giovedì 29 maggio 2003

Ringrazio infinitamente Clauz per aver generato questo nostalgico template. L'idraulico baffettato è stato il compagno delle mie domeniche mattine per troppo tempo per non celebrarlo anche qui... Continuo col feuilleton e vi invito a commentare, quel genio di Clauz ha creato uno script per i commenti surreale: più commenti più tartarughe...


Quinto
…un anno può sembrare un'ora

 


 


…un anno può sembrare un'ora con tutte le parole, con tutte le parole ancora che vengono soltanto da seduti… Max e Mao cantavano dalle casse rattoppate della R4. Ulisse non c'aveva capito un cazzo. Zummo l'aveva spedito a casa senza nemmeno un piccolissimo tarzanello. Gli aveva farfugliato qualcosa, aveva sbagliato a confidarsi con Zummo. Anche lui l'aveva preso per pazzo.
Poteva andare a confidarsi con Lisa ma farsi prendere per rincoglionito dalla sua ragazza non gli andava giù. Doveva farcela da solo.
Di studiare non se ne discuteva, la filosofia poteva attendere.
- Ma ste parole che vengono soltanto da seduti… che cazzo saranno? - Pensò mentre fischiettava sulle note di Max cercando qualche risposta - Il cesso aiuta la concentrazione, sicuro. Forse quel "seduti" si riferisce proprio alla posizione sulla tazza-. 


Era a casa, la sacra famiglia era dispersa nei quattro piani: il pater russava, la mater snocciolava rosari sulle prediche che schizzavano fuori dalla vecchia radiolina sintonizzata su Radio Maria, la sister stava facendo arricchire la telecom col suo bollettino di pettegolezzi.
Tutti i cessi erano liberi. Si piazzò sulla tavolozza del secondo piano, in bocca una marlboro e via. Libertà ai pensieri che teneva imprigionati sotto il cappello giamaicano.
Era seduto sul freddo della tavolozza da qualche ora. La sacra famiglia di sicuro stava ipotizzando un nuovo record di seghe casalinghe. Non gli importava. Ulisse riaffiorò dalle profondità in cui era scivolato. Aveva trovato un metodo infallibile per rientrare nel suo universo parallelo.


***


Sapeva che il rischio c'era, l'overdose ti poteva mandare il cervello in stand by per qualche secolo. J.C. valeva tanto? Ulisse guardò la sua vita, era piatta come la sua ex. 
Restò in attesa, la family a quell'ora andava sempre a spendere e spandere. Qualche minuto ancora. I mozziconi di marlboro avevano ricoperto il pavimento del bagno. Era rimasta l'ultima assassina bianca e arancione. La fumò come se fosse l'ultima della sua breve vita.
Farfugliò i saluti di rito e appena percepì le vibrazioni del portone che veniva chiuso dalla sua sorellina, scattò in piedi.
Sapeva dove cercare. La trovò. La tenne in alto come la testa mozzata di un nemico e schizzò nel salotto.
L'accarezzò, l'abbracciò, la baciò e dopo sta sequela d'effusioni feticiste la infilò. Prese il telecomando e schiacciò il tasto grigio del PLAY.
In quella video c'erano otto puntate di Vivere, senza  un bruscolino di pubblicità.
Non capì più niente, il suo cervello si rifiutava di seguire i tormentati intrallazzi delle varie famiglie. Forse un filo logico ce lo trovava Piero Angela, quello c'era abituato a vedere accoppiamenti selvaggi e istintivi.


***


Ulisse era di nuovo sulla zattera con il pannolone azzurro tra le cosce. Gl'importava solo riprendere il suo viaggio alla ricerca di JC. Forse era tutta colpa di Steve King, aveva letto troppi romanzi e aveva oltrepassato il confine. Non poteva tornare più indietro. Non avrebbe più riconosciuto realtà e sogno. Era sbarcato chissà dove e ancora era senza scarpe.
Il ponte era fatto di vecchie assi scorticate dal sole e dall'acqua di quel mare in tempesta. Del guardiano nessun'indizio. Se l'era immaginato diverso il ponte, fatto di forte calcestruzzo e cemento armato con saldissimi tiranti, come quello delle chewing gum. Non c'erano sedie, non c'erano cicche, non c'era proprio niente, solo quella trentina di assi inchiodate con pezzi di ruggine. Era arrivato alla meta e proprio adesso si sentiva sconfortato, sbudellato, senza niente da dare, senza niente da dire. Uno dei tanti piccoli principi l'aveva semplicemente mandato allo sbaraglio, magari per farsi quattro risate sulle disgrazie degli altri. - Se solo l'arrivo a rivedere per strada… Glieli stacco quei piccoli e principeschi coglioni di cui si vanta tanto. Si fa bello con le sue paranoie da iettatore  strafottente. Non c'è niente da capire? Capirai qualche cosina quando sarai un eunuco!- si disse tra sé e sé.  
Avrebbe dato un rene per una marlboro ma non c'era nemmeno un distributore automatico di cicche all'orizzonte. Si sarebbe fumato pure salvia e rosmarino, una volta con Michele e Nino l'avevano fatto e avevano vomitato pure l'intestino tenue.
Stava per lasciarsi andare, guardava i gorghi che si formavano alla base del ponte, sarebbe bastato lasciarsi cullare dalla corrente, senza più problemi, il mare non gli avrebbe rifiutato un ultimo favore. Aveva preso la sua decisione, gli era bastato vedere i suoi alluci nudi e spellati.
Piegò le ginocchia, pensò a tutta la sua vita e la vide scivolare via dentro un allucinante videoclip. Vide la faccia di Lisa, vide la Renò 4, vide sua madre, vide Michele, vide sé stesso che prendeva la rincorsa per buttarsi in quel mare.


***


I polmoni si riempirono di quell'acqua che acqua non era. Il suo cervello impiegò qualche minuto per capire che stava affogando in un mare di sambuca. L'alcol gli stava rosicchiando gli occhi, cercò di riemergere ma qualcosa lo stava tirando a fondo. Smise di preoccuparsi e iniziò a cantare ALL YOU NEED IS LOVE.
L'ultima cosa che vide prima d'accecare lo lasciò  come un tordo ubriaco. Il fondo del mare era un grandissimo oblò e dall'altra parte c'era Lisa. Lisa che gli stava parlando. Sgranò gli occhi e si accorse che gli oblò erano due, Lisa era una gigante e guardava dritto negli oblò. Scivolò con i polmoni inzuppati di sambuca.

Ringrazio infinitamente Clauz per aver generato questo nostalgico template. L'idraulico baffettato è stato il compagno delle mie domeniche mattine per troppo tempo per non celebrarlo anche qui... Continuo col feuilleton e vi invito a commentare, quel genio di Clauz ha creato uno script per i commenti surreale: più commenti più tartarughe...


Quinto
…un anno può sembrare un'ora

 


 


…un anno può sembrare un'ora con tutte le parole, con tutte le parole ancora che vengono soltanto da seduti… Max e Mao cantavano dalle casse rattoppate della R4. Ulisse non c'aveva capito un cazzo. Zummo l'aveva spedito a casa senza nemmeno un piccolissimo tarzanello. Gli aveva farfugliato qualcosa, aveva sbagliato a confidarsi con Zummo. Anche lui l'aveva preso per pazzo.
Poteva andare a confidarsi con Lisa ma farsi prendere per rincoglionito dalla sua ragazza non gli andava giù. Doveva farcela da solo.
Di studiare non se ne discuteva, la filosofia poteva attendere.
- Ma ste parole che vengono soltanto da seduti… che cazzo saranno? - Pensò mentre fischiettava sulle note di Max cercando qualche risposta - Il cesso aiuta la concentrazione, sicuro. Forse quel "seduti" si riferisce proprio alla posizione sulla tazza-. 


Era a casa, la sacra famiglia era dispersa nei quattro piani: il pater russava, la mater snocciolava rosari sulle prediche che schizzavano fuori dalla vecchia radiolina sintonizzata su Radio Maria, la sister stava facendo arricchire la telecom col suo bollettino di pettegolezzi.
Tutti i cessi erano liberi. Si piazzò sulla tavolozza del secondo piano, in bocca una marlboro e via. Libertà ai pensieri che teneva imprigionati sotto il cappello giamaicano.
Era seduto sul freddo della tavolozza da qualche ora. La sacra famiglia di sicuro stava ipotizzando un nuovo record di seghe casalinghe. Non gli importava. Ulisse riaffiorò dalle profondità in cui era scivolato. Aveva trovato un metodo infallibile per rientrare nel suo universo parallelo.


***


Sapeva che il rischio c'era, l'overdose ti poteva mandare il cervello in stand by per qualche secolo. J.C. valeva tanto? Ulisse guardò la sua vita, era piatta come la sua ex. 
Restò in attesa, la family a quell'ora andava sempre a spendere e spandere. Qualche minuto ancora. I mozziconi di marlboro avevano ricoperto il pavimento del bagno. Era rimasta l'ultima assassina bianca e arancione. La fumò come se fosse l'ultima della sua breve vita.
Farfugliò i saluti di rito e appena percepì le vibrazioni del portone che veniva chiuso dalla sua sorellina, scattò in piedi.
Sapeva dove cercare. La trovò. La tenne in alto come la testa mozzata di un nemico e schizzò nel salotto.
L'accarezzò, l'abbracciò, la baciò e dopo sta sequela d'effusioni feticiste la infilò. Prese il telecomando e schiacciò il tasto grigio del PLAY.
In quella video c'erano otto puntate di Vivere, senza  un bruscolino di pubblicità.
Non capì più niente, il suo cervello si rifiutava di seguire i tormentati intrallazzi delle varie famiglie. Forse un filo logico ce lo trovava Piero Angela, quello c'era abituato a vedere accoppiamenti selvaggi e istintivi.


***


Ulisse era di nuovo sulla zattera con il pannolone azzurro tra le cosce. Gl'importava solo riprendere il suo viaggio alla ricerca di JC. Forse era tutta colpa di Steve King, aveva letto troppi romanzi e aveva oltrepassato il confine. Non poteva tornare più indietro. Non avrebbe più riconosciuto realtà e sogno. Era sbarcato chissà dove e ancora era senza scarpe.
Il ponte era fatto di vecchie assi scorticate dal sole e dall'acqua di quel mare in tempesta. Del guardiano nessun'indizio. Se l'era immaginato diverso il ponte, fatto di forte calcestruzzo e cemento armato con saldissimi tiranti, come quello delle chewing gum. Non c'erano sedie, non c'erano cicche, non c'era proprio niente, solo quella trentina di assi inchiodate con pezzi di ruggine. Era arrivato alla meta e proprio adesso si sentiva sconfortato, sbudellato, senza niente da dare, senza niente da dire. Uno dei tanti piccoli principi l'aveva semplicemente mandato allo sbaraglio, magari per farsi quattro risate sulle disgrazie degli altri. - Se solo l'arrivo a rivedere per strada… Glieli stacco quei piccoli e principeschi coglioni di cui si vanta tanto. Si fa bello con le sue paranoie da iettatore  strafottente. Non c'è niente da capire? Capirai qualche cosina quando sarai un eunuco!- si disse tra sé e sé.  
Avrebbe dato un rene per una marlboro ma non c'era nemmeno un distributore automatico di cicche all'orizzonte. Si sarebbe fumato pure salvia e rosmarino, una volta con Michele e Nino l'avevano fatto e avevano vomitato pure l'intestino tenue.
Stava per lasciarsi andare, guardava i gorghi che si formavano alla base del ponte, sarebbe bastato lasciarsi cullare dalla corrente, senza più problemi, il mare non gli avrebbe rifiutato un ultimo favore. Aveva preso la sua decisione, gli era bastato vedere i suoi alluci nudi e spellati.
Piegò le ginocchia, pensò a tutta la sua vita e la vide scivolare via dentro un allucinante videoclip. Vide la faccia di Lisa, vide la Renò 4, vide sua madre, vide Michele, vide sé stesso che prendeva la rincorsa per buttarsi in quel mare.


***


I polmoni si riempirono di quell'acqua che acqua non era. Il suo cervello impiegò qualche minuto per capire che stava affogando in un mare di sambuca. L'alcol gli stava rosicchiando gli occhi, cercò di riemergere ma qualcosa lo stava tirando a fondo. Smise di preoccuparsi e iniziò a cantare ALL YOU NEED IS LOVE.
L'ultima cosa che vide prima d'accecare lo lasciò  come un tordo ubriaco. Il fondo del mare era un grandissimo oblò e dall'altra parte c'era Lisa. Lisa che gli stava parlando. Sgranò gli occhi e si accorse che gli oblò erano due, Lisa era una gigante e guardava dritto negli oblò. Scivolò con i polmoni inzuppati di sambuca.

mercoledì 28 maggio 2003

Ulisse passava intere nottate davanti al pc a vomitare quello che gli ribolliva dentro. Scriveva tanto e qualcuno gli diceva che era bravo. Gli altri dicevano che sciupava solo tempo, carta e inchiostro. La scrittura era per lui un istinto primordiale, un istinto da soffocare sulla tastiera del vecchio celeron 400. Non sapeva se scrivere era giusto o sbagliato, ma sapeva che doveva farlo. Doveva farlo perché gli piaceva, si sentiva bene quando rileggeva quello che aveva scritto in preda ai suoi demoni. S'era creato pure un alter ego di carta  che viveva un mondo che somigliava troppo al suo. L'aveva chiamato Stefano Re, la banalissima traduzione italiana di Stephen King. L'aveva fatto sbranare da dicotomici furori e poi nel suo ultimo racconto, nuovo buco, l'aveva fatto morire. S'era semplicemente stancato di quel suo personaggio.
S'era svegliato una mattina sentendosi troppo uguale a Stefano. Aveva paura che, continuando a scrivere, potessero diventare una cosa sola. Lo sentiva  come una condanna e come suo unico compagno in quel viaggio che chiamava vita. Eliminarlo significava sopravvivere, portare al sicuro le ultime scaglie di sana follia.


Stefano Re stava pilotando il sottomarino giallo, Ulisse stava vivendo lo stesso delirio con cui si chiudeva Nuovo Buco.
<<Non ho mai capito che cavolaccio fossero sti dicotomici furori e sta Grande dicotomia!  Io me ne stavo tranquillo, spaparanzato su quei fogli bianchi e tik tik arrivavi tu a digitare qualcosa. Prima quell'okkupazione con contorno di zombi e patti col diavolo. Poi quegli esami di stato, che mi sono dovuto andare a studiare tutte le materie. E quella bella nottata quando Stefania ci ha scaricati? Pure il muratore mi hai fatto fare! Ma ti sembra giusto? Capisco che sti problemi ti pesavano a portarli da solo, ma non potevi trovarti un altro disgraziato? Ogni volta che ti mettevi a scrivere iniziavo a piangere. Mai una storia tranquilla, magari noiosa, senza colpi di scena. Non sono io la tua condanna, sei tu la mia! >>


Stefano Re lo stava sventrando con quelle sue occhiatacce, gliel'aveva dato lui quello sguardo da Santa Inquisizione e ora non riusciva a sopportarlo. Il suo gemellante, la sua creatura, suo figlio si stava ribellando. Tante volte s'era rivoltato contro la sacra famiglia, soprattutto contro suo padre. Capiva solo ora come doveva essersi sentito lui, il nemico, il rappresentante dell'Ordine e della Disciplina.
Stefano Re era solo il riflesso che gli rimandava uno dei tanti fogli dei suoi romanzi. Era solo un mucchietto d'ossa senz'anima, viveva una vita vuota, una pallida imitazione. Respirava finto ossigeno e pisciava in cessi inesistenti. Non viveva veramente. O no? Le certezze di Ulisse stavano vacillando. Si sentiva strattonato a destra e sinistra. Dilatato e rimpicciolito come se il MOUSE SUPREMO cliccasse sui quadratini del suo word art. Come faceva lui con i titoli dei suoi racconti che pubblicava sul Cammello. Qualcuno tirava,  stringeva, ingrandiva, allungava…


 
Quarto


Si svegliò da quei sogni agitati con le chiappe sul sedile della Uno di Simona. Aveva qualche difficoltà con l'accesso remoto al cervello, provò e riprovò ma alla fine lampeggiò la solita scritta. IMPOSSIBILE STABILIRE UNA CONNESSIONE.
Guardò a sinistra e vide il cancello giallo dei Pagliarelli. Sua sorella imboccò lo svincolo per Viale delle Scienze.
<<Bella associazione! Il carcere e l'università così vicini che quasi non si nota la differenza!>> iniziò lui con gli occhi ancora chiusi dal sonno.
<<Sei strano stamattina, ancora di più del solito…>> aggiunse sua sorella, alzando di due tacche la manopola del volume della radio.
<<Chi non lo è?>> disse lui, iniziando una di quelle inutili discussioni che si chiudevano sempre alla solita maniera. E infatti, Simona, alzando al massimo la radio, chiuse laconicamente la discussione: <<Ma perché mi sono meritata un fratello deficiente? Hai azzeccato proprio la facoltà: filosofia. Pensieri inutili per persone inutili.>> disse rossa in faccia con il viso incorniciato dai capelli neri e poi tagliò corto: <<Ci vediamo all'una in macchina e non perdere tempo con quelle merdine dei tuoi colleghi. Guai a te se mi fai perdere tempo a cercarti che poi m'inizia Beautiful…>>.
Sua sorella non aveva molta fantasia, ripeteva dall'inizio dell'anno accademico sempre le stesse cose. Parola per parola. Nemmeno lui si sforzava più di tanto, non riusciva a vederne l'utilità.  
Ulisse vegetò nelle ultime fila dell'aula SISSIS mentre la sua prof. vagava di citazione in citazione alla ricerca della normatività morale ed epistemologica. Proprio non se la sentiva di cazzeggiare con i suoi colleghi e nemmeno di passare dal bar d'ingegneria per bere un caffè con Michele. Si sentiva sperduto. Era in biblioteca e il sogno gli stava tornando in testa. Infilò la matita per non perdere il segno e richiuse il discorso sul Metodo di Cartesio. Tutto gli tornò chiaro in testa: ricordava J.C., il tapirone, E.T. e il piccolo principe. Stava per arrivare al ponte, quando il protagonista dei suoi romanzi aveva deciso d'intromettersi. L'aveva salvato dallo squalo ma gli aveva sputato tutta la sua rabbia. Stefano non doveva morire, non ancora. Con quel salvataggio s'era meritato un grande ritorno. Uscì dalla biblioteca, prese dall'armadietto la borsa a tracolla e andò a seguire l'ultima lezione della giornata. Era storia della filosofia antica e per un po' sentire il professore che discuteva della Teoria delle Idee di Platone gli fece dimenticare Jay e tutto il resto.


Le lezioni erano finite. Simona guidava di nuovo verso Bagheria. Ulisse ricordava che s'era perso dentro il puzzo delle nike e poi buio assoluto. Nessuna cena, nessuna dormita, nessuna doccia. Dal puzzo delle nike era saltato direttamente al sedile della Uno. Mancava uno spezzone di una dozzina d'ore. 


A casa mangiò senza troppa voglia gli spaghetti al pomodoro e pisellini findus con la tv invasa dalle chiappe gialle di Homer. Lasciò il piatto sul tavolo e scese le scale. Aveva voglia di una lunga passeggiata con la sua cagnolona.
S'accese una marlboro nel balcone e guardava Carrie mangiare quei puzzolenti croccantini da sette carte al chilo. Pensava : - Il cane è una spesa morta, un capitale in perdita. Tutti i soldi per i vaccini e i croccantini sono praticamente buttati in mezzo alla merda che le scaccola fuori dalle chiappe. È un'amabile sanguisuga a quattro zampe ma ha due occhi che ti fanno vibrare qualcosa nel petto. Ulisse aggiornò la sua classifica da giustiziere metropolitano: quelli che abbandonano i cani erano al terzo posto, subito dopo i pedofili e i topi d'appartamento. 
La piccolina aveva mangiato, passeggiato, urinato, scoreggiato e cagato. Ulisse stava per rituffarsi sui libri di filosofia quando arrivò l'idea. Non se la sentiva di riannusare le nike, troppo pericoloso. Restava l'ultima chance: Zummo.
Allora la decisione era presa. Con una scusa uscì di casa e si fece inghiottire dallo strano abitacolo della R4. Il mangianastri cantò qualche pezzo dei Dream Theater, sulle note di Strange Deja-vù arrivò davanti al portone di ingresso.
Arrivare al pianerottolo di casa Zummo era sfiancante. Dovevi citofonare tre volte: una per farti aprire la porta d'ingresso del condominio, un'altra per il cancelletto interno antirapina e l'ultimo din don per accedere a Zummolandia.
Anche stavolta Ulisse ce l'aveva fatta.
Zummo era seduto davanti al pc dentro il suo pigiamone color puffo ammuffito. Guardò dentro gli occhi di Ulisse e capì.
Il suo amico aveva una faccia troppo sconvolta sotto quello schifosissimo cappello giamaicano. Le ipotesi si riducevano: o voleva sfumacchiare qualche tarzanello o s'era lasciato con Lisa.
Voleva sfumacchiare. Lui poteva aiutarlo.
La stanza era invasa da poster della sinistra giovanile e dalle casse smozzicate Max Gazzè sputava le note di Cara Valentina. Max sgocciolava le sue teorie su quell'amore acceso esploso troppo presto tra le mani, Ulisse adorava quella song.
Ulisse raccontò tutto il suo viaggio nella contea degli orologi elastici, parlò di J.C., del piccolo principe e di ET e non risparmiò nessun particolare. Raccontò perfino che s'era pisciato per lo spavento.
Zummo non parlò. In testa gli frullavano decine e decine d'immagini. Vedeva bene Ulisse con una camicia di forza, in una stanza imbottita, a testa rasata e soprattutto senza cappello giamaicano. Si tenne tutto per sé rimuginando - nessuno è normale, vabbé, ma qui si esagera. Forse il pressato che gli ho venduto gli ha fulminato qualche neurone di troppo.
Poteva fare solo una cosa: agì.


continua
 

Ulisse passava intere nottate davanti al pc a vomitare quello che gli ribolliva dentro. Scriveva tanto e qualcuno gli diceva che era bravo. Gli altri dicevano che sciupava solo tempo, carta e inchiostro. La scrittura era per lui un istinto primordiale, un istinto da soffocare sulla tastiera del vecchio celeron 400. Non sapeva se scrivere era giusto o sbagliato, ma sapeva che doveva farlo. Doveva farlo perché gli piaceva, si sentiva bene quando rileggeva quello che aveva scritto in preda ai suoi demoni. S'era creato pure un alter ego di carta  che viveva un mondo che somigliava troppo al suo. L'aveva chiamato Stefano Re, la banalissima traduzione italiana di Stephen King. L'aveva fatto sbranare da dicotomici furori e poi nel suo ultimo racconto, nuovo buco, l'aveva fatto morire. S'era semplicemente stancato di quel suo personaggio.
S'era svegliato una mattina sentendosi troppo uguale a Stefano. Aveva paura che, continuando a scrivere, potessero diventare una cosa sola. Lo sentiva  come una condanna e come suo unico compagno in quel viaggio che chiamava vita. Eliminarlo significava sopravvivere, portare al sicuro le ultime scaglie di sana follia.


Stefano Re stava pilotando il sottomarino giallo, Ulisse stava vivendo lo stesso delirio con cui si chiudeva Nuovo Buco.
<<Non ho mai capito che cavolaccio fossero sti dicotomici furori e sta Grande dicotomia!  Io me ne stavo tranquillo, spaparanzato su quei fogli bianchi e tik tik arrivavi tu a digitare qualcosa. Prima quell'okkupazione con contorno di zombi e patti col diavolo. Poi quegli esami di stato, che mi sono dovuto andare a studiare tutte le materie. E quella bella nottata quando Stefania ci ha scaricati? Pure il muratore mi hai fatto fare! Ma ti sembra giusto? Capisco che sti problemi ti pesavano a portarli da solo, ma non potevi trovarti un altro disgraziato? Ogni volta che ti mettevi a scrivere iniziavo a piangere. Mai una storia tranquilla, magari noiosa, senza colpi di scena. Non sono io la tua condanna, sei tu la mia! >>


Stefano Re lo stava sventrando con quelle sue occhiatacce, gliel'aveva dato lui quello sguardo da Santa Inquisizione e ora non riusciva a sopportarlo. Il suo gemellante, la sua creatura, suo figlio si stava ribellando. Tante volte s'era rivoltato contro la sacra famiglia, soprattutto contro suo padre. Capiva solo ora come doveva essersi sentito lui, il nemico, il rappresentante dell'Ordine e della Disciplina.
Stefano Re era solo il riflesso che gli rimandava uno dei tanti fogli dei suoi romanzi. Era solo un mucchietto d'ossa senz'anima, viveva una vita vuota, una pallida imitazione. Respirava finto ossigeno e pisciava in cessi inesistenti. Non viveva veramente. O no? Le certezze di Ulisse stavano vacillando. Si sentiva strattonato a destra e sinistra. Dilatato e rimpicciolito come se il MOUSE SUPREMO cliccasse sui quadratini del suo word art. Come faceva lui con i titoli dei suoi racconti che pubblicava sul Cammello. Qualcuno tirava,  stringeva, ingrandiva, allungava…


 
Quarto


Si svegliò da quei sogni agitati con le chiappe sul sedile della Uno di Simona. Aveva qualche difficoltà con l'accesso remoto al cervello, provò e riprovò ma alla fine lampeggiò la solita scritta. IMPOSSIBILE STABILIRE UNA CONNESSIONE.
Guardò a sinistra e vide il cancello giallo dei Pagliarelli. Sua sorella imboccò lo svincolo per Viale delle Scienze.
<<Bella associazione! Il carcere e l'università così vicini che quasi non si nota la differenza!>> iniziò lui con gli occhi ancora chiusi dal sonno.
<<Sei strano stamattina, ancora di più del solito…>> aggiunse sua sorella, alzando di due tacche la manopola del volume della radio.
<<Chi non lo è?>> disse lui, iniziando una di quelle inutili discussioni che si chiudevano sempre alla solita maniera. E infatti, Simona, alzando al massimo la radio, chiuse laconicamente la discussione: <<Ma perché mi sono meritata un fratello deficiente? Hai azzeccato proprio la facoltà: filosofia. Pensieri inutili per persone inutili.>> disse rossa in faccia con il viso incorniciato dai capelli neri e poi tagliò corto: <<Ci vediamo all'una in macchina e non perdere tempo con quelle merdine dei tuoi colleghi. Guai a te se mi fai perdere tempo a cercarti che poi m'inizia Beautiful…>>.
Sua sorella non aveva molta fantasia, ripeteva dall'inizio dell'anno accademico sempre le stesse cose. Parola per parola. Nemmeno lui si sforzava più di tanto, non riusciva a vederne l'utilità.  
Ulisse vegetò nelle ultime fila dell'aula SISSIS mentre la sua prof. vagava di citazione in citazione alla ricerca della normatività morale ed epistemologica. Proprio non se la sentiva di cazzeggiare con i suoi colleghi e nemmeno di passare dal bar d'ingegneria per bere un caffè con Michele. Si sentiva sperduto. Era in biblioteca e il sogno gli stava tornando in testa. Infilò la matita per non perdere il segno e richiuse il discorso sul Metodo di Cartesio. Tutto gli tornò chiaro in testa: ricordava J.C., il tapirone, E.T. e il piccolo principe. Stava per arrivare al ponte, quando il protagonista dei suoi romanzi aveva deciso d'intromettersi. L'aveva salvato dallo squalo ma gli aveva sputato tutta la sua rabbia. Stefano non doveva morire, non ancora. Con quel salvataggio s'era meritato un grande ritorno. Uscì dalla biblioteca, prese dall'armadietto la borsa a tracolla e andò a seguire l'ultima lezione della giornata. Era storia della filosofia antica e per un po' sentire il professore che discuteva della Teoria delle Idee di Platone gli fece dimenticare Jay e tutto il resto.


Le lezioni erano finite. Simona guidava di nuovo verso Bagheria. Ulisse ricordava che s'era perso dentro il puzzo delle nike e poi buio assoluto. Nessuna cena, nessuna dormita, nessuna doccia. Dal puzzo delle nike era saltato direttamente al sedile della Uno. Mancava uno spezzone di una dozzina d'ore. 


A casa mangiò senza troppa voglia gli spaghetti al pomodoro e pisellini findus con la tv invasa dalle chiappe gialle di Homer. Lasciò il piatto sul tavolo e scese le scale. Aveva voglia di una lunga passeggiata con la sua cagnolona.
S'accese una marlboro nel balcone e guardava Carrie mangiare quei puzzolenti croccantini da sette carte al chilo. Pensava : - Il cane è una spesa morta, un capitale in perdita. Tutti i soldi per i vaccini e i croccantini sono praticamente buttati in mezzo alla merda che le scaccola fuori dalle chiappe. È un'amabile sanguisuga a quattro zampe ma ha due occhi che ti fanno vibrare qualcosa nel petto. Ulisse aggiornò la sua classifica da giustiziere metropolitano: quelli che abbandonano i cani erano al terzo posto, subito dopo i pedofili e i topi d'appartamento. 
La piccolina aveva mangiato, passeggiato, urinato, scoreggiato e cagato. Ulisse stava per rituffarsi sui libri di filosofia quando arrivò l'idea. Non se la sentiva di riannusare le nike, troppo pericoloso. Restava l'ultima chance: Zummo.
Allora la decisione era presa. Con una scusa uscì di casa e si fece inghiottire dallo strano abitacolo della R4. Il mangianastri cantò qualche pezzo dei Dream Theater, sulle note di Strange Deja-vù arrivò davanti al portone di ingresso.
Arrivare al pianerottolo di casa Zummo era sfiancante. Dovevi citofonare tre volte: una per farti aprire la porta d'ingresso del condominio, un'altra per il cancelletto interno antirapina e l'ultimo din don per accedere a Zummolandia.
Anche stavolta Ulisse ce l'aveva fatta.
Zummo era seduto davanti al pc dentro il suo pigiamone color puffo ammuffito. Guardò dentro gli occhi di Ulisse e capì.
Il suo amico aveva una faccia troppo sconvolta sotto quello schifosissimo cappello giamaicano. Le ipotesi si riducevano: o voleva sfumacchiare qualche tarzanello o s'era lasciato con Lisa.
Voleva sfumacchiare. Lui poteva aiutarlo.
La stanza era invasa da poster della sinistra giovanile e dalle casse smozzicate Max Gazzè sputava le note di Cara Valentina. Max sgocciolava le sue teorie su quell'amore acceso esploso troppo presto tra le mani, Ulisse adorava quella song.
Ulisse raccontò tutto il suo viaggio nella contea degli orologi elastici, parlò di J.C., del piccolo principe e di ET e non risparmiò nessun particolare. Raccontò perfino che s'era pisciato per lo spavento.
Zummo non parlò. In testa gli frullavano decine e decine d'immagini. Vedeva bene Ulisse con una camicia di forza, in una stanza imbottita, a testa rasata e soprattutto senza cappello giamaicano. Si tenne tutto per sé rimuginando - nessuno è normale, vabbé, ma qui si esagera. Forse il pressato che gli ho venduto gli ha fulminato qualche neurone di troppo.
Poteva fare solo una cosa: agì.


continua
 

venerdì 23 maggio 2003

Terzo


Dopo una lunga discussione era riuscito a convincere il piccoletto: avrebbe dedicato il resto della sua vita a coltivare rose.
<<Corri Ulisse, corri! Il mare ti aspetta>> gli aveva gridato il piccolo principe sventolando la sciabola che luccicava barbagli di sole. Ulisse aveva corso più veloce di Forrest Gump, più veloce del vento che soffiava da nord est. Vide che una zattera era attraccata a uno degli alberi del Tempo. Saltò a bordo ferendosi il tallone destro e faticò qualche minuto prima di riuscire a issare la vela. Poi si lasciò abbracciare dalle onde. Non era più nudo, il principe dai capelli di grano dorato gli aveva prestato la sua giubba azzurra. Provò a indossarla ma gli stava stretta di spalle e di bacino, poi decise di avvolgersela sotto l'ombelico e, facendo passare la coda di rondine della giubba sul didietro realizzò un rozzo perizoma. Ulisse guardò ancora le lancette dell'orologio immobili, il loro ticchettio eterno si consumò tra le onde.


Il mare era sereno. Ulisse smise di dannarsi con inutili contorsioni mentali, non aveva più importanza sapere dov'era o se sarebbe ritornato mai più a Bagheria. Aveva intenzione di succhiare tutto il midollo di quel viaggio. Si sentiva in bilico ma gli andava bene così. Gli mancava solo Lisa…
- Chissà che faccia avrà sto guardiano… e poi perché mai devo incontrarmi proprio con lui… Potevo restarmene a casa, facevo finta di studiare altre quindici pagine di Aristotele e poi andavo a prendere Lisa. No, mi sono messo nella zucca di ritrovare Jay e ora sono in mezzo all'oceano con un pannolone azzurro tra le cosce e senza manco sapere quello che mi  aspetta - Stava cercando di rimettersi un po' d'ordine in testa ma qualcosa che faceva capolino tra i flutti glielo impedì.
Erano due delfini, due delfini innamorati che si tuffavano e riemergevano di continuo. Il maschio stava al gioco, si divertiva anche lui a giocare a nascondino tra le onde. Si vedeva chiaro e distinto che s'amavano.
Forse il guardiano del ponte sapeva che cos'era l'Amore. Forse era questo il motivo del viaggio. Ulisse non l'aveva mai capita tutta sta faccenda di "Amor che a nullo amato amar perdona" e company. L'amore non è possesso, non è tolleranza, non è sesso. Sapeva solo quello che non era. Ne avevano parlato tanto lui e Lisa e non erano arrivati a niente. Stavano bene assieme, fine del dilemma. Anche con Michele, il suo migliore amico, avevano cercato una minima risposta in discorsi umidi di martini. Aveva ottenuto solo altre domande. Suo compare parlava con in testa bigodini di rabbia e rancore. S'era lasciato da poco e sembrava tranquillo, sereno, risollevato. Michele e Valentina erano stati assieme qualcosa come un anno e mezzo. Un record assoluto che Ulisse non aveva manco sfiorato da lontano. Quello che non capiva era lo stato in cui marciva Michele. Aveva ancora la stanza piena dei regali di Valentina, tutto tra quelle pareti gliela faceva ricordare, e lui era impassibile. Ulisse gli chiedeva perché non scagliava tutto dentro un baule e lui gli rispondeva che non gli facevano né caldo né freddo. Pensava di conoscere il suo migliore amico e invece… Non sapeva nemmeno se avesse mai amato veramente Valentina. Ma non era un suo problema, ci sono incognite che devi agguantare da solo. Gli ambasciatori di Ruffianopoli fanno solo altro danno.
Stava ballando con quei pensieri e poi c'era stata la prima botta. Restò qualche secondo frastornato. Poi arrivò la seconda. Non c'erano scogli che affioravano e non era finito in secca, Ulisse capì che qualcosa stava attaccando la sua zattera. Pensò ai Beatles e alle loro divise sgargianti nella folla che invadeva la copertina dell'ellepi di Sgt. Pepper's Lonely Heart Club Band. Si ricordò anche del vecchio Santiago, della sua lotta con i pescecani tra le pagine del capolavoro di Hemingway. Ulisse non aveva né coltelli, né remi, né fiocine per difendersi. Era solo, senza scarpe e con il pannolone.


C'era solo una cosa da fare. Una canna gli aveva fatto incontrare la versione punk di Jesù, un'annusata suicida delle sue nike l'aveva scaraventato in mezzo all'oceano, l'attacco dello squalo 3 gli stava facendo ululare Help! dei Beatles.
Qualcosa spuntò dalle profondità scandagliandogli l'anima. <<Ma questo l'ho già scritto io! Sono finito dentro il mio romanzo!>> commentò Ulisse e poi svenne in un sonno d'inchiostro.

Terzo


Dopo una lunga discussione era riuscito a convincere il piccoletto: avrebbe dedicato il resto della sua vita a coltivare rose.
<<Corri Ulisse, corri! Il mare ti aspetta>> gli aveva gridato il piccolo principe sventolando la sciabola che luccicava barbagli di sole. Ulisse aveva corso più veloce di Forrest Gump, più veloce del vento che soffiava da nord est. Vide che una zattera era attraccata a uno degli alberi del Tempo. Saltò a bordo ferendosi il tallone destro e faticò qualche minuto prima di riuscire a issare la vela. Poi si lasciò abbracciare dalle onde. Non era più nudo, il principe dai capelli di grano dorato gli aveva prestato la sua giubba azzurra. Provò a indossarla ma gli stava stretta di spalle e di bacino, poi decise di avvolgersela sotto l'ombelico e, facendo passare la coda di rondine della giubba sul didietro realizzò un rozzo perizoma. Ulisse guardò ancora le lancette dell'orologio immobili, il loro ticchettio eterno si consumò tra le onde.


Il mare era sereno. Ulisse smise di dannarsi con inutili contorsioni mentali, non aveva più importanza sapere dov'era o se sarebbe ritornato mai più a Bagheria. Aveva intenzione di succhiare tutto il midollo di quel viaggio. Si sentiva in bilico ma gli andava bene così. Gli mancava solo Lisa…
- Chissà che faccia avrà sto guardiano… e poi perché mai devo incontrarmi proprio con lui… Potevo restarmene a casa, facevo finta di studiare altre quindici pagine di Aristotele e poi andavo a prendere Lisa. No, mi sono messo nella zucca di ritrovare Jay e ora sono in mezzo all'oceano con un pannolone azzurro tra le cosce e senza manco sapere quello che mi  aspetta - Stava cercando di rimettersi un po' d'ordine in testa ma qualcosa che faceva capolino tra i flutti glielo impedì.
Erano due delfini, due delfini innamorati che si tuffavano e riemergevano di continuo. Il maschio stava al gioco, si divertiva anche lui a giocare a nascondino tra le onde. Si vedeva chiaro e distinto che s'amavano.
Forse il guardiano del ponte sapeva che cos'era l'Amore. Forse era questo il motivo del viaggio. Ulisse non l'aveva mai capita tutta sta faccenda di "Amor che a nullo amato amar perdona" e company. L'amore non è possesso, non è tolleranza, non è sesso. Sapeva solo quello che non era. Ne avevano parlato tanto lui e Lisa e non erano arrivati a niente. Stavano bene assieme, fine del dilemma. Anche con Michele, il suo migliore amico, avevano cercato una minima risposta in discorsi umidi di martini. Aveva ottenuto solo altre domande. Suo compare parlava con in testa bigodini di rabbia e rancore. S'era lasciato da poco e sembrava tranquillo, sereno, risollevato. Michele e Valentina erano stati assieme qualcosa come un anno e mezzo. Un record assoluto che Ulisse non aveva manco sfiorato da lontano. Quello che non capiva era lo stato in cui marciva Michele. Aveva ancora la stanza piena dei regali di Valentina, tutto tra quelle pareti gliela faceva ricordare, e lui era impassibile. Ulisse gli chiedeva perché non scagliava tutto dentro un baule e lui gli rispondeva che non gli facevano né caldo né freddo. Pensava di conoscere il suo migliore amico e invece… Non sapeva nemmeno se avesse mai amato veramente Valentina. Ma non era un suo problema, ci sono incognite che devi agguantare da solo. Gli ambasciatori di Ruffianopoli fanno solo altro danno.
Stava ballando con quei pensieri e poi c'era stata la prima botta. Restò qualche secondo frastornato. Poi arrivò la seconda. Non c'erano scogli che affioravano e non era finito in secca, Ulisse capì che qualcosa stava attaccando la sua zattera. Pensò ai Beatles e alle loro divise sgargianti nella folla che invadeva la copertina dell'ellepi di Sgt. Pepper's Lonely Heart Club Band. Si ricordò anche del vecchio Santiago, della sua lotta con i pescecani tra le pagine del capolavoro di Hemingway. Ulisse non aveva né coltelli, né remi, né fiocine per difendersi. Era solo, senza scarpe e con il pannolone.


C'era solo una cosa da fare. Una canna gli aveva fatto incontrare la versione punk di Jesù, un'annusata suicida delle sue nike l'aveva scaraventato in mezzo all'oceano, l'attacco dello squalo 3 gli stava facendo ululare Help! dei Beatles.
Qualcosa spuntò dalle profondità scandagliandogli l'anima. <<Ma questo l'ho già scritto io! Sono finito dentro il mio romanzo!>> commentò Ulisse e poi svenne in un sonno d'inchiostro.

giovedì 22 maggio 2003

Secondo


<<Ci mancava solo E.t.-telefono-casa! Ora si sta esagerando!>> Ulisse incomincia a incazzarsi.
<<Non sono tuo padre e non ho nessun'intenzione di esserlo. Sarò solo la tua guida in questa prima parte del tuo viaggio>> la voce era bollente, graffiante, sincera.
<<Sto sognando. Ho sniffato troppo quelle fottutissime nike. Non è reale, non è reale, non è reale.>> Ulisse continuava a ripeterselo, doveva usare il cervello ma si sentiva un vuoto cosmico dentro il cranio. Magari l'alieno stava leggendo i suoi pensieri e ora vorrà controllare cosa c'è sotto il cranio, gl'infilerà una di quelle sonde spaziali. L'aveva visto pure in South Park, sperava solo d'evitare la sonda anale!
Ulisse non avrebbe mai più fumato un tarzanello, tutto era iniziato proprio con una canna fumata sul divano…
E.T. stavolta non doveva telefonare. Doveva mostrargli la strada per la conoscenza. E non sarebbe servito a niente un <<no, grazie>>. Il pupazzetto di Spielberg aveva una missione e l'avrebbe portata a termine, a qualunque costo.
<<Io ho sempre creduto agli alieni! Mi sono commosso quando hai dovuto salutare il piccolo Eliott, credimi! Ho pure il poster di X-Files sopra il comodino. I want to believe!>> Ulisse parlava e tremava come una gelatina di papaia.
L'alieno cercava qualcosa dietro l'albero degli orologi volanti e il ragazzo incominciò ad immaginarsi pistole a raggi e spade laser e altre diavolerie schizzate fuori da Guerre stellari. La vescica s'arrese e Ulisse chiuse gli occhi, con il rivoletto giallo che gli stava formando una piccola pozzanghera tra i piedi nudi.
L'alieno sventolò qualcosa che Ulisse non riusciva a vedere bene, aveva gli occhi appannati da goccioloni di sudore che gli scivolavano dalla fronte. Quella cosa lo colpì alla testa e lui sentì che era morbida.
<<Smetti di pisciare e asciugati!>> ET gli aveva scagliato contro un rotolo di carta igienica. Ulisse si chinò e la raccolse. Infilò poi l'indice e il medio della mano destra nel tubo cavo e con la mano sinistra acchiappò un lembo e si mise a disegnare circonferenze nell'aria. Dopo strappò il pezzo e scagliò il rotolo lontano. Con il tampone che aveva ottenuto s'asciugò gli schizzi di urina che gli bagnavano le gambe.
Appena concluse ringraziò l'alieno e questo aggiunse: <<Tra poco incontrerai un altro messaggero, dovrai ascoltarlo. Attraverserai un mare in tempesta e arriverai in un ponte. Lì ci sarà un guardiano e il passaggio dovrai guadagnartelo…>>
Ulisse ascoltava senza troppa convinzione, voleva martellare ET con tutti i suoi dubbi, stava per dire qualcosa ma l'alieno lo bloccò.
<<Capirai molto più di quello che dovresti capire…>> disse l'extraterrestre, poi si toccò con l'indice il cuore, un lampo gli balenò sul torace e sparì.


Il ragazzo vagò per kilometri ma il paesaggio non cambiava. L'albero rispuntava a intervalli regolari e così sembrava di essere sempre fermi allo stesso punto. Si sentiva come un personaggio dei fumetti. Imprigionato per sempre nella stessa vignetta. Il suo disegnatore l'aveva lasciato lì, non aveva disegnato altro dopo quel maledetto albero degli orologi.
Passarono minuti o forse anni, ma all'improvviso qualcosa apparve dal nulla lasciando Ulisse imbalsamato. A giudicare dall'ombra il messaggero che aveva aspettato era alto poco più di un metro. Poteva essere benissimo uno dei sette nani.


***


<<Io… io ti conosco>> in testa un'illustrazione guardata troppe volte.


<<Anch'io conosco te>> i capelli del colore del grano, la giubba blu, la sciabola.


<<Tu sei l'amico dell'aviatore che si perde nel deserto, sei l'amico della volpe, sei quello che ama  la rosa!>> l'intuizione diventa certezza negli occhi stanchi del ragazzo che cercava J.C.


<<L'aviatore è morto. La volpe l'hanno presa i bracconieri e la rosa è appassita. Tutti morti, siamo solo cenere calda. Non si può restare per tutta la vita piccoli principi. Ma una cosa non cambia..>>


<<Questa la so…>>


<<L'essenziale è…>>


<<Invisibile agli occhi. Ora lo cantano pure i 99 posse!>>


<<Lo sai ma cerchi sempre di afferrare un senso nelle cose. Lo fai sapendo benissimo che il più delle volte quello che ci capita non ha motivo. Accade senza scomodare leggi cosmiche o complicati calcoli di statistica. Cercare di capirci qualcosa è inutile. Pure che t'illudi di capire qualcosa, non cambierà mai niente. Quello che deve accadere, accadrà. Puoi correre più di Forrest Gump ma la morte ti raggiungerà sempre. Siamo destinati a morire. L'unica cosa da capire è questa. Non serve affannarsi. Pure campando 120 anni, arriverà un momento in cui il cuore smetterà di pompare sangue e i polmoni si stancheranno di respirare ossigeno. Nessuno può sfuggirle. E io me ne sbatto i piccoli e principeschi coglioni: non voglio sapere quello che c'è dopo il confine…>>  il principino s'accende una sigaretta con un cerino, porge il pacco a Ulisse.


<<Una vita per la morte mi va stretta. E la resurrezione dove la metti?>> lo dice tra i ghirigori del fumo.


<<Bella roba, quella! Hai visto "La notte dei morti viventi"? Alzarsi dalla tomba e cercare qualche cervello per finire riammazzati. Meglio restare sotto due metri di terra bagnata. Ti fai cremare o lasci il compito al tempo. Alla fine sei sempre cenere calda. Un mucchietto di cenere calda nelle mani di Qualcuno che ha uno strano senso dell'umorismo>> una tristezza immensa in quegli occhi azzurri così piccoli e lucidi, schiaccia la sigaretta sotto gli stivali.


<<E i miei sogni, le mie speranze, i miei figli?>> Ulisse stava cucendosi addosso un sudario di paranoie.


<<Saranno qualche granellino nel mucchietto. Anche i tuoi figli moriranno. Anche i tuoi nipoti. Così per sempre. Solo J.C. è immortale. Suo padre e lui sono praticamente una cosa sola. Sono immortali e si annoiano. Allora hanno deciso di regalarci questa inutilità che chiamiamo vita. Si divertono a guardarci soffrire. Siamo solo marionette per loro.  E quando si stancano ci buttano nel dimenticatoio. Nella loro stanza piena di nuvole o nel loro caminetto. A seconda di come abbiamo interpretato il loro copione…>>


Il piccolo principe parlava con la bocca piena di rabbia, ma quello che diceva aveva un suo senso. Ulisse aveva chiuso con quelle elucubrazioni senza fine, sbiellare non era la sua massima aspirazione e poi mica voleva capire tutto della vita. Gli andava bene pure così, gli bastava arrivare al numero 500 di Dylan Dog, vedere arrivare in libreria l'ultimo capitolo della saga della Torre Nera del venerabile King e lasciare quel fatidico segno del proprio passaggio. I figli sono capaci di farli tutti, basta schizzare una goccia di vita dentro il buco in cui si cela l'origine del mondo. Un film, una poesia, un romanzo possono trapanarti lo sterno e toccarti il cuore   anche se i registi e gli scrittori sono già cenere calda da cinquant'anni o da qualche secolo. A lui bastava rivedere Forrest Gump, rileggere Itaca di Kavafis o Conversazione in Sicilia per palpeggiare le tette della felicità. Cambiava di continuo taglio di capelli, modo di vestirsi e di parlare ma quelle tre ancore non le cambiava. Se ne potevano aggiungere altre ma quelle restavano sempre con lui.


Il piccolo principe aveva l'amicizia dell'aviatore e della sua volpe e l'amore per la sua bellissima rosa. Gli sarebbero rimasti per sempre. Doveva solo ricordarlo e Ulisse l'avrebbe aiutato. Non lo sapeva se quello che stava vivendo era un sogno o era il suo destino, sapeva solo che doveva aiutare quel piccoletto a riscoprire l'essenziale.
 


continua

Secondo


<<Ci mancava solo E.t.-telefono-casa! Ora si sta esagerando!>> Ulisse incomincia a incazzarsi.
<<Non sono tuo padre e non ho nessun'intenzione di esserlo. Sarò solo la tua guida in questa prima parte del tuo viaggio>> la voce era bollente, graffiante, sincera.
<<Sto sognando. Ho sniffato troppo quelle fottutissime nike. Non è reale, non è reale, non è reale.>> Ulisse continuava a ripeterselo, doveva usare il cervello ma si sentiva un vuoto cosmico dentro il cranio. Magari l'alieno stava leggendo i suoi pensieri e ora vorrà controllare cosa c'è sotto il cranio, gl'infilerà una di quelle sonde spaziali. L'aveva visto pure in South Park, sperava solo d'evitare la sonda anale!
Ulisse non avrebbe mai più fumato un tarzanello, tutto era iniziato proprio con una canna fumata sul divano…
E.T. stavolta non doveva telefonare. Doveva mostrargli la strada per la conoscenza. E non sarebbe servito a niente un <<no, grazie>>. Il pupazzetto di Spielberg aveva una missione e l'avrebbe portata a termine, a qualunque costo.
<<Io ho sempre creduto agli alieni! Mi sono commosso quando hai dovuto salutare il piccolo Eliott, credimi! Ho pure il poster di X-Files sopra il comodino. I want to believe!>> Ulisse parlava e tremava come una gelatina di papaia.
L'alieno cercava qualcosa dietro l'albero degli orologi volanti e il ragazzo incominciò ad immaginarsi pistole a raggi e spade laser e altre diavolerie schizzate fuori da Guerre stellari. La vescica s'arrese e Ulisse chiuse gli occhi, con il rivoletto giallo che gli stava formando una piccola pozzanghera tra i piedi nudi.
L'alieno sventolò qualcosa che Ulisse non riusciva a vedere bene, aveva gli occhi appannati da goccioloni di sudore che gli scivolavano dalla fronte. Quella cosa lo colpì alla testa e lui sentì che era morbida.
<<Smetti di pisciare e asciugati!>> ET gli aveva scagliato contro un rotolo di carta igienica. Ulisse si chinò e la raccolse. Infilò poi l'indice e il medio della mano destra nel tubo cavo e con la mano sinistra acchiappò un lembo e si mise a disegnare circonferenze nell'aria. Dopo strappò il pezzo e scagliò il rotolo lontano. Con il tampone che aveva ottenuto s'asciugò gli schizzi di urina che gli bagnavano le gambe.
Appena concluse ringraziò l'alieno e questo aggiunse: <<Tra poco incontrerai un altro messaggero, dovrai ascoltarlo. Attraverserai un mare in tempesta e arriverai in un ponte. Lì ci sarà un guardiano e il passaggio dovrai guadagnartelo…>>
Ulisse ascoltava senza troppa convinzione, voleva martellare ET con tutti i suoi dubbi, stava per dire qualcosa ma l'alieno lo bloccò.
<<Capirai molto più di quello che dovresti capire…>> disse l'extraterrestre, poi si toccò con l'indice il cuore, un lampo gli balenò sul torace e sparì.


Il ragazzo vagò per kilometri ma il paesaggio non cambiava. L'albero rispuntava a intervalli regolari e così sembrava di essere sempre fermi allo stesso punto. Si sentiva come un personaggio dei fumetti. Imprigionato per sempre nella stessa vignetta. Il suo disegnatore l'aveva lasciato lì, non aveva disegnato altro dopo quel maledetto albero degli orologi.
Passarono minuti o forse anni, ma all'improvviso qualcosa apparve dal nulla lasciando Ulisse imbalsamato. A giudicare dall'ombra il messaggero che aveva aspettato era alto poco più di un metro. Poteva essere benissimo uno dei sette nani.


***


<<Io… io ti conosco>> in testa un'illustrazione guardata troppe volte.


<<Anch'io conosco te>> i capelli del colore del grano, la giubba blu, la sciabola.


<<Tu sei l'amico dell'aviatore che si perde nel deserto, sei l'amico della volpe, sei quello che ama  la rosa!>> l'intuizione diventa certezza negli occhi stanchi del ragazzo che cercava J.C.


<<L'aviatore è morto. La volpe l'hanno presa i bracconieri e la rosa è appassita. Tutti morti, siamo solo cenere calda. Non si può restare per tutta la vita piccoli principi. Ma una cosa non cambia..>>


<<Questa la so…>>


<<L'essenziale è…>>


<<Invisibile agli occhi. Ora lo cantano pure i 99 posse!>>


<<Lo sai ma cerchi sempre di afferrare un senso nelle cose. Lo fai sapendo benissimo che il più delle volte quello che ci capita non ha motivo. Accade senza scomodare leggi cosmiche o complicati calcoli di statistica. Cercare di capirci qualcosa è inutile. Pure che t'illudi di capire qualcosa, non cambierà mai niente. Quello che deve accadere, accadrà. Puoi correre più di Forrest Gump ma la morte ti raggiungerà sempre. Siamo destinati a morire. L'unica cosa da capire è questa. Non serve affannarsi. Pure campando 120 anni, arriverà un momento in cui il cuore smetterà di pompare sangue e i polmoni si stancheranno di respirare ossigeno. Nessuno può sfuggirle. E io me ne sbatto i piccoli e principeschi coglioni: non voglio sapere quello che c'è dopo il confine…>>  il principino s'accende una sigaretta con un cerino, porge il pacco a Ulisse.


<<Una vita per la morte mi va stretta. E la resurrezione dove la metti?>> lo dice tra i ghirigori del fumo.


<<Bella roba, quella! Hai visto "La notte dei morti viventi"? Alzarsi dalla tomba e cercare qualche cervello per finire riammazzati. Meglio restare sotto due metri di terra bagnata. Ti fai cremare o lasci il compito al tempo. Alla fine sei sempre cenere calda. Un mucchietto di cenere calda nelle mani di Qualcuno che ha uno strano senso dell'umorismo>> una tristezza immensa in quegli occhi azzurri così piccoli e lucidi, schiaccia la sigaretta sotto gli stivali.


<<E i miei sogni, le mie speranze, i miei figli?>> Ulisse stava cucendosi addosso un sudario di paranoie.


<<Saranno qualche granellino nel mucchietto. Anche i tuoi figli moriranno. Anche i tuoi nipoti. Così per sempre. Solo J.C. è immortale. Suo padre e lui sono praticamente una cosa sola. Sono immortali e si annoiano. Allora hanno deciso di regalarci questa inutilità che chiamiamo vita. Si divertono a guardarci soffrire. Siamo solo marionette per loro.  E quando si stancano ci buttano nel dimenticatoio. Nella loro stanza piena di nuvole o nel loro caminetto. A seconda di come abbiamo interpretato il loro copione…>>


Il piccolo principe parlava con la bocca piena di rabbia, ma quello che diceva aveva un suo senso. Ulisse aveva chiuso con quelle elucubrazioni senza fine, sbiellare non era la sua massima aspirazione e poi mica voleva capire tutto della vita. Gli andava bene pure così, gli bastava arrivare al numero 500 di Dylan Dog, vedere arrivare in libreria l'ultimo capitolo della saga della Torre Nera del venerabile King e lasciare quel fatidico segno del proprio passaggio. I figli sono capaci di farli tutti, basta schizzare una goccia di vita dentro il buco in cui si cela l'origine del mondo. Un film, una poesia, un romanzo possono trapanarti lo sterno e toccarti il cuore   anche se i registi e gli scrittori sono già cenere calda da cinquant'anni o da qualche secolo. A lui bastava rivedere Forrest Gump, rileggere Itaca di Kavafis o Conversazione in Sicilia per palpeggiare le tette della felicità. Cambiava di continuo taglio di capelli, modo di vestirsi e di parlare ma quelle tre ancore non le cambiava. Se ne potevano aggiungere altre ma quelle restavano sempre con lui.


Il piccolo principe aveva l'amicizia dell'aviatore e della sua volpe e l'amore per la sua bellissima rosa. Gli sarebbero rimasti per sempre. Doveva solo ricordarlo e Ulisse l'avrebbe aiutato. Non lo sapeva se quello che stava vivendo era un sogno o era il suo destino, sapeva solo che doveva aiutare quel piccoletto a riscoprire l'essenziale.
 


continua

martedì 20 maggio 2003

vibrissescatola

un'iniziativa discutibile

 

Care voi, cari voi.

 

Più o meno settimanalmente qualcuno mi scrive per dirmi: "Caro Mozzi, ma perché non fai un'edizione su carta di vibrisse?". Io naturalmente rispondo: "Non la faccio perché mi costerebbe un occhio; trovare duemila e passa lettori gratuiti in rete è una cosa, trovarne altrettanti a pagamento in libreria o in edicola è tutt'altra cosa".

 

La faccenda, però, a dire il vero, in somma, peraltro, tuttavia, mi stuzzica. Così ho pensato di fare una cosa che potrà piacere o non piacere, ma che a me mi piace. Anche se, lo so, mi procurerà un sacco di guai.

 

Si tratta di fare un'edizione di vibrisse in scatola: una vibrissescatola, come dice il titolo qui sopra.

 


Funziona così:

 

- ciascuna e ciascuno di voi è invitato a mandarmi per posta ordinaria (l'indirizzo è qui sotto) un "oggetto letterario" di sua produzione in un certo numero di esemplari (direi: da dieci a trenta). In ogni oggetto (in ogni copia di ciascun oggetto) dovrà essere indicato il nome dell'autrice o autore, nonché un recapito (un telefono, un aposta elettronica, un indirizzo fisico).

 

Io confezionerò le vibrissescatola, adoperando le scatole gialle vendute presso gli uffici postali (formato: 18 x 24 x 4 cm). In ogni vibrissescatola inserirò dieci diversi "oggetti letterari", e le spedirò a chi me le chiederà. Si troveranno poi, eventualmente, altre occasioni di distribuzione (fiere, incontri ecc.).


 

Il termine ultimo per inviare gli "oggetti letterari" è fissato al 17 giugno 2003. Da quel momento le vibrissescatola potranno essere prenotate.

 


Non farò nessuna selezione del materiale. Tutto ciò che riceverò sarà rimesso in circolazione.

 

In qualche scatola mi prenderò il lusso di inserire delle sorprese.

 

Sarà mia cura far sì che ciascuna vibrissescatola abbia un contenuto diverso da tutte le altre.

 

Una scatola costa 1,40 euro. L'affrancatura, per un peso inferiore al chilo, è 3,62 euro. Ci sarà qualche spesa per le etichette, il nastro adesivo e così via. Penso che potrò chiedere, come rimborso delle spese, l'invio di 13 francobolli da 0,42 euro (i normali francobolli da lettera), per un totale di 5,46 euro. In sostanza, non ci sarà alcun guadagno da parte mia. Questi numeri potrebbero cambiare (ma di poco): aspetto di vedere i materiali.

 

Sarà bene che gli "oggetti letterari" siano leggeri, o almeno non molto pesanti.

 

A chi comprerà vibrissescatola in occasione di incontri ecc. chiederò ovviamente solo il rimborso del costo della scatola.

 

Per "oggetto letterario" intendo:

 

- minilibri autoprodotti (dal foglio piegato in quattro alla piccola pubblicazione fuori commercio); eventualmente in materiali diversi: foglie, panno, plastica (escluderei, per ragioni di peso, il legno di noce e i sassi); e così via.

 

- fotografie di parole, di persone che parolano, di parolieri, di parolai; e così via.

 

- volantini poetici, aeroplanini di carta poetici, palle di carta accartocciate poetiche (purché piccole); e così via.

 

- audiocassette o cd o cd-rom o floppy dick con parole dette o cantate o entrambe le cose; e così via.

 

- oggetti con parole (cortecce, foglie d'acero, biancheria intima purché igienizzata); e così via.

 

- tele ricamate con parole (punto croce, merletto); e così via.

 

- oggetti leggeri costruibili con parole (cartoncini o balse da piegare e incastrare ecc.).

 

E chi più ne ha più ne metta. Escludo:

 

- i semplici fogli graffettati. Desidero ricevere (per rimetterli in circolazione) oggetti che contengano una certa quantità di cura, di lavoro manuale, di tempo, di dedizione.

 

- libri in commercio, riviste e così via: per loro ci sarà, eventualmente, una seconda vibrissescatola.

 

- le enciclopedie in più volumi.

 

I materiali per le vibrissescatola dovranno essere spediti a questo indirizzo: giulio mozzi, via michele sanmicheli 5 c, 35123 padova. All'esterno della busta o plico o pacco, lì dove mettete il vostro indirizzo come mittente, scrivete: per vibrissescatola.

 

Ecco, questo è tutto. Se pensate che la cosa sia una fesseria, pazienza. Se vi pare un'idea divertente, vi aspetto.

 

giulio mozzi

 

(from vibrisse)

 
The Matrix: il sito segreto

Dopo cinque lunghi anni di attesa, esce oggi nelle sale cinematografiche degli Stati Uniti la seconda parte del mitico film The Matrix. In attesa di vedere anche da noi le nuove avventure di Morpheus & C., vi sveliamo una chicca da non perdere! Forse non tutti hanno notato che nei titoli di coda, in fondo, compare la scritta password: "steak". Ebbene, non è assolutamente messa a caso, anzi...
Andate sul sito ufficiale
http://www.whatisthematrix.com e entrate utilizzando la versione flash. Il percorso per raggiungere le stanze segrete di Matrix è un po' contorto, come per tutte le zone off- limit che si rispettino, ma ne vale assolutamente la pena! In alto vi apparirà una barra di navigazione un po' particolare: in fondo a destra, subito dopo la sezione "main frame", vedrete una piccola icona composta da tre pulsanti, di cui quello centrale più grosso. Una volta individuata, cliccate sul primo spazio piccolo in alto: vi verrà chiesta una password per proseguire, e indovinate un po' qual'è la parola magica? Benvenuti nel "dietro le quinte" di Matrix, accessibile a pochi, ma sicuramente imperdibile!

ci sono 5 sezioni CREATURES - Behind the scenes - Il nabuconodossor - Hidden Interview e Pods

Mi aspettavo di meglio... comunque la sezione nascosta c'è sul serio

Ulisse, lumache e cioccolatini


uno


Ulisse rubava giorni alle tette del calendario di Max che ciondolava sopra la sua scrivania. Stava scivolando nelle pagine del De Anima d'Aristotele sotto lo sguardo omnitel della Megan in mini bikini. Peggio degli altri giorni. Annaspava con la schiena spezzata cercando di sbudellare quel testo proprio come gli intimava la veneranda prof. di Storia della Filosofia.
Quello che era successo sul divano bianco superava qualsiasi megacapezzolo patinato. Voleva rincontrare JC, quella chiacchierata gli aveva regalato un bel po' di serenità.
Ogni pensiero s'ostinava a seguire un percorso alternativo pieno di buche per andare a sbattere sempre là. Qualsiasi associazione mentale correva lontano e scodinzolando gli riportava la faccia di JC, s'incominciò a preoccupare quando la vide sovrapporsi al volto della sua Lisa… 
Basta che pensi troppo una cosa, una qualunque, che quella incomincia a riempirti la testa come un biscotto troppo inzuppato. Un pensiero che prima ti sembrava banale, capitato lì per caso diventa presto un'ossessione. JC era diventata la sua.


Cercò JC tra le vecchie comari che biascicavano rosari e avemarie e pater nostri, lo cercò tra le pagine del Vangelo, lo cercò dentro un confessionale.
Appena s'inginocchiò, il prete, seminascosto dalla grata metallica, disse, con occhi di carbonella, che quello non era un programma televisivo. Ulisse non doveva fare nessuna nomination, il pretino non era mica Daria Bignardi e non c'era nessun collegamento con nessunissima casa. Il Grande Fratello era ancora nell'aria e magari qualche fanatico andava lì a fare davvero le nomination!
JC non poteva essere lì, non era posto per Lui.
Rassegnato, Ulisse si slacciò le nike. Era nella sua stanza, Megan era sempre in spiaggia con una tetta per mano e quello sguardo da ninfomane alla celluloide. Una strana idea gli s'arrampicò sulle spalle. Aveva ancora in mano una delle nike e senza pensarci tuffò il naso dentro le suole aromatiche. Le annusò per un quarto d'ora.
Quell'odore era allucinogeno, sembrava di odorare un intero spogliatoio maschile: sudore, cellule morte, ricordi e rimpianti, sottilette fumanti, croccantini per cani, sterco putrefatto, cipolle, sigari cubani, vecchie scoregge. Si trovava di tutto per un naso pronto a rischiare ma JC non c'era.
Si distese sul letto e mandò i Beatles a palla.
Su Yesterday Ulisse programmò la ripetizione continua. John Lennon cantò e ricantò di come i suoi guai erano lontani, di come l'amore era un gioco facile, di quanto credeva in ieri. Alla trentaduesima volta Ulisse aveva deciso di farla finita: sarebbe affogato nelle nike. Il puzzo dei suoi piedi avrebbe steso un branco di rinoceronti ucraini, sarebbe morto nel giro di qualche ora.


***


Forse aveva dormito.
Di JC nessuna traccia.


Non era più nella sua stanza e non aveva più i suoi vestiti e il suo scetticismo. Era nudo ma non cercava di coprirsi, aveva solo voglia di capirci qualcosa. Si mise a pensare che forse era morto e quello che vedeva era l'aldilà, poi si stropicciò gli occhi e notò che ci vedeva benissimo pure senza lentine. Si mise in cammino e vagò, lasciandosi guidare dalla strada di sabbia che sentiva soffice sotto i piedi.
Arrivò alla fine del bagnasciuga e vide, proprio davanti a lui, un albero. Sopra l'albero c'era un orologio di stoffa messo lì ad asciugare, si avvicinò. Ulisse guardava di continuo il mare azzurro e lo sentiva: lì doveva trovare qualcosa. Non guardò mai il cielo.
Palpandolo sentì che l'orologio era vero, non era una tela stampata: funzionava ed era soffice e sottile, elastico. Come pure la cassa, il quadrante e le due lancette che ticchettavano senza muoversi di un solo millimetro. Segnavano le dodici e mezzo da chissà quanti anni. Lo acchiappò con tutte e due le mani e provò a distenderlo: era fatto della stessa materia dei sogni.
Sentì un saltellio sempre più vicino e si voltò di scatto con l'orologio ancora tra le mani. Di sicuro stava impazzendo, quello che aveva davanti non poteva essere vero.


La cosa che lo stava seguendo era un mastodontico tapiro d'oro e non c'era nessun vice-gabibbo per consegnarlo, camminava da solo, saltellando sulla base di legno. Ulisse trattenne il fiato e il tapiro lo guardò dritto negli occhi. Lo guardò solo un attimo e poi passò oltre.
- E se fossi finito dentro una delle tante finzioni di Borges?- Dopo il tapiro, Ulisse non si sentiva di scartare nessuna ipotesi. Aveva iniziato quel viaggio alla ricerca di JC, tutto era possibile. Per quanto ne sapeva, quello che stava vivendo poteva essere benissimo una sfilza di non-senses sgocciolati da uno dei milioni di tomi di una delle infinite biblioteche di Babele. Era a casa, pronto a ripassare qualcosa per gli esami della sessione invernale quando JC era apparso sul divano bianco: il Re era stato il suo Bianconiglio. La voglia di rivederlo l'aveva spinto su quella spiaggia; lì, dove si scontravano emozioni e razionalità in un duello infinito. Ulisse era al bivio tra cuore e cervello e doveva schierarsi. Il pater familias glielo diceva sempre. "Devi schierarti nella vita, non puoi cullarti per sempre nell'indecisione". Forse papà aveva ragione - pensò - ma vorrei proprio vedere lui che farebbe in questo caso. Lui, nudo, tra orologi elasticizzati e tapiri d'oro. Non sapresti scegliere, vero, papà?
<>.
Qualcuno gli aveva risposto.


continua


vibrissescatola

un'iniziativa discutibile

 

Care voi, cari voi.

 

Più o meno settimanalmente qualcuno mi scrive per dirmi: "Caro Mozzi, ma perché non fai un'edizione su carta di vibrisse?". Io naturalmente rispondo: "Non la faccio perché mi costerebbe un occhio; trovare duemila e passa lettori gratuiti in rete è una cosa, trovarne altrettanti a pagamento in libreria o in edicola è tutt'altra cosa".

 

La faccenda, però, a dire il vero, in somma, peraltro, tuttavia, mi stuzzica. Così ho pensato di fare una cosa che potrà piacere o non piacere, ma che a me mi piace. Anche se, lo so, mi procurerà un sacco di guai.

 

Si tratta di fare un'edizione di vibrisse in scatola: una vibrissescatola, come dice il titolo qui sopra.

 


Funziona così:

 

- ciascuna e ciascuno di voi è invitato a mandarmi per posta ordinaria (l'indirizzo è qui sotto) un "oggetto letterario" di sua produzione in un certo numero di esemplari (direi: da dieci a trenta). In ogni oggetto (in ogni copia di ciascun oggetto) dovrà essere indicato il nome dell'autrice o autore, nonché un recapito (un telefono, un aposta elettronica, un indirizzo fisico).

 

Io confezionerò le vibrissescatola, adoperando le scatole gialle vendute presso gli uffici postali (formato: 18 x 24 x 4 cm). In ogni vibrissescatola inserirò dieci diversi "oggetti letterari", e le spedirò a chi me le chiederà. Si troveranno poi, eventualmente, altre occasioni di distribuzione (fiere, incontri ecc.).


 

Il termine ultimo per inviare gli "oggetti letterari" è fissato al 17 giugno 2003. Da quel momento le vibrissescatola potranno essere prenotate.

 


Non farò nessuna selezione del materiale. Tutto ciò che riceverò sarà rimesso in circolazione.

 

In qualche scatola mi prenderò il lusso di inserire delle sorprese.

 

Sarà mia cura far sì che ciascuna vibrissescatola abbia un contenuto diverso da tutte le altre.

 

Una scatola costa 1,40 euro. L'affrancatura, per un peso inferiore al chilo, è 3,62 euro. Ci sarà qualche spesa per le etichette, il nastro adesivo e così via. Penso che potrò chiedere, come rimborso delle spese, l'invio di 13 francobolli da 0,42 euro (i normali francobolli da lettera), per un totale di 5,46 euro. In sostanza, non ci sarà alcun guadagno da parte mia. Questi numeri potrebbero cambiare (ma di poco): aspetto di vedere i materiali.

 

Sarà bene che gli "oggetti letterari" siano leggeri, o almeno non molto pesanti.

 

A chi comprerà vibrissescatola in occasione di incontri ecc. chiederò ovviamente solo il rimborso del costo della scatola.

 

Per "oggetto letterario" intendo:

 

- minilibri autoprodotti (dal foglio piegato in quattro alla piccola pubblicazione fuori commercio); eventualmente in materiali diversi: foglie, panno, plastica (escluderei, per ragioni di peso, il legno di noce e i sassi); e così via.

 

- fotografie di parole, di persone che parolano, di parolieri, di parolai; e così via.

 

- volantini poetici, aeroplanini di carta poetici, palle di carta accartocciate poetiche (purché piccole); e così via.

 

- audiocassette o cd o cd-rom o floppy dick con parole dette o cantate o entrambe le cose; e così via.

 

- oggetti con parole (cortecce, foglie d'acero, biancheria intima purché igienizzata); e così via.

 

- tele ricamate con parole (punto croce, merletto); e così via.

 

- oggetti leggeri costruibili con parole (cartoncini o balse da piegare e incastrare ecc.).

 

E chi più ne ha più ne metta. Escludo:

 

- i semplici fogli graffettati. Desidero ricevere (per rimetterli in circolazione) oggetti che contengano una certa quantità di cura, di lavoro manuale, di tempo, di dedizione.

 

- libri in commercio, riviste e così via: per loro ci sarà, eventualmente, una seconda vibrissescatola.

 

- le enciclopedie in più volumi.

 

I materiali per le vibrissescatola dovranno essere spediti a questo indirizzo: giulio mozzi, via michele sanmicheli 5 c, 35123 padova. All'esterno della busta o plico o pacco, lì dove mettete il vostro indirizzo come mittente, scrivete: per vibrissescatola.

 

Ecco, questo è tutto. Se pensate che la cosa sia una fesseria, pazienza. Se vi pare un'idea divertente, vi aspetto.

 

giulio mozzi

 

(from vibrisse)

 
The Matrix: il sito segreto

Dopo cinque lunghi anni di attesa, esce oggi nelle sale cinematografiche degli Stati Uniti la seconda parte del mitico film The Matrix. In attesa di vedere anche da noi le nuove avventure di Morpheus & C., vi sveliamo una chicca da non perdere! Forse non tutti hanno notato che nei titoli di coda, in fondo, compare la scritta password: "steak". Ebbene, non è assolutamente messa a caso, anzi...
Andate sul sito ufficiale
http://www.whatisthematrix.com e entrate utilizzando la versione flash. Il percorso per raggiungere le stanze segrete di Matrix è un po' contorto, come per tutte le zone off- limit che si rispettino, ma ne vale assolutamente la pena! In alto vi apparirà una barra di navigazione un po' particolare: in fondo a destra, subito dopo la sezione "main frame", vedrete una piccola icona composta da tre pulsanti, di cui quello centrale più grosso. Una volta individuata, cliccate sul primo spazio piccolo in alto: vi verrà chiesta una password per proseguire, e indovinate un po' qual'è la parola magica? Benvenuti nel "dietro le quinte" di Matrix, accessibile a pochi, ma sicuramente imperdibile!

ci sono 5 sezioni CREATURES - Behind the scenes - Il nabuconodossor - Hidden Interview e Pods

Mi aspettavo di meglio... comunque la sezione nascosta c'è sul serio

Ulisse, lumache e cioccolatini


uno


Ulisse rubava giorni alle tette del calendario di Max che ciondolava sopra la sua scrivania. Stava scivolando nelle pagine del De Anima d'Aristotele sotto lo sguardo omnitel della Megan in mini bikini. Peggio degli altri giorni. Annaspava con la schiena spezzata cercando di sbudellare quel testo proprio come gli intimava la veneranda prof. di Storia della Filosofia.
Quello che era successo sul divano bianco superava qualsiasi megacapezzolo patinato. Voleva rincontrare JC, quella chiacchierata gli aveva regalato un bel po' di serenità.
Ogni pensiero s'ostinava a seguire un percorso alternativo pieno di buche per andare a sbattere sempre là. Qualsiasi associazione mentale correva lontano e scodinzolando gli riportava la faccia di JC, s'incominciò a preoccupare quando la vide sovrapporsi al volto della sua Lisa… 
Basta che pensi troppo una cosa, una qualunque, che quella incomincia a riempirti la testa come un biscotto troppo inzuppato. Un pensiero che prima ti sembrava banale, capitato lì per caso diventa presto un'ossessione. JC era diventata la sua.


Cercò JC tra le vecchie comari che biascicavano rosari e avemarie e pater nostri, lo cercò tra le pagine del Vangelo, lo cercò dentro un confessionale.
Appena s'inginocchiò, il prete, seminascosto dalla grata metallica, disse, con occhi di carbonella, che quello non era un programma televisivo. Ulisse non doveva fare nessuna nomination, il pretino non era mica Daria Bignardi e non c'era nessun collegamento con nessunissima casa. Il Grande Fratello era ancora nell'aria e magari qualche fanatico andava lì a fare davvero le nomination!
JC non poteva essere lì, non era posto per Lui.
Rassegnato, Ulisse si slacciò le nike. Era nella sua stanza, Megan era sempre in spiaggia con una tetta per mano e quello sguardo da ninfomane alla celluloide. Una strana idea gli s'arrampicò sulle spalle. Aveva ancora in mano una delle nike e senza pensarci tuffò il naso dentro le suole aromatiche. Le annusò per un quarto d'ora.
Quell'odore era allucinogeno, sembrava di odorare un intero spogliatoio maschile: sudore, cellule morte, ricordi e rimpianti, sottilette fumanti, croccantini per cani, sterco putrefatto, cipolle, sigari cubani, vecchie scoregge. Si trovava di tutto per un naso pronto a rischiare ma JC non c'era.
Si distese sul letto e mandò i Beatles a palla.
Su Yesterday Ulisse programmò la ripetizione continua. John Lennon cantò e ricantò di come i suoi guai erano lontani, di come l'amore era un gioco facile, di quanto credeva in ieri. Alla trentaduesima volta Ulisse aveva deciso di farla finita: sarebbe affogato nelle nike. Il puzzo dei suoi piedi avrebbe steso un branco di rinoceronti ucraini, sarebbe morto nel giro di qualche ora.


***


Forse aveva dormito.
Di JC nessuna traccia.


Non era più nella sua stanza e non aveva più i suoi vestiti e il suo scetticismo. Era nudo ma non cercava di coprirsi, aveva solo voglia di capirci qualcosa. Si mise a pensare che forse era morto e quello che vedeva era l'aldilà, poi si stropicciò gli occhi e notò che ci vedeva benissimo pure senza lentine. Si mise in cammino e vagò, lasciandosi guidare dalla strada di sabbia che sentiva soffice sotto i piedi.
Arrivò alla fine del bagnasciuga e vide, proprio davanti a lui, un albero. Sopra l'albero c'era un orologio di stoffa messo lì ad asciugare, si avvicinò. Ulisse guardava di continuo il mare azzurro e lo sentiva: lì doveva trovare qualcosa. Non guardò mai il cielo.
Palpandolo sentì che l'orologio era vero, non era una tela stampata: funzionava ed era soffice e sottile, elastico. Come pure la cassa, il quadrante e le due lancette che ticchettavano senza muoversi di un solo millimetro. Segnavano le dodici e mezzo da chissà quanti anni. Lo acchiappò con tutte e due le mani e provò a distenderlo: era fatto della stessa materia dei sogni.
Sentì un saltellio sempre più vicino e si voltò di scatto con l'orologio ancora tra le mani. Di sicuro stava impazzendo, quello che aveva davanti non poteva essere vero.


La cosa che lo stava seguendo era un mastodontico tapiro d'oro e non c'era nessun vice-gabibbo per consegnarlo, camminava da solo, saltellando sulla base di legno. Ulisse trattenne il fiato e il tapiro lo guardò dritto negli occhi. Lo guardò solo un attimo e poi passò oltre.
- E se fossi finito dentro una delle tante finzioni di Borges?- Dopo il tapiro, Ulisse non si sentiva di scartare nessuna ipotesi. Aveva iniziato quel viaggio alla ricerca di JC, tutto era possibile. Per quanto ne sapeva, quello che stava vivendo poteva essere benissimo una sfilza di non-senses sgocciolati da uno dei milioni di tomi di una delle infinite biblioteche di Babele. Era a casa, pronto a ripassare qualcosa per gli esami della sessione invernale quando JC era apparso sul divano bianco: il Re era stato il suo Bianconiglio. La voglia di rivederlo l'aveva spinto su quella spiaggia; lì, dove si scontravano emozioni e razionalità in un duello infinito. Ulisse era al bivio tra cuore e cervello e doveva schierarsi. Il pater familias glielo diceva sempre. "Devi schierarti nella vita, non puoi cullarti per sempre nell'indecisione". Forse papà aveva ragione - pensò - ma vorrei proprio vedere lui che farebbe in questo caso. Lui, nudo, tra orologi elasticizzati e tapiri d'oro. Non sapresti scegliere, vero, papà?
<>.
Qualcuno gli aveva risposto.


continua


lunedì 19 maggio 2003

Mi vedo come una foto: seduto sul divano con la fusione in atto e tutte le cellule che muoiono spazzate via dall'erba.
Mi vedo lì a parlare con Jesus Christ.
E la cosa bella non è vedere J.C., ma vederlo con una birra, la coroncina di spine e vedere che lui mi parla come se fossimo amici da sempre. Vuole sapere perché sono ridotto così e allora gli parlo della mia vita, della piega che ha preso. Sa che mi chiamo Ulisse e sa della mia storia con Lisa ma lo vuole sapere da me e io riesco a parlargli liberamente come non mi capitava da anni.
Il pavimento puzza di sambuca, l'ho scagliata io e lui sa anche questo.
Gli chiedo perché non si leva quella coroncina e lui mi risponde che non se la leva perché ormai lui è J.C., quello con la corona di spine, lo chiamano anche the King e ormai quella corona fa parte di lui, si sente nudo quando se la toglie.
"Mi capita lo stesso quando mi tolgo il cappello giamaicano" gli dico io.
Vorrebbe aprire un gruppo con i suoi vecchi amici ma ha avuto un pò di difficoltà a trovarli, soprattutto c'è rimasto male quando ha saputo che Juda si è impiccato, una perdita immensa.
"Era un pò appiccicoso", dice, "ogni scusa era buona per baciare ma come cantava lui… una volta ha cantato anche al Sinedrius e gli hanno dato trenta sacchi. Ma era un'arrivista ed era geloso…"
Ma a JC gli dispiace, sul serio. È fatto così, il vero e solo Re ama tutti.
"Una volta ho detto che dovevate amarvi l'un l'altro come io ho amato voi." Mi risponde e aggiunge con un dubbio su ogni baffo: "Ma allora come vi devo amare io? Io vi amo come io amo voi pare uno scioglilingua senza senso. Mi sembrava una frase carina, una di quelle ad effetto, tipo quelle che dice Ligabue tra una canzone e l'altra. Possono essere pure cazzate ma tutti applaudono..."
Gli guardo quel poco di palmo che si vede ora che la birra è quasi vuota e ci resto strano, lui se n'accorge e mi chiede: "Perché ti sconvolgi tanto dei miei buchi? Quando Marylin Manson suona e si allarga la pelle a colpi di rasoio tutti lì a delirare..." e io prendo altre due birre.
Io e J.C. parliamo, beviamo e parliamo ancora. Vorrei che restasse sempre con me, glielo dico senza tirarmela da duro.
"Sono sempre con te…" mi fa lui "…tranne quando sono in tournee…" sghignazza e quel sorriso mi si attorciglia dentro come una palla di spaghetti di soia al ristorante cinese.
Prima di andarsene mi dà il suo ultimo cd.IL MIO NOME É JESÙ.
 Ha sound J.C., sound da vendere e ti parla dritto al cuore. Canta meglio di John Lennon, soprattutto da quando si fa accompagnare dagli assoli di Gabriel and the angels. Quella musica mi vernicia gli occhi di speranza e non cerco boccette d'acquaragia per tirarla via.
"Jay ti voglio rivedere" glielo ripeto.
"Non hai bisogno di fumarti quella per vedermi." mi strappa la canna dalla mano  e continua: "So sempre raggiungere i miei fan." e se ne va.


Rimango lì, solo e mezzo addormentato, al limite della mia bassissima sopportazione alcolica con un sorriso a trenta denti (ancora quelli del giudizio non mi spuntano!) che mi riempie la faccia...


continua...

Mi vedo come una foto: seduto sul divano con la fusione in atto e tutte le cellule che muoiono spazzate via dall'erba.
Mi vedo lì a parlare con Jesus Christ.
E la cosa bella non è vedere J.C., ma vederlo con una birra, la coroncina di spine e vedere che lui mi parla come se fossimo amici da sempre. Vuole sapere perché sono ridotto così e allora gli parlo della mia vita, della piega che ha preso. Sa che mi chiamo Ulisse e sa della mia storia con Lisa ma lo vuole sapere da me e io riesco a parlargli liberamente come non mi capitava da anni.
Il pavimento puzza di sambuca, l'ho scagliata io e lui sa anche questo.
Gli chiedo perché non si leva quella coroncina e lui mi risponde che non se la leva perché ormai lui è J.C., quello con la corona di spine, lo chiamano anche the King e ormai quella corona fa parte di lui, si sente nudo quando se la toglie.
"Mi capita lo stesso quando mi tolgo il cappello giamaicano" gli dico io.
Vorrebbe aprire un gruppo con i suoi vecchi amici ma ha avuto un pò di difficoltà a trovarli, soprattutto c'è rimasto male quando ha saputo che Juda si è impiccato, una perdita immensa.
"Era un pò appiccicoso", dice, "ogni scusa era buona per baciare ma come cantava lui… una volta ha cantato anche al Sinedrius e gli hanno dato trenta sacchi. Ma era un'arrivista ed era geloso…"
Ma a JC gli dispiace, sul serio. È fatto così, il vero e solo Re ama tutti.
"Una volta ho detto che dovevate amarvi l'un l'altro come io ho amato voi." Mi risponde e aggiunge con un dubbio su ogni baffo: "Ma allora come vi devo amare io? Io vi amo come io amo voi pare uno scioglilingua senza senso. Mi sembrava una frase carina, una di quelle ad effetto, tipo quelle che dice Ligabue tra una canzone e l'altra. Possono essere pure cazzate ma tutti applaudono..."
Gli guardo quel poco di palmo che si vede ora che la birra è quasi vuota e ci resto strano, lui se n'accorge e mi chiede: "Perché ti sconvolgi tanto dei miei buchi? Quando Marylin Manson suona e si allarga la pelle a colpi di rasoio tutti lì a delirare..." e io prendo altre due birre.
Io e J.C. parliamo, beviamo e parliamo ancora. Vorrei che restasse sempre con me, glielo dico senza tirarmela da duro.
"Sono sempre con te…" mi fa lui "…tranne quando sono in tournee…" sghignazza e quel sorriso mi si attorciglia dentro come una palla di spaghetti di soia al ristorante cinese.
Prima di andarsene mi dà il suo ultimo cd.IL MIO NOME É JESÙ.
 Ha sound J.C., sound da vendere e ti parla dritto al cuore. Canta meglio di John Lennon, soprattutto da quando si fa accompagnare dagli assoli di Gabriel and the angels. Quella musica mi vernicia gli occhi di speranza e non cerco boccette d'acquaragia per tirarla via.
"Jay ti voglio rivedere" glielo ripeto.
"Non hai bisogno di fumarti quella per vedermi." mi strappa la canna dalla mano  e continua: "So sempre raggiungere i miei fan." e se ne va.


Rimango lì, solo e mezzo addormentato, al limite della mia bassissima sopportazione alcolica con un sorriso a trenta denti (ancora quelli del giudizio non mi spuntano!) che mi riempie la faccia...


continua...

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