matita bicolore tra le dita. È il mio turno, già penso al Bravissimo bello grande che mi riempirà almeno mezza pagina… Lei legge forse appena tredici o quattordici righe e gira la matita dalla parte cattiva del blu, con me non l’aveva mai fatto. Penso che ci sarà una doppia sbagliata o una divisione in sillabe errata, no. Lei fa una ics gigantesca in tutti e sei i fogli, sei croci bluastre e mi guarda scontentissima, manco le avessi chiesto del suo uovo o se mi avesse beccato mentre le sbirciavo le gambe sotto la cattedra. Mi dice che sono andato TOTALMENTE FUORI-TRACCIA, lei con il TEMPO intendeva il TEMPO-da-calendario, dalla riforma di Cesare all’anno bisestile.


Il Tempo mi aveva fregato, per la prima volta avevo portato a casa un benino piccolo piccolo e solo perché ero io, ad un altro la Maestra avrebbe messo uno Scarso gigantesco.


Da allora ho capito che il Tempo mi avrebbe sempre fregato, potevo pure fare un miliardo di ics nel calendario ma, alla fine, vince sempre Lui. E il pessimismo radicato non c’entra un cavolo.

domenica 22 giugno 2003

Il mitico spadotto


È stato Paride con pazienza ad illustrarmi la morfologia di ogni capezzolo possibile. me lo ricordo come se fosse ieri, lì, all'ultima fila con la prof. sullo sfondo che spiega l'ermetismo. Paride inizia snocciolando nomi colorati ed evocativi, nomi che sanno di Mille e una notte, di promesse bagnate, di caldi sussurri, nomi che solleticano a fondo. E ai nomi accoppiava piccoli modelli in scala appena accennati con la matita sul banco. Rozzi ma efficaci con le ombre al posto giusto. Quello che era diventato un'ossessione era il famigerato capezzolo a 'spadotto', appuntito e sodo, pronto a bucare le coppe di qualsiasi reggi-tette. Si sognava così di incontrare la donna appuntita da esplorare con lo stesso rispetto di un pioniere che sa di essere il primo a seguire quella strada.


Era un sogno, tanto che tutti gli altri capezzoli presto sparirono dal banco, sostituiti da inni in endecasillabi sciolti inneggianti alla sorca bianca, altro sogno dell'ultima fila. Volevamo tutti conoscere un'albina per vedere se era bianca anche lì... Poi molti avevano fuso i due sogni proibiti: un'albina con i capezzoli a spadotto!


Dicevo che tutte le altre tipologie morfologiche di capezzolo erano sparite, tutte tranne il mitico spadotto che era stato ripassato a colpi di coltellino svizzero, inciso a ricordo perenne sulla formica del banco. Poi venne la rivoluzione informatica e Calogero, il primo di noi a capirci qualcosa di modem, hard disk, mouse e stampanti aveva realizzato un modello tridimensionale che mostrava il famigerato spadotto (l'aveva ottenuto scannerizzando una quantità industriale di giornaletti da due pater e quattro ave che teneva sopra lo scaldabagno), aveva realizzato quel modello e, smanettando sulla tabella dei colori di Adobe Photoshop, aveva ottenuto pure la sfumatura paradisiaca dell'areola, doveva essere color cappuccino con lievi venature imbrunite, si favoleggiava, non so su che base (dato che ai tempi si praticava ancora ripetutamente l'auto-sfregamento...) che oltre quella sfumatura il capezzolo era già stato munto troppe volte...


Ah, i ricordi dell'ultima fila... quante ne avrei da raccontare!


***


Dimenticavo:


Paride si è sposato con un'albina, vive felice ed è stato nominato direttore del Massimo dopo un master in disegno anatomico


Calogero è andato a cercare il colore perfetto, fa da treppiedi alla macchina fotografica di Helmut Newton, è felice e ha fondato e gestisce il sito www.sorcabianca.it


La voce narrante ha conosciuto un orecchio, si sono sposati e il dialogo, anche se a senso unico, è perfetto.


Bluto Blutarsky ha conosciuto Alex Carb e gli ha proposto di conquistare il mondo, li hanno visti fuggire su una Ford Ka color cappuccino con lievi venature imbrunite


Gaston è stato incoronato gran visir dell'ordine della tetta d'oro e ha ceduto il premio in denaro dell'incoronazione a Giulia Merlino


Giulia Merlino ha investito tutto il capitale per una attualizzazione delle potenzialità del suo decoltè. Poi hanno portato in salvo l'ultimo suo neurone rimasto intatto, stanno cercando di clonarlo per ripopolare i due emisferi dell'encefalo della bella messinese.


Spadaro ha trovato lo spadotto tra i peli di DDT, sono felici. Hanno adottato un cane, lo hanno chiamato Papozzi.


Tonino ha portato in salvo la mucca Carolina e i suoi multicapezzoli, il fattore gli ha impallinato le chiappe che ora fanno bella mostra di sé nel salone di Stas'.


Tutti i saturnisti  (e i pre-para-post-oltre) hanno fondato una casa di cura a forma di tette e otto. La neuro è stata solerte, gli ha prenotato un intero reparto. La mailing list del saturnismo è stata nominata patrimonio mondiale dell'umanità dal PARV

Il mitico spadotto


È stato Paride con pazienza ad illustrarmi la morfologia di ogni capezzolo possibile. me lo ricordo come se fosse ieri, lì, all'ultima fila con la prof. sullo sfondo che spiega l'ermetismo. Paride inizia snocciolando nomi colorati ed evocativi, nomi che sanno di Mille e una notte, di promesse bagnate, di caldi sussurri, nomi che solleticano a fondo. E ai nomi accoppiava piccoli modelli in scala appena accennati con la matita sul banco. Rozzi ma efficaci con le ombre al posto giusto. Quello che era diventato un'ossessione era il famigerato capezzolo a 'spadotto', appuntito e sodo, pronto a bucare le coppe di qualsiasi reggi-tette. Si sognava così di incontrare la donna appuntita da esplorare con lo stesso rispetto di un pioniere che sa di essere il primo a seguire quella strada.


Era un sogno, tanto che tutti gli altri capezzoli presto sparirono dal banco, sostituiti da inni in endecasillabi sciolti inneggianti alla sorca bianca, altro sogno dell'ultima fila. Volevamo tutti conoscere un'albina per vedere se era bianca anche lì... Poi molti avevano fuso i due sogni proibiti: un'albina con i capezzoli a spadotto!


Dicevo che tutte le altre tipologie morfologiche di capezzolo erano sparite, tutte tranne il mitico spadotto che era stato ripassato a colpi di coltellino svizzero, inciso a ricordo perenne sulla formica del banco. Poi venne la rivoluzione informatica e Calogero, il primo di noi a capirci qualcosa di modem, hard disk, mouse e stampanti aveva realizzato un modello tridimensionale che mostrava il famigerato spadotto (l'aveva ottenuto scannerizzando una quantità industriale di giornaletti da due pater e quattro ave che teneva sopra lo scaldabagno), aveva realizzato quel modello e, smanettando sulla tabella dei colori di Adobe Photoshop, aveva ottenuto pure la sfumatura paradisiaca dell'areola, doveva essere color cappuccino con lievi venature imbrunite, si favoleggiava, non so su che base (dato che ai tempi si praticava ancora ripetutamente l'auto-sfregamento...) che oltre quella sfumatura il capezzolo era già stato munto troppe volte...


Ah, i ricordi dell'ultima fila... quante ne avrei da raccontare!


***


Dimenticavo:


Paride si è sposato con un'albina, vive felice ed è stato nominato direttore del Massimo dopo un master in disegno anatomico


Calogero è andato a cercare il colore perfetto, fa da treppiedi alla macchina fotografica di Helmut Newton, è felice e ha fondato e gestisce il sito www.sorcabianca.it


La voce narrante ha conosciuto un orecchio, si sono sposati e il dialogo, anche se a senso unico, è perfetto.


Bluto Blutarsky ha conosciuto Alex Carb e gli ha proposto di conquistare il mondo, li hanno visti fuggire su una Ford Ka color cappuccino con lievi venature imbrunite


Gaston è stato incoronato gran visir dell'ordine della tetta d'oro e ha ceduto il premio in denaro dell'incoronazione a Giulia Merlino


Giulia Merlino ha investito tutto il capitale per una attualizzazione delle potenzialità del suo decoltè. Poi hanno portato in salvo l'ultimo suo neurone rimasto intatto, stanno cercando di clonarlo per ripopolare i due emisferi dell'encefalo della bella messinese.


Spadaro ha trovato lo spadotto tra i peli di DDT, sono felici. Hanno adottato un cane, lo hanno chiamato Papozzi.


Tonino ha portato in salvo la mucca Carolina e i suoi multicapezzoli, il fattore gli ha impallinato le chiappe che ora fanno bella mostra di sé nel salone di Stas'.


Tutti i saturnisti  (e i pre-para-post-oltre) hanno fondato una casa di cura a forma di tette e otto. La neuro è stata solerte, gli ha prenotato un intero reparto. La mailing list del saturnismo è stata nominata patrimonio mondiale dell'umanità dal PARV

venerdì 20 giugno 2003

Ennesimo restyling per Bombasicilia, in stile rivista di sinistra. Intanto fuori gocciola un sole malato e scaricando la posta mi arrivano messaggi in bottiglia stracolmi di alta filosofia. Io sono immerso nella dialettica capitale-lavoro ma c'è chi sta peggio di me, leggete:


«Holàààààààààààà dear dicotoninonic

 

comm' va? Ho cominciato a studiare Aristotele e mi sono venuticerti pensieri altamente critici:

 

Tutti gli uomini per natura tendono a sapere [e fin qui...]. Segno ne è l'amore per le sensazioni [ma quali ca....zo di sensazioni piacevoli vengono fra le pareti di casa? Quindi è deciso: studiamo in spiaggia.]: infatti essi amano le senzazioni x se stesse, anche indipendentemente dalla loro utilità, e, più di tutte, amano la sensazione della vista [di tante ragazze a mare?]: in effetti, non solo ai fini dell'azione [va bhe ma guardare e non toccare va bene una volta....], ma anche senza avere alcuna intenzione di agire [amor platonico od omosessualita nascosta?], noi preferiamo il vedere, in certo senso, a tutte le altre sensaziono [ma Aristotele ha mai applicato i due sensi del tatto e del gusto su una ragazza?] E il motivo sta nel fatto che la vista ci fa conoscere più di tutte le altre sensazioni e ci rende manifeste numerose differenze fra le cose ["Hey guarda quelle due **** (qualsiasi volgarità significhi "belle figliuole")"  "Allora, vediamo, una è più alta, una è mora l'altra bionda, una agli occhi verdi......," ma x favore..............].

 

Da ciò ho ricavato che Aristotele è un autore eternamente attuale,  ma non in spiaggia.»

E Guido ce lo siamo giocati...

Ennesimo restyling per Bombasicilia, in stile rivista di sinistra. Intanto fuori gocciola un sole malato e scaricando la posta mi arrivano messaggi in bottiglia stracolmi di alta filosofia. Io sono immerso nella dialettica capitale-lavoro ma c'è chi sta peggio di me, leggete:


«Holàààààààààààà dear dicotoninonic

 

comm' va? Ho cominciato a studiare Aristotele e mi sono venuticerti pensieri altamente critici:

 

Tutti gli uomini per natura tendono a sapere [e fin qui...]. Segno ne è l'amore per le sensazioni [ma quali ca....zo di sensazioni piacevoli vengono fra le pareti di casa? Quindi è deciso: studiamo in spiaggia.]: infatti essi amano le senzazioni x se stesse, anche indipendentemente dalla loro utilità, e, più di tutte, amano la sensazione della vista [di tante ragazze a mare?]: in effetti, non solo ai fini dell'azione [va bhe ma guardare e non toccare va bene una volta....], ma anche senza avere alcuna intenzione di agire [amor platonico od omosessualita nascosta?], noi preferiamo il vedere, in certo senso, a tutte le altre sensaziono [ma Aristotele ha mai applicato i due sensi del tatto e del gusto su una ragazza?] E il motivo sta nel fatto che la vista ci fa conoscere più di tutte le altre sensazioni e ci rende manifeste numerose differenze fra le cose ["Hey guarda quelle due **** (qualsiasi volgarità significhi "belle figliuole")"  "Allora, vediamo, una è più alta, una è mora l'altra bionda, una agli occhi verdi......," ma x favore..............].

 

Da ciò ho ricavato che Aristotele è un autore eternamente attuale,  ma non in spiaggia.»

E Guido ce lo siamo giocati...

martedì 17 giugno 2003

Così ci si congeda dal mondo adolescenziale
Un mondo sta per svanire un altro si annuncia
Il grande incubo che fa
diventare tutti più grandi

di MARCO LODOLI



DIECI o quindici tappe fondamentali ha la vita, stazioncine belle o tristi dove per forza bisogna transitare: il primo giorno di scuola, la bicicletta a Natale, il primo bacio, un tradimento, e più avanti la prima macchina, il lavoro, il matrimonio, un figlio, un altro, e poi i nipoti, e la pensione e quel doloretto che non è niente, ma per sicurezza è meglio fare le analisi... Alcune di queste stazioni magari possono essere saltate o sostituite, altre sfilano senza troppa importanza accanto ai nostri binari, ma sicuramente l'esame di maturità rimane marchiato a fuoco nella mente di tutti i viaggiatori. Quelle mattinate di sole e batticuore segnano la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra, sono uno spartiacque definitivo: indietro non si torna, l'ombroso mondo adolescenziale, timido e sfrontato, vago e leggendario, trova la sua consacrazione e il suo congedo in poche ore di prove scritte e orali sparse nel giro di una settimana.

"Notte prima degli esami", cantava Venditti anni fa, individuando quella che è l'ultima particella di libertà e di indefinitezza prima che la maturità giunga a dettare le sue leggi, a imporre i suoi doveri. E per tanti ragazzi italiani la notte prima degli esami è arrivata, è stanotte. Già cigola la porta d'acciaio e di vento che tra poco si chiuderà per sempre, c'è giusto il tempo per gettare un ultimo sguardo alla prateria, per sentirsi ancora un attimo parte di un branco di puledri senza sella e senza finimenti. Si stava tutti insieme, in un'aula dalle finestre grandi o piccole, ma che comunque affacciavano sull'universo infinito delle possibilità. Insieme ai compagni si provava terrore degli insegnanti arcigni ed esigenti, si rideva di quelli buffi, dei mezzi matti pieni di tic, delle zitelle inacidite e dei supplenti giovani, del professore grasso e sudato e di quello segaligno e nervoso, mascherine che per l'intera esistenza restano vivide nel teatrino della mente. Ed è stato un insegnante bizzarro, forse, ad averci cambiato un po' i pensieri, aprendoli a orizzonti nuovi, a scelte importanti.


"Senza il prof Taldeitali io non sarei diventato ciò che sono, e lui chissà cosa è diventato...". E da domani tanti ragazzi avranno i loro esami, forche caudine sotto le quali dovranno per forza passare. Una volta erano davvero tosti: i nostri genitori ricordano ancora che razza di prova fosse: "Tutte le materie, e di tutti e tre gli ultimi anni, un incubo spaventoso". Poi ci fu la lunga stagione delle due materie: se ne sceglieva una e l'altra veniva assegnata d'ufficio, ma tra poche materie già note, ed era quasi sempre quella desiderata. Il voto veniva formulato in sessantesimi, bastava un piccolo trentasei per sfangarla. Anni e anni di pacchia, anche se l'ansia degli esami in fondo rimaneva identica, perché è un'ansia che prescinde dalla difficoltà della prova, che riguarda un appuntamento della vita al quale non si può arrivare fischiettando.


Vivere questi giorni a cuor leggero, con sovrana indifferenza, sarebbe una bestemmia contro i lunghi anni trascorsi a scuola, in classe e nel cortile, intorno alla cattedra o al cesso a fumare, seguendo con attenzione le lezioni o scrivendo disperati bigliettini d'amore. Tutto il tempo andato si impenna e si solleva in questa vetta estrema (è solo una collinetta, ma non importa...): è necessario salire sulla cima e provare la vertigine, il senso di smarrimento, di inadeguatezza, di solidarietà con i compagni legati in cordata. E anche ora che gli esami sono stati ulteriormente facilitati, ora che sono gli insegnanti interni a valutare "il candidato" e tutto si risolve in quattro chiacchiere su una tesina e in un abbraccio amichevole, è giusto che i ragazzi sentano almeno un brivido nella schiena, almeno adesso che sta per suonare la campana dell'ultimo giro e dietro alle spalle un mondo sta per svanire, mentre davanti un altro, ben più feroce, si annuncia.


(La Repubblica - 17 giugno 2003)

Così ci si congeda dal mondo adolescenziale
Un mondo sta per svanire un altro si annuncia
Il grande incubo che fa
diventare tutti più grandi

di MARCO LODOLI



DIECI o quindici tappe fondamentali ha la vita, stazioncine belle o tristi dove per forza bisogna transitare: il primo giorno di scuola, la bicicletta a Natale, il primo bacio, un tradimento, e più avanti la prima macchina, il lavoro, il matrimonio, un figlio, un altro, e poi i nipoti, e la pensione e quel doloretto che non è niente, ma per sicurezza è meglio fare le analisi... Alcune di queste stazioni magari possono essere saltate o sostituite, altre sfilano senza troppa importanza accanto ai nostri binari, ma sicuramente l'esame di maturità rimane marchiato a fuoco nella mente di tutti i viaggiatori. Quelle mattinate di sole e batticuore segnano la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra, sono uno spartiacque definitivo: indietro non si torna, l'ombroso mondo adolescenziale, timido e sfrontato, vago e leggendario, trova la sua consacrazione e il suo congedo in poche ore di prove scritte e orali sparse nel giro di una settimana.

"Notte prima degli esami", cantava Venditti anni fa, individuando quella che è l'ultima particella di libertà e di indefinitezza prima che la maturità giunga a dettare le sue leggi, a imporre i suoi doveri. E per tanti ragazzi italiani la notte prima degli esami è arrivata, è stanotte. Già cigola la porta d'acciaio e di vento che tra poco si chiuderà per sempre, c'è giusto il tempo per gettare un ultimo sguardo alla prateria, per sentirsi ancora un attimo parte di un branco di puledri senza sella e senza finimenti. Si stava tutti insieme, in un'aula dalle finestre grandi o piccole, ma che comunque affacciavano sull'universo infinito delle possibilità. Insieme ai compagni si provava terrore degli insegnanti arcigni ed esigenti, si rideva di quelli buffi, dei mezzi matti pieni di tic, delle zitelle inacidite e dei supplenti giovani, del professore grasso e sudato e di quello segaligno e nervoso, mascherine che per l'intera esistenza restano vivide nel teatrino della mente. Ed è stato un insegnante bizzarro, forse, ad averci cambiato un po' i pensieri, aprendoli a orizzonti nuovi, a scelte importanti.


"Senza il prof Taldeitali io non sarei diventato ciò che sono, e lui chissà cosa è diventato...". E da domani tanti ragazzi avranno i loro esami, forche caudine sotto le quali dovranno per forza passare. Una volta erano davvero tosti: i nostri genitori ricordano ancora che razza di prova fosse: "Tutte le materie, e di tutti e tre gli ultimi anni, un incubo spaventoso". Poi ci fu la lunga stagione delle due materie: se ne sceglieva una e l'altra veniva assegnata d'ufficio, ma tra poche materie già note, ed era quasi sempre quella desiderata. Il voto veniva formulato in sessantesimi, bastava un piccolo trentasei per sfangarla. Anni e anni di pacchia, anche se l'ansia degli esami in fondo rimaneva identica, perché è un'ansia che prescinde dalla difficoltà della prova, che riguarda un appuntamento della vita al quale non si può arrivare fischiettando.


Vivere questi giorni a cuor leggero, con sovrana indifferenza, sarebbe una bestemmia contro i lunghi anni trascorsi a scuola, in classe e nel cortile, intorno alla cattedra o al cesso a fumare, seguendo con attenzione le lezioni o scrivendo disperati bigliettini d'amore. Tutto il tempo andato si impenna e si solleva in questa vetta estrema (è solo una collinetta, ma non importa...): è necessario salire sulla cima e provare la vertigine, il senso di smarrimento, di inadeguatezza, di solidarietà con i compagni legati in cordata. E anche ora che gli esami sono stati ulteriormente facilitati, ora che sono gli insegnanti interni a valutare "il candidato" e tutto si risolve in quattro chiacchiere su una tesina e in un abbraccio amichevole, è giusto che i ragazzi sentano almeno un brivido nella schiena, almeno adesso che sta per suonare la campana dell'ultimo giro e dietro alle spalle un mondo sta per svanire, mentre davanti un altro, ben più feroce, si annuncia.


(La Repubblica - 17 giugno 2003)

Dicotomico legge la legge di Murphy


Postulati di Pardo



  1. Le cose buone della vita sono illegali, immorali o fanno ingrassare.

  2. Le tre cose veramente fedeli nella vita sono lo sporco, un cane e una donna vecchia.

  3. Non è importante essere ricchi: basta vivere nell'agio e poter avere tutto ciò che si vuole.

Dicotomico legge la legge di Murphy


Postulati di Pardo



  1. Le cose buone della vita sono illegali, immorali o fanno ingrassare.

  2. Le tre cose veramente fedeli nella vita sono lo sporco, un cane e una donna vecchia.

  3. Non è importante essere ricchi: basta vivere nell'agio e poter avere tutto ciò che si vuole.

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