lunedì 14 febbraio 2005
le parole dell'Angelo
di Rainer Maria Rilke
(traduzione di Giaime Pintor)
Tu non sei più vicina a Dio
di noi; siamo lontani
tutti. Ma tu hai stupende
benedette le mani.
Nascono chiare a te dal manto,
luminoso contorno:
io sono la rugiada, il giorno,
ma tu, tu sei la pianta.
Sono stanco ora, la strada è lunga,
perdonami, ho scordato
quello che il Grande alto sul sole
e sul trono gemmato,
manda a te, meditante
(mi ha vinto la vertigine).
Vedi: io sono l’origine,
ma tu, tu sei la pianta.
Ho steso ora le mie ali, sono
nella casa modesta
immenso; quasi manca lo spazio
alla mia grande veste.
Pur non mai fosti tanto sola,
vedi: appena mi senti;
nel bosco io sono un mite vento,
ma tu, tu sei la pianta.
Gli angeli tutti sono presi
da un nuovo turbamento;
certo non fu mai così intenso
e vago il desiderio.
Forse qualcosa ora s’annunzia
che in sogno tu comprendi.
Salute a te, l’anima vede:
ora sei pronta e attendi.
Tu sei la grande, eccelsa porta,
verranno a aprirti presto.
Tu che il mio canto intendi sola:
in te si perde la mia parola
come nella foresta.
Sono venuto a compiere
la visione santa.
Dio mi guarda, mi abbacina …
Ma tu, tu sei la pianta.
le parole dell'Angelo
di Rainer Maria Rilke
(traduzione di Giaime Pintor)
Tu non sei più vicina a Dio
di noi; siamo lontani
tutti. Ma tu hai stupende
benedette le mani.
Nascono chiare a te dal manto,
luminoso contorno:
io sono la rugiada, il giorno,
ma tu, tu sei la pianta.
Sono stanco ora, la strada è lunga,
perdonami, ho scordato
quello che il Grande alto sul sole
e sul trono gemmato,
manda a te, meditante
(mi ha vinto la vertigine).
Vedi: io sono l’origine,
ma tu, tu sei la pianta.
Ho steso ora le mie ali, sono
nella casa modesta
immenso; quasi manca lo spazio
alla mia grande veste.
Pur non mai fosti tanto sola,
vedi: appena mi senti;
nel bosco io sono un mite vento,
ma tu, tu sei la pianta.
Gli angeli tutti sono presi
da un nuovo turbamento;
certo non fu mai così intenso
e vago il desiderio.
Forse qualcosa ora s’annunzia
che in sogno tu comprendi.
Salute a te, l’anima vede:
ora sei pronta e attendi.
Tu sei la grande, eccelsa porta,
verranno a aprirti presto.
Tu che il mio canto intendi sola:
in te si perde la mia parola
come nella foresta.
Sono venuto a compiere
la visione santa.
Dio mi guarda, mi abbacina …
Ma tu, tu sei la pianta.
sabato 12 febbraio 2005
qual è il tuo nome nel buio?
Necessaria premessa: i commenti li ho denuclearizzati. Chi vuole comunicare con me può benissimo mandare un'e-mail a dicotomicifurori@libero.it.
Per il resto: tra poco, dicono, è San Valentino. Vi risparmio la solita pippa sulla mercificazione dei sentimenti e altri ghiribizzi. Vi offro semplicemente una lettura dicotomica di tutta la faccenda nel numero 1 di thematica: IL SOGNO DEI BABBALUCI.
Babbaluci è il pretesto per il fluire della memoria, una parola che scivola verso la stimolazione multisensoriale che fu già della madeleine proustiana e dell'aringa affumicata di Vittorini o della sasizza dell'Unità. Qui ci sono i babbaluci e scivoliamo pure noi sulla loro bava lucida di pioggia.
Mi sono appena accorto che il numero 1 è un tentativo donchisciottesco di afferrare l'amore. Ce ne sono per tutti i gusti, amori dispari e sleali, sbandati, interrotti, ritrovati. Amori che sperano, che fuggono e che ritornano e poi, su tutti, il mitico carlino...
è on line pure la nuovissima versione di gas-o-line, la rivista di BombaCarta.
Buona lettura e buona vita.
qual è il tuo nome nel buio?
Necessaria premessa: i commenti li ho denuclearizzati. Chi vuole comunicare con me può benissimo mandare un'e-mail a dicotomicifurori@libero.it.
Per il resto: tra poco, dicono, è San Valentino. Vi risparmio la solita pippa sulla mercificazione dei sentimenti e altri ghiribizzi. Vi offro semplicemente una lettura dicotomica di tutta la faccenda nel numero 1 di thematica: IL SOGNO DEI BABBALUCI.
Babbaluci è il pretesto per il fluire della memoria, una parola che scivola verso la stimolazione multisensoriale che fu già della madeleine proustiana e dell'aringa affumicata di Vittorini o della sasizza dell'Unità. Qui ci sono i babbaluci e scivoliamo pure noi sulla loro bava lucida di pioggia.
Mi sono appena accorto che il numero 1 è un tentativo donchisciottesco di afferrare l'amore. Ce ne sono per tutti i gusti, amori dispari e sleali, sbandati, interrotti, ritrovati. Amori che sperano, che fuggono e che ritornano e poi, su tutti, il mitico carlino...
è on line pure la nuovissima versione di gas-o-line, la rivista di BombaCarta.
Buona lettura e buona vita.
giovedì 10 febbraio 2005
Il vento ci porterà con sé (Forugh Farrokhzad)
Il vento e le foglie si ritrovano
Nella mia piccola notte
La paura è distruzione.
Ascolta,
senti il frusciare del buio?
E io guardo meravigliata questa felicità
Del mio pessimismo son dipendente
Ascolta, senti il frusciare dell'oscurità?
Ora, nella notte qualcosa sta passando
La luna, rossa, è in allarme
E su questo tetto
Che in ogni attimo teme il crollo,
Le mura, come un popolo in lutto,
attendono il momento della pioggia,
il momento
e subito dopo nulla più.
Dietro a questa finestra la notte trema
E la terra arresta il suo girare.
Oltre la finestra un estraneo si preoccupa di me e di te
Oh, corpo rigoglioso!
E le tue mani
Come dolorosi ricordi
Poggiale tra le mie mani innamorate
E le tue labbra
Come una sensazione calda di vita
Lasciale accarezzare le mie labbra innamorate
Il vento ci porterà con sé
Il vento ci porterà con sé
bubbole
Domani è l'11/2 (mai pensato che la mia data gnomone fosse composta da due numeri primi...) e saranno 23 i miei anni sotto il sole, e proprio 23 anni aveva Nathan Zuckerman* allorché bussò alla porta di Lonoff...
*aggiungo per i non-rothiani: è il protagonista de Lo Scrittore Fantasma nonché l'alter ego di quella testa brillante di Philip Roth
Il vento ci porterà con sé (Forugh Farrokhzad)
Il vento e le foglie si ritrovano
Nella mia piccola notte
La paura è distruzione.
Ascolta,
senti il frusciare del buio?
E io guardo meravigliata questa felicità
Del mio pessimismo son dipendente
Ascolta, senti il frusciare dell'oscurità?
Ora, nella notte qualcosa sta passando
La luna, rossa, è in allarme
E su questo tetto
Che in ogni attimo teme il crollo,
Le mura, come un popolo in lutto,
attendono il momento della pioggia,
il momento
e subito dopo nulla più.
Dietro a questa finestra la notte trema
E la terra arresta il suo girare.
Oltre la finestra un estraneo si preoccupa di me e di te
Oh, corpo rigoglioso!
E le tue mani
Come dolorosi ricordi
Poggiale tra le mie mani innamorate
E le tue labbra
Come una sensazione calda di vita
Lasciale accarezzare le mie labbra innamorate
Il vento ci porterà con sé
Il vento ci porterà con sé
bubbole
Domani è l'11/2 (mai pensato che la mia data gnomone fosse composta da due numeri primi...) e saranno 23 i miei anni sotto il sole, e proprio 23 anni aveva Nathan Zuckerman* allorché bussò alla porta di Lonoff...
*aggiungo per i non-rothiani: è il protagonista de Lo Scrittore Fantasma nonché l'alter ego di quella testa brillante di Philip Roth
mercoledì 2 febbraio 2005
CONVEGNO NAZIONALE
La fantasia come fede nella realtà
Quale rapporto esiste tra la realtà e la fantasia, soprattutto nel campo della creatività letteraria? Quando un artista compone un’opera, essa è frutto della sua libera fantasia o di uno sguardo attento su ciò che lo circonda? La realtà è semplicemente uno «spunto» per i suoi voli fantastici?
Se la fantasia fosse solamente «evasione» dalla realtà, si realizzerebbe ciò che E. L. Masters ha efficacemente descritto nella sua celebre poesia Dippold, l’ottico. La fantasia sarebbe una bella lente capace di trasformare continuamente la realtà: nel momento in cui un uomo la indossa per veder meglio il mondo, questo scompare a favore di ciò che egli desidera vedere. La frattura tra realtà e fantasia sarebbe così compiuta.
E invece la fantasia è un modo di porsi davanti alla realtà, un’esperienza conoscitiva ricca e complessa, che però segue una logica diversa da quella ordinaria. È come quando si dice di guardare qualcosa con «altri occhi»: cambiano gli occhi, non le cose. Che tipo di occhio è necessario? Leggiamo Fiori e chiaro di luna sul fiume a primavera, un’antica poesia cinese dell’imperatore Yang-Ti (VII sec. d.C.):
Il fiume di sera
è immobile e liscio;
i colori del maggio
si aprono tutti.
Un’onda improvvisa
si porta via la luna;
e l’acqua di marea
arriva col suo carico di stelle.
La realtà di un’onda che confonde l’immagine della luna specchiata sul fiume nei riflessi increspati delle onde leggere, grazie allo sguardo poetico, viene trasfigurata in una visione a cui il lettore «crede» per la sua straordinaria efficacia rappresentativa. E il fiume diventa cielo, pur rimanendo quel che è. L’esperienza poetica qui non è affatto mera evasione: è invece una vera e propria «visione» della realtà.
Senza il reale non esisterebbero neanche la fantasia e l’immaginazione. La realtà è più ricca della fantasia perché è il seme che, in potenza, contiene tutto il suo sviluppo fantastico. Possiamo dunque dire che la fantasia è un modo specifico e pertinente di fare esperienza della realtà. Opporre realtà e fantasia significa dunque spaccare in due l’esperienza che l’uomo fa del mondo. La fantasia è un esercizio dello spirito, un modo per intuire, come ha fatto G. M. Hopkins nella poesia God's Grandeur, che la realtà non è mai esausta (is never spent).
Antonio Spadaro
CONVEGNO NAZIONALE
La fantasia come fede nella realtà
Quale rapporto esiste tra la realtà e la fantasia, soprattutto nel campo della creatività letteraria? Quando un artista compone un’opera, essa è frutto della sua libera fantasia o di uno sguardo attento su ciò che lo circonda? La realtà è semplicemente uno «spunto» per i suoi voli fantastici?
Se la fantasia fosse solamente «evasione» dalla realtà, si realizzerebbe ciò che E. L. Masters ha efficacemente descritto nella sua celebre poesia Dippold, l’ottico. La fantasia sarebbe una bella lente capace di trasformare continuamente la realtà: nel momento in cui un uomo la indossa per veder meglio il mondo, questo scompare a favore di ciò che egli desidera vedere. La frattura tra realtà e fantasia sarebbe così compiuta.
E invece la fantasia è un modo di porsi davanti alla realtà, un’esperienza conoscitiva ricca e complessa, che però segue una logica diversa da quella ordinaria. È come quando si dice di guardare qualcosa con «altri occhi»: cambiano gli occhi, non le cose. Che tipo di occhio è necessario? Leggiamo Fiori e chiaro di luna sul fiume a primavera, un’antica poesia cinese dell’imperatore Yang-Ti (VII sec. d.C.):
Il fiume di sera
è immobile e liscio;
i colori del maggio
si aprono tutti.
Un’onda improvvisa
si porta via la luna;
e l’acqua di marea
arriva col suo carico di stelle.
La realtà di un’onda che confonde l’immagine della luna specchiata sul fiume nei riflessi increspati delle onde leggere, grazie allo sguardo poetico, viene trasfigurata in una visione a cui il lettore «crede» per la sua straordinaria efficacia rappresentativa. E il fiume diventa cielo, pur rimanendo quel che è. L’esperienza poetica qui non è affatto mera evasione: è invece una vera e propria «visione» della realtà.
Senza il reale non esisterebbero neanche la fantasia e l’immaginazione. La realtà è più ricca della fantasia perché è il seme che, in potenza, contiene tutto il suo sviluppo fantastico. Possiamo dunque dire che la fantasia è un modo specifico e pertinente di fare esperienza della realtà. Opporre realtà e fantasia significa dunque spaccare in due l’esperienza che l’uomo fa del mondo. La fantasia è un esercizio dello spirito, un modo per intuire, come ha fatto G. M. Hopkins nella poesia God's Grandeur, che la realtà non è mai esausta (is never spent).
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