lunedì 27 settembre 2004

odissea nella blogosfera

A saperlo fare bene, leggere blog e' una piccola odissea.


Gia', un viaggio infinito. Navigare tra bloggoni e blogghiciattoli su concavi navi dalle vele nere infilate nella freccia puntuta del mouse. Chi s'inoltra nella blogosfera raramente ne esce indenne e intonso. La lettura dei blog ci lascia mutati.


Finita la quotidiana guerra (...con la razionalita' - alla fine gli 883 hanno attecchito nella memoria a lungo termine) con orari, lezioni, pastoie burocratiche, seduti sul nostro codice fiscale abbiamo acceso il PC. Una parola passamondi e le sirene ci richiamano con la finestrella del fuffaggregator. Leggiamo l'onesto coniglione che non nega l'invidia nei confronti del vuoto a perdere che riempie i cappelli dell'ultimo prodotto della De Filippi.


Altro giro, altra isola. giulio mozzi e' finito a Pordenone e fotografa il costo dei servizi della sua stanza.
Sacrifichiamo i tori di Iperione a casa di Absinth la casinista che ci offre un bicchierino d'assenzio e poi un vento maligno ci sputa sulla terra di nessuno, qui il landarolo gioca a scacchi con Wittgenstein. Marco Candida ha nuovamente cambiato titolo al blog, dopo Tiziano Scarpa ci accoglie dicendoci che ci ama, ci bastava la sua stima.


Si strappa l'otre dei venti di Yoshitsune ed ecco che la barca si spezza e attaccati a una scheggia di mouse riusciamo a raggiungere il quartiere generale di Super Giovane. Aggrappiamo il matitone gommato che ci porge e poi flettiamo i muscoli e ci strappiamo un legamento e sifossifoco ci risponde sardonico con le sue facciuzze. Un altro ci dice che ci salva solo se lo linkiamo...


Sballottati come un barattolo di ceci, ci ritroviamo nell'impossibilita' di ristabilire una connessione. Il telefonino esala l'ultimo respiro. Annodiamo la bandana anglo-sarda che abbiamo ritagliato dalla copertina del venerdi' di Repubblica e l'annodiamo a un timone che ci ha lanciato Virtual Blog. Attraversiamo il deserto dei blog abbandonati e dei blog sciupati ed eccoci, sani e salvi. Confusi e un po' felici.


E ci risvegliamo nel sogno del Re rossi sognato da Alice.


[E qui sinceramente m'infilo in una parentesi per omaggiare il talento dei copywriter della Telecom. Hanno chiamato un motore di ricerca col nome della guida di Dante a zonzo tra inferno e purgatorio (implicitamente negando che nella splendida ragnatela che ci avvolge ci sia una landa paradisiaca). E ora, dopo il mezzo fallimento della BBox, l'hanno semplicemente ribattezzata Alice. Come la pupazza di Carroll. Ci sta a pennello.]


rotola come lattine vuote

Le ultime teste che rotolano mi hanno fatto ricordare le ultime pagine de LO STRANIERO di CAMUS


In estrema sintesi: Mersault aspetta nella sua cella il boia e la morte dopo che ha ucciso un arabo per il troppo sole. Si sente svacantato e ripensa a quando suo padre ando' a vedere un'esecuzione.
E nell'ultima pagina conclude cosi':


[...] Laggiu', anche laggiu', intorno a quello ospizio dove vite si stavano spegnendo, la sera era come una tregua malinconica. Cosi' vicina alla morte, la mamma doveva sentirsi liberata e pronta a rivivere tutto. Nessuno, nessuno aveva il diritto di piangere su di lei. E anch'io mi sentivo pronto a rivivere tutto. Come se quella grande ira mi avesse purgato del male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo cosi' simile a me, finalmente cosi' fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perche' tutto sia consumato, perche' io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio.


FINE


-----


Le teste rotolano ancora al di la' dell'ultima frontiera del terrorismo mediatico. E pensare che una vita fa all'esame di sociologia della comunicazione ho preso la lode proprio discettando dell'impatto devastante dell'immagine della distruzione delle torri gemelle.


C'era un articolo in cui si parlava di giovani "incatatonizzati" davanti alle immagini delle torri sbudellate, tagliate in due come sogliole nel bacio violento degli aerei. Giovani spiaccicati sul televisore per tre giorni di fila, incapaci di abbandonare  il canale all news. Imbambolati.
Per tre giorni di fila.


Hanno trasmesso la morte in diretta e ora a sfogliare le parole piu' cliccate della rete vedi che ci sono i CERCATORI DI MORTE, gente che cerca spasmodicamente questi filmati invece di scaricarsi una bellona di plastica che ondeggia tetteculoecosce.


Picciriddi di 12 anni che ce li hanno pure nel telefonino questi filmati di teste rotolanti, che magari si scambiano questi invece della figurina di Totti. E io alla loro eta' chiudevo gli occhi pure davanti alla scena identica che c'era alla fine di CINQUE DITA DI VIOLENZA con Bruce Lee.
Picciriddi che vanno da mia madre - professoressa alle medie - a farle vedere le stesse teste che rotolano nel loro telefonino con lo schermo colorato.


Ritorno a Dostoevskij e alla bellezza che salvera' il mondo.
Uno ci spera.
 
E la speranza rotola pure lei. Rotola come lattina vuota.

odissea nella blogosfera

A saperlo fare bene, leggere blog e' una piccola odissea.


Gia', un viaggio infinito. Navigare tra bloggoni e blogghiciattoli su concavi navi dalle vele nere infilate nella freccia puntuta del mouse. Chi s'inoltra nella blogosfera raramente ne esce indenne e intonso. La lettura dei blog ci lascia mutati.


Finita la quotidiana guerra (...con la razionalita' - alla fine gli 883 hanno attecchito nella memoria a lungo termine) con orari, lezioni, pastoie burocratiche, seduti sul nostro codice fiscale abbiamo acceso il PC. Una parola passamondi e le sirene ci richiamano con la finestrella del fuffaggregator. Leggiamo l'onesto coniglione che non nega l'invidia nei confronti del vuoto a perdere che riempie i cappelli dell'ultimo prodotto della De Filippi.


Altro giro, altra isola. giulio mozzi e' finito a Pordenone e fotografa il costo dei servizi della sua stanza.
Sacrifichiamo i tori di Iperione a casa di Absinth la casinista che ci offre un bicchierino d'assenzio e poi un vento maligno ci sputa sulla terra di nessuno, qui il landarolo gioca a scacchi con Wittgenstein. Marco Candida ha nuovamente cambiato titolo al blog, dopo Tiziano Scarpa ci accoglie dicendoci che ci ama, ci bastava la sua stima.


Si strappa l'otre dei venti di Yoshitsune ed ecco che la barca si spezza e attaccati a una scheggia di mouse riusciamo a raggiungere il quartiere generale di Super Giovane. Aggrappiamo il matitone gommato che ci porge e poi flettiamo i muscoli e ci strappiamo un legamento e sifossifoco ci risponde sardonico con le sue facciuzze. Un altro ci dice che ci salva solo se lo linkiamo...


Sballottati come un barattolo di ceci, ci ritroviamo nell'impossibilita' di ristabilire una connessione. Il telefonino esala l'ultimo respiro. Annodiamo la bandana anglo-sarda che abbiamo ritagliato dalla copertina del venerdi' di Repubblica e l'annodiamo a un timone che ci ha lanciato Virtual Blog. Attraversiamo il deserto dei blog abbandonati e dei blog sciupati ed eccoci, sani e salvi. Confusi e un po' felici.


E ci risvegliamo nel sogno del Re rossi sognato da Alice.


[E qui sinceramente m'infilo in una parentesi per omaggiare il talento dei copywriter della Telecom. Hanno chiamato un motore di ricerca col nome della guida di Dante a zonzo tra inferno e purgatorio (implicitamente negando che nella splendida ragnatela che ci avvolge ci sia una landa paradisiaca). E ora, dopo il mezzo fallimento della BBox, l'hanno semplicemente ribattezzata Alice. Come la pupazza di Carroll. Ci sta a pennello.]


rotola come lattine vuote

Le ultime teste che rotolano mi hanno fatto ricordare le ultime pagine de LO STRANIERO di CAMUS


In estrema sintesi: Mersault aspetta nella sua cella il boia e la morte dopo che ha ucciso un arabo per il troppo sole. Si sente svacantato e ripensa a quando suo padre ando' a vedere un'esecuzione.
E nell'ultima pagina conclude cosi':


[...] Laggiu', anche laggiu', intorno a quello ospizio dove vite si stavano spegnendo, la sera era come una tregua malinconica. Cosi' vicina alla morte, la mamma doveva sentirsi liberata e pronta a rivivere tutto. Nessuno, nessuno aveva il diritto di piangere su di lei. E anch'io mi sentivo pronto a rivivere tutto. Come se quella grande ira mi avesse purgato del male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo cosi' simile a me, finalmente cosi' fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perche' tutto sia consumato, perche' io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio.


FINE


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Le teste rotolano ancora al di la' dell'ultima frontiera del terrorismo mediatico. E pensare che una vita fa all'esame di sociologia della comunicazione ho preso la lode proprio discettando dell'impatto devastante dell'immagine della distruzione delle torri gemelle.


C'era un articolo in cui si parlava di giovani "incatatonizzati" davanti alle immagini delle torri sbudellate, tagliate in due come sogliole nel bacio violento degli aerei. Giovani spiaccicati sul televisore per tre giorni di fila, incapaci di abbandonare  il canale all news. Imbambolati.
Per tre giorni di fila.


Hanno trasmesso la morte in diretta e ora a sfogliare le parole piu' cliccate della rete vedi che ci sono i CERCATORI DI MORTE, gente che cerca spasmodicamente questi filmati invece di scaricarsi una bellona di plastica che ondeggia tetteculoecosce.


Picciriddi di 12 anni che ce li hanno pure nel telefonino questi filmati di teste rotolanti, che magari si scambiano questi invece della figurina di Totti. E io alla loro eta' chiudevo gli occhi pure davanti alla scena identica che c'era alla fine di CINQUE DITA DI VIOLENZA con Bruce Lee.
Picciriddi che vanno da mia madre - professoressa alle medie - a farle vedere le stesse teste che rotolano nel loro telefonino con lo schermo colorato.


Ritorno a Dostoevskij e alla bellezza che salvera' il mondo.
Uno ci spera.
 
E la speranza rotola pure lei. Rotola come lattina vuota.

domenica 26 settembre 2004

i commenti in copia multipla

ciao! komplimenti x il tuo blog!!e' 1 sakko carino!!passa sul mio e linkami eh!!ciauzz
giuggy_figa (
http://giuggyfiga.splinder.com)


Odio la gente che fotocopia commenti e poi passa le domenioche pomeriggio a spargerli tra i blog per acchiappare visite. Come se uno linkasse tutto quello che passa il convento.
Il link va meritato. O no?


I nuovi blogger hanno la frenesia da counter, una malattia che se non si cura in tempo non lascia scampo.

i commenti in copia multipla

ciao! komplimenti x il tuo blog!!e' 1 sakko carino!!passa sul mio e linkami eh!!ciauzz
giuggy_figa (
http://giuggyfiga.splinder.com)


Odio la gente che fotocopia commenti e poi passa le domenioche pomeriggio a spargerli tra i blog per acchiappare visite. Come se uno linkasse tutto quello che passa il convento.
Il link va meritato. O no?


I nuovi blogger hanno la frenesia da counter, una malattia che se non si cura in tempo non lascia scampo.

a day in the life

4 cifre rosse sulla radiosveglia: 06:45
televideo
mediavideo
corriere della sera del giorno prima
Stefano Benni - SALTATEMPO
solite cinquanta mail sparse per le varie caselle
labachecasportiva.it
blog affini
manuale di linguistica generale
come si fa la trascrizione fonetica e fonematica
The grammar you need
cesto dei libri in offerta
corriere della sera di oggi
televideo
mediavideo 
quello che Bart scrive sulla lavagna
titoli di testa dei simpson
5 euro
orario dei treni
PALERMO C.LE
corriere della sera
SALTATEMPO
mail da/per bombacarta
www.giuliomozzi.com
www.stephenking.com
www.francescogazze.it
manuale di morfologia
dampyr_il teatro dei passi perduti
televideo pag. 200
specchio della stampa
il venerdi'
corriere della sera magazine
corriere della sera
vanilla sky (a colpi di pennarello) - PLAY
titoli di testa di Vanilla Sky
titoli di coda di Vanilla Sky
WINDOWS 98
"non ci sono nuovi messaggi"
SALTATEMPO
4 cifre rosse della radiosveglia 01:22

(quasi) trentamila!

tra poco saranno trentamila le volte che i dicotomici lettori sono passati di qui.


Grazie a tutti.


 

a day in the life

4 cifre rosse sulla radiosveglia: 06:45
televideo
mediavideo
corriere della sera del giorno prima
Stefano Benni - SALTATEMPO
solite cinquanta mail sparse per le varie caselle
labachecasportiva.it
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manuale di linguistica generale
come si fa la trascrizione fonetica e fonematica
The grammar you need
cesto dei libri in offerta
corriere della sera di oggi
televideo
mediavideo 
quello che Bart scrive sulla lavagna
titoli di testa dei simpson
5 euro
orario dei treni
PALERMO C.LE
corriere della sera
SALTATEMPO
mail da/per bombacarta
www.giuliomozzi.com
www.stephenking.com
www.francescogazze.it
manuale di morfologia
dampyr_il teatro dei passi perduti
televideo pag. 200
specchio della stampa
il venerdi'
corriere della sera magazine
corriere della sera
vanilla sky (a colpi di pennarello) - PLAY
titoli di testa di Vanilla Sky
titoli di coda di Vanilla Sky
WINDOWS 98
"non ci sono nuovi messaggi"
SALTATEMPO
4 cifre rosse della radiosveglia 01:22

(quasi) trentamila!

tra poco saranno trentamila le volte che i dicotomici lettori sono passati di qui.


Grazie a tutti.


 

sabato 25 settembre 2004

that's sicily

Fuori diluvia. Sento la telecronaca del Palermo e mi viene a bussare una curiosita': quanti siciliani ci sono su splinder?


 

quello che i giovani (non) leggono

Stamattina sfoglio il Corriere e mi trovo davanti la bella notizia che Orwell guida la classifica dei dieci - e dico 10 - libri che i giovani si porterebbero dietro inzainettati per bene.
Mi spunta un dubbio, c'entra niente la fascetta ignobile che quelli della Mondadori hanno prontamente appiccicato su 1984? Una fascetta gialla canarino che strillava "la vera storia del Grande Fratello". Il dubbio resiste alle intemperie.
E poi, è tristemente scomparso l'evergreen Siddharta. bene, diciamolo, ci aveva un pò smacinato les pelotas. Vabbè, un secolo fa c'era Jovanotti che cantava "Siddharta me l'ha detto che conta solo l'amore"... amore. Parola inflazionata.


Ora, la domanda che davvero devo sputare prima che sia tardi è: chi cacchio si porta sulle spalle IL NOME DELLA ROSA?
Capiamoci, io adoro Eco quando scrive di quello in cui è davvero competente. Di segno, lingua, metafore e boschi narrativi, ornitorinchi kantiani ed estetica tomista può parlare a iosa ma lasci stare la narrativa. Vabbè, so già la risposta. Quella non è narrativa ma è meta-narrativa. Lui gioca a smontare il meccanismo che sta alla base dei libri illuminando la sua sterminata padronanza di tutto il baraccone insito nella parola scritta.
faccio finta di essere convinto e continuo.


Scivolo sulla sciabola e sui capelli color del grano del Petit Prince che è sempre un'acchiappalettori e vado avanti. Becco Sal Paradiso e la storia sfilata via con benzedrina e rotoli chilometri sulle ruote biancocerchiate delle Ford lucide di Sal Paradiso e Company. On the road ci sta sempre bene. E pure tutti i vattelapesca del giovane Holden che acchiappa segale e anatre stanche di ghiacciarsi il culo a Central Park.


Altri misteri: chi si mette nello zainetto Garcia Marquez e l'insopportabile trafila dei Buendia e di Macondo? Arrivato a pagina 70 ho preso il libro e l'ho salutato per sempre. Meglio le storie sporche di terra.


Altro grande assente Camus e il suo Straniero.
E manco un russo. Capisco che il campione intervistato è incastrato nella bell'età tra i 18 e 25 anni, ma nessuno si è avventurato nella Pietroburgo delle notti bianche di Dostoevskij?
Dai 18enni mi sarei aspettato risposte più contestualizzate.
Dico: e allora chi cavolo se l'è comprata Melissa P? Pensavo che i seguaci di Onan avessero fatto incetta della piccola siciliana creata a tavolino. Niente.
Manca pure Stefano Benni. E questo mi dispiace.
Perché Benni è meglio della nutella. Ti lasci scivolare nella sua lingua piena e barocca dove tutto è detto con pennellate di fantasia. Che ne so... invece di dire un cane vecchio, ecco un cane che aveva annusato un sacco di pisce di tirannosauro. E i mitici Grattasmog? Niente.


Sti giovincelli si tirano dietro l'inquietante 1984 con la Neolingua e la stanza 101. Tutti
allora sanno cosa c'è nella stanza 101. Ci sono le nostre paure più nere e profonde, le paure che ci fanno tradire ogni nostra convinzione per restare vivi e per cullare per il resto del tempo il rimorso. Nella stanza 101 ci siamo finiti tutti insieme. Le muse di Esiodo avevano detto qualche secolo fa che gli uomini si stavano riducendo a sola panza. Panze barbute che pensano solo a rimpinzarsi per poi ondeggiare in palestra nella pausa pranzo. Gente che zampogna il telecomando alla ricerca di qualche oscillachiappina bionda o bruna. Un esercito di coscette da locusta che danzanoridonoriempionoisognideglitaliani prima di finire spiaccicate su un calendario a reggersi le tette con le mani. Gente che si lamenta dei prezzi dei libri scolastici e poi munisce il pargolo di telefonini che non sfigurerebbero sulla plancia dell'Enterprise.


E questo è peggio.

that's sicily

Fuori diluvia. Sento la telecronaca del Palermo e mi viene a bussare una curiosita': quanti siciliani ci sono su splinder?


 

quello che i giovani (non) leggono

Stamattina sfoglio il Corriere e mi trovo davanti la bella notizia che Orwell guida la classifica dei dieci - e dico 10 - libri che i giovani si porterebbero dietro inzainettati per bene.
Mi spunta un dubbio, c'entra niente la fascetta ignobile che quelli della Mondadori hanno prontamente appiccicato su 1984? Una fascetta gialla canarino che strillava "la vera storia del Grande Fratello". Il dubbio resiste alle intemperie.
E poi, è tristemente scomparso l'evergreen Siddharta. bene, diciamolo, ci aveva un pò smacinato les pelotas. Vabbè, un secolo fa c'era Jovanotti che cantava "Siddharta me l'ha detto che conta solo l'amore"... amore. Parola inflazionata.


Ora, la domanda che davvero devo sputare prima che sia tardi è: chi cacchio si porta sulle spalle IL NOME DELLA ROSA?
Capiamoci, io adoro Eco quando scrive di quello in cui è davvero competente. Di segno, lingua, metafore e boschi narrativi, ornitorinchi kantiani ed estetica tomista può parlare a iosa ma lasci stare la narrativa. Vabbè, so già la risposta. Quella non è narrativa ma è meta-narrativa. Lui gioca a smontare il meccanismo che sta alla base dei libri illuminando la sua sterminata padronanza di tutto il baraccone insito nella parola scritta.
faccio finta di essere convinto e continuo.


Scivolo sulla sciabola e sui capelli color del grano del Petit Prince che è sempre un'acchiappalettori e vado avanti. Becco Sal Paradiso e la storia sfilata via con benzedrina e rotoli chilometri sulle ruote biancocerchiate delle Ford lucide di Sal Paradiso e Company. On the road ci sta sempre bene. E pure tutti i vattelapesca del giovane Holden che acchiappa segale e anatre stanche di ghiacciarsi il culo a Central Park.


Altri misteri: chi si mette nello zainetto Garcia Marquez e l'insopportabile trafila dei Buendia e di Macondo? Arrivato a pagina 70 ho preso il libro e l'ho salutato per sempre. Meglio le storie sporche di terra.


Altro grande assente Camus e il suo Straniero.
E manco un russo. Capisco che il campione intervistato è incastrato nella bell'età tra i 18 e 25 anni, ma nessuno si è avventurato nella Pietroburgo delle notti bianche di Dostoevskij?
Dai 18enni mi sarei aspettato risposte più contestualizzate.
Dico: e allora chi cavolo se l'è comprata Melissa P? Pensavo che i seguaci di Onan avessero fatto incetta della piccola siciliana creata a tavolino. Niente.
Manca pure Stefano Benni. E questo mi dispiace.
Perché Benni è meglio della nutella. Ti lasci scivolare nella sua lingua piena e barocca dove tutto è detto con pennellate di fantasia. Che ne so... invece di dire un cane vecchio, ecco un cane che aveva annusato un sacco di pisce di tirannosauro. E i mitici Grattasmog? Niente.


Sti giovincelli si tirano dietro l'inquietante 1984 con la Neolingua e la stanza 101. Tutti
allora sanno cosa c'è nella stanza 101. Ci sono le nostre paure più nere e profonde, le paure che ci fanno tradire ogni nostra convinzione per restare vivi e per cullare per il resto del tempo il rimorso. Nella stanza 101 ci siamo finiti tutti insieme. Le muse di Esiodo avevano detto qualche secolo fa che gli uomini si stavano riducendo a sola panza. Panze barbute che pensano solo a rimpinzarsi per poi ondeggiare in palestra nella pausa pranzo. Gente che zampogna il telecomando alla ricerca di qualche oscillachiappina bionda o bruna. Un esercito di coscette da locusta che danzanoridonoriempionoisognideglitaliani prima di finire spiaccicate su un calendario a reggersi le tette con le mani. Gente che si lamenta dei prezzi dei libri scolastici e poi munisce il pargolo di telefonini che non sfigurerebbero sulla plancia dell'Enterprise.


E questo è peggio.

venerdì 24 settembre 2004

Cucuzze (versione completa)

Il racconto sta per essere pubblicato in un'antologia di prossima uscita per la Navarra Editore.

Cucuzze (versione completa)

Il racconto sta per essere pubblicato in un'antologia di prossima uscita per la Navarra Editore.

sabato 18 settembre 2004

l'autore onnipotente

Ci ho provato pure io a rivoluzionare lo stile e le idiosincrasie dicotomiche, prima mi metteva strizza solo l'idea di far parlare i personaggiucoli che tiravo dentro il foglio bianco nel mio piacevole hobby scriptorio.


MI terrorizzavano le virgolette. Perché capita che le parole non filtrate annullano le distanze. Sino a quando c'è l'autore che si dondola nelle sue sequenze descrittive regalategli dal suo punto di vista onnisciente uno accarezza l'onnipotenza.


Si sente quasi come Jim Carrey in una settimana da Dio.
Ecco, se avete presente il film c'è una scena in cui Bruce-Jim si impossessa del suo nemico anchor-man e lo fa blaterare come blaterava L'Ace Ventura dei tempi d'oro.
MI sento così quando provo a far parlare i personaggiucoli.
IO da anni provo a scrivere come Platone dialoghi densi in cui tutto avviene nel logos e attraverso esso. Comprese le scene esilaranti in cui il Buon Vecchio Socrate se la prende coi Sofisti e le loro acrobazie logico-sintattiche.


Una notte me la sono pure sognata tutta la scena: 'na specie di processo all'Autore.
Tutti i miei avatar di carta e parole che se la prendevano con me.  E poi, naturalmente, l'ho spiaccicata sul foglio.
 
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Da ULISSE, LUMACHE E CIOCCOLATINI | XI capitolo- Il processo:


Chi sei?- chiede Ulisse -Chi sei?- insiste ma l'uomo non risponde, continua a succhiare quel pezzo di carne e lo guarda, fisso.
- Sono l'Inquisitore. Il tuo inquisitore. Sei condannato e ora scriverò sul tuo corpo la condanna e non ci saranno richieste di clemenza. Sono solo l'ultimo degli inquisitori ma sono potente. Non riuscirai mai a corrompermi. Entri il primo testimone-.
La porta da dove Ulisse è entrato si spalanca, entra Stefano Re con la caldarella di cemento legata al collo che tiene sotto il braccio. Si va a sedere in un'altra sedia che è appena apparsa.
-Giura di dire tutta le falsità che può per incriminare questo recidivo?- Chiede l'Inquisitore.
-Lo giuro - Stefano sogghigna, al collo ha una catenina d'oro con un piccolo ciondolo a forma di delfino. La stessa collana che Ulisse aveva regalato a Lisa e lei gli aveva rispedito al mittente cacciandola dentro una busta che poi gli aveva spedito per posta prioritaria.
-Signor Re, riconosce il ragazzo che porta i ceppi ai piedi?-
- Sì. Lo riconosco, signor Giudice-
- Può dire alla giuria di che colpa s'è macchiato questo ragazzo?-
- Mi ha creato lui… in un certo senso, questo ragazzo è mio padre e mia madre. Mi ha regalato la vita ma lo ha fatto solo per togliersi di dosso tutto quello che non riusciva a reggere da solo. Tutto è iniziato sei anni fa. S'è messo davanti alla macchina da scrivere, s'è raddrizzato gli occhiali, ha infilato un foglio troppo bianco nel rullo e s'è messo a martellare sui tasti di quell'alfabeto di plastica e metallo. Era una storia simpatica, io ero solo un ragazzo che si stava affacciando alla vita, tagliando solo a quindici anni il cordone ombelicale. Era gasato, scriveva pagina dopo pagina e mi regalava un passato, un brutto passato, se posso aggiungere -
- Si limiti ai fatti, Signor Re, sono solo io qui che posso giudicare. Mi spieghi meglio che intende dire con "mi ha regalato un brutto passato"-
-Ero grasso, signor Giudice, ero grasso e mi obbligò a mangiare quintali di insalata e litri di yogurt alla fragola per scacciare la pancia che mi sollevava le camicie. E la dieta fu solo l'inizio.  M'aveva creato completamente miope, non vedevo neanche i passaggi delle equazioni che la professoressa svolgeva alla lavagna. E sedevo in seconda fila. Poi, finalmente, si decise di mettermi sul naso un paio d'occhiali e solo molto tempo dopo sostituì quei fondi di bottiglia con le lenti a contatto. La prima delle mie disgraziate avventure l'aveva intitolata "De amicitia et adulescentia". Ma dico, chi si credeva? La reincarnazione di Cicerone? E io lì, impotente, senza poter scegliere niente con la mia testa. Potevo solo aspettare un'altra frase da vivere. Con le ragazze, non le dico, signor Giudice. Tutte complessate e con problemi peggio dell'Uomo Ragno. E nemmeno questo gli bastava. Sentiva proprio il bisogno di trasformare ogni cavolata che gli capitava in un nuovo capitolo. Mi chiamò Stefano Re, dico, un po' di fantasia! Lui aveva passato tutta l'adolescenza spiaccicato sul letto a leggersi tutti i libri di Stephen King e aveva sentito il dovere di chiamarmi con la banalissima traduzione italiana del nome del suo autore preferito. Stephen King e Stefano Re, niente d'eccezionale. Per i miei amici, o meglio, per gli amici che mi mise accanto lui, non si sforzò nemmeno. Cambiava solo un po' il cognome o faceva qualche giochetto stupido con le parole. Dopo il De amicitia si dedicò alla sua versione della Divina Commedia. L'aveva iniziata in endecasillabi ma poi stufato s'era messo a riscrivere in prosa e manco s'accorgeva che non m'aveva mai fatto dire una parola. Si limitava a raccontare fatti e riempire frasi d'aggettivi, sempre gli stessi che giocava a sfumare con un dannato dizionario dei sinonimi. Un'angoscia, ero pieno d'aggettivi e muto come un pezzo di gesso. Poi finalmente l'epifania, si era messo a leggere Dylan Dog e lui che si cacava pure d'andare a pisciare da solo, decise di superare quella paura abusando di libri e videocassette horror. Già c'era stato Stephen King, ora s'era preso di petto Romero e i suoi zombi. La sua versione della Divina commedia era l'unica cosa decente che aveva scritto. Niente problemi esistenziali, l'aveva intitolata l'Infinita commedia-


- Mi racconti la trama, signor Re e non ometta particolari. Tutto peserà al momento della condanna-


-Camminavo tranquillo verso il mio liceo e arrivavo con due o tre minuti di ritardo, trovavo davanti la porta due giganteschi scarafaggi. Tremavo un po' quando arriva il mio prof. d'italiano a salvarmi. Ha in mano una versione fantascientifica di una mont blanc col pennino modificato che spara laser d'inchiostro. Laurentius, il professore, diventava la mia guida e io lo seguivo nelle varie classi. Ogni classe era occupata da dannati macchiati di varie colpe. Dopo aver visitato le classi della disperazione, passavo al limbo degli arrivisti, dove trovavo i miei amici secchioni…signor giudice, questo l'avevo dimenticato: non solo panzone e miope, pure secchione mi aveva fatto! … e i miei amici secchioni, dicevo, stavano seduti con il braccio piantato nel banco e la mano perennemente alzata per rispondere a qualsiasi cavolata. Poi passavo all'aula della felicità, dove la prof di filosofia, fasciata in uno smagliante vestitino che gli lasciava le zizze in trasparenza, mi dava il segreto della felicità. Mentre stavo per apprendere finalmente il segreto mi svegliavo all'ospedale con i miei amici a piangere come fontane. Avevo avuto un incidente col typhoon ed ero in coma da nove giorni. Capisce, signor giudice, pure in coma!-


-Stava parlando d'una epifania avuta leggendo Dylan Dog e visionando i film di Romero, a che si riferiva? -


- Giusto, signor giudice, ma mi capisca. Non ho mai avuto occasione di sfogarmi per tutto quello che mi ha fatto passare quel macchiafogli. E meno male che l'ha fatto imbavagliare! Chissà quale scuse avrebbe vomitato dinnanzi a lei per ottenere una pena più dolce. Dopo l'infinita commedia deve essersi fatto la prima ingroppata e di riflesso me la sono fatta pure io. Solo che questa non me l'ha fatta vivere sul foglio. Era solo una consapevolezza nuova che mi ha messo negli occhi. Con Romero e Dylan Dog in testa si mise davanti al pc, la macchina da scrivere era ormai obsoleta, e si mise a scrivere "Il liceo dei morti viventi", che poi diventò "Dicotomici Furori". Finalmente parlavo, avevo venti chili di ciccia in meno e i capelli lunghi che mi coprivano le orecchie a sventola. La trama era interessante ma quanti colpi di scena, signor giudice! Per poco non ci rimettevo il culo e il padulo! Era dicembre e lei sa bene che di quei tempi l'okkupazione è sempre in agguato. Il preside Galatus si era messo in testa di evitarla, ad ogni costo. Aveva evocato il diavolo e gli era apparso il demone Ciollone che in cambio dell'anima gli aveva promesso un liceo perfetto con alunni in divisa e senza tendenze anarchiche in testa. Lui aveva accettato e in un secondo era apparsa una strana marea bluastra che s'era infilata nelle varie aule. Come risultato gli studenti erano diventati zombi, zombi con ottimi risultati scolastici. E perfino dieci in condotta. Dall'oltretomba Ciollone aveva risvegliato i grandi pensatori del passato e gli zombi assistevano alle lezioni di Kant, di Cartesio, di Euclide, di Platone e prendevano appunti precisi e ordinati. S'erano salvati dal maleficio solo i miei amici e il prof Laurentius. Il macchiafogli scrive panzane, sicuro, però erano panzane con una certa logica. Non spiega mai nel romanzo perché Laurentius è immune al maleficio ma per me e i miei amici partorisce un'ideuzza niente male. Galatus aveva chiesto un liceo perfetto con studenti modello: io e i miei amici secchioni lo eravamo già, gli altri superstiti, i sodomizer boys, erano un caso irrecuperabile. Non sarebbero mai stati studenti modello manco se Satanasso in persona veniva a punzecchiarli con il suo forcone. E il romanzo procedeva con attacchi di zombi, lutti nella resistenza e grandi prove di lealtà. Finiva naturalmente bene per la resistenza dopo che l'azione si era spostato in un inferno egiziano. Il titolo veniva proprio dall'ultimo capitolo, un open ending, che m'affidava la responsabilità di tutto il liceo. Io scrivo, signor giudice, proprio come il mio ignobile creatore, e dalla mia scrittura dipendeva la mia sopravvivenza. Quello che scrivevo accadeva, ma solo le cose credibili, non potevo far resuscitare i miei amici scrivendo, potevo solo attendere il trillo della sesta ora e tutto sarebbe finalmente finito. Restavo sulla spiaggia con Stefania e Carlo, gli altri due sopravvissuti e non ci restava che attendere. Attendere o lasciarsi naufragare nell'oblio. Questo dubbio era al centro di tutti i dicotomici furori, proprio come in quel film, le ali della libertà: o fai di tutto per vivere o fai di tutto per morire. Mi ha sempre fatto vivere sul filo dei contrari, mai mezze misure, mi ha condannato a essere lacerato tra estremi, non ha mai capito la ricchezza delle sfumature. Quando finalmente le ha capite mi ha lasciato morire, quando finalmente potevo vivere avventure più mature mi ha fatto affogare con questa caldarella che mi porto addosso. Fregandosene di ogni logica temporale mi ha fatto vivere quell'incubo in "nuovo buco", un delirio senza né capo né coda. Signor giudice, è mio padre quello lì, incatenato. È con dolore che sono venuto qui a fare quello che doveva essere fatto. Perché io non sono capace di farmi giustizia con le mie mani, lui mi ha fatto così. Potevo vendicarmi lasciandolo sbranare da quello squalo ma non ci sono riuscito e ho dovuto salvarlo… è mio padre, non potevo ucciderlo! Voglio solo giustizia-


-Cosa chiede a questa corte?-


-Voglio vivere. Non posso morire con questa caldarella di cemento al collo. Voglio vivere la mia vita senza dover tremare ogni volta che lui si mette a scrivere. Chiedo solo un nuovo racconto e un nuovo amore. Andrò a vivere con la mia compagna e non tornerò mai più. Mai-


Ulisse ha ascoltato lo sfogo di Stefano, non aveva mai capito quanto può soffrire un personaggio. Ha le mani legate e in bocca un quadrato di scotch gli impedisce di parlare, si mette a sbraitare mugolando come un pazzo.


- Ha qualcosa da dire, imputato? E perché non parla? Come? Lei che tante volte ha lasciato in silenzio questo suo personaggio non ama forse assistere inerte allo svolgersi degli eventi? Vorrebbe magari essere slegato? Vero? Lei che ha deciso i movimenti di ognuno dei suoi personaggi, lei che è stato per loro solo un perfido burattinaio vuole essere libero? Capisce la sofferenza di Stefano? La capisce? Io penso che lei sia abile. Lei è viscido e ha molte risorse sotto quella montagna di capelli. Lei deve essere messo nella condizione di non nuocere più a nessuno. E c'è solo un modo: le verranno amputate le mani e i piedi e la lingua, le verranno strappate le palpebre e verrà seppellito nella tomba sopra la collina, solo la sua testa rimarrà fuori e i gabbiani si divertiranno a divorarla con piccole beccate. Le strapperanno brandelli di faccia e con quelli nutriranno i loro piccoli. La sentenza è definitiva. E dato che lei non ha niente da aggiungere, il caso è chiuso-
La porta si spalanca di nuovo, entrano gli altri personaggi dei suoi racconti. I ragazzi della Resistenza di Dicotomici Furori avanzano portando sulle spalle la cassa di pino che puzza di broccoli. Hanno tutti gli stessi occhi rossi del Giudice. Guida il corteo Stefano, il suo Stefano. Il Giudice sparisce e sullo scranno d'ebano resta solo il suo cappuccio di tela nera. Avanzano verso Ulisse e nella loro marcia funebre travolgono il cartello delle facce. Poi si fermano e i loro occhi di carbonella s'indirizzano verso Stefano. Aspettano un ordine dal loro capo. Stefano è in piedi, davanti a Ulisse. Si diverte a vederlo incaprettato, ride e accarezza il piccolo delfino che porta al collo. Ulisse agita la testa, vorrebbe parlare.


- Cos'altro vorresti aggiungere, papà? Che magari ti dispiace? Che neanche immaginavi quanta sofferenza ci hai regalato raccontando le tue storielle? Sono solo parole, non servirebbe a niente. Ma voglio sentire come invochi pietà. Non abbiamo mai avuto occasione per dialogare, noi due. Hai sempre guidato tu il gioco. Ma voglio sentire cosa ti inventerai stavolta, la fantasia non ti è mai mancata. Levategli il bavaglio dalla bocca, ragazzi-
Si avvicinano a Ulisse Stefania e Carlo, Carlo gli da un cazzotto nello stomaco e Stefania gli pianta le unghia laccate nel naso, poi gli solletica il mento e con uno strappo deciso gli toglie il cerotto dalla bocca. Ulisse trattiene un ululato e vede mezza barba restare incollata al cerotto. Respira a fatica. Guarda Stefania, la guarda con affetto. Poi si rivolge a Stefano.


-Non ho niente da dire. Sarebbero solo parole. Hai ragione, mi dispiace. Mi dispiace avervi piegato le spalle con i miei problemi. Voglio solo dirvi grazie, mi avete aiutato a superare momenti orribili. Stefano, siamo cresciuti assieme. Non ho nemmeno avuto il tempo di ringraziarti. Il tuo cuore di carta lo sa, lo sa bene quanto ti voglio bene.-


- Mi vuoi bene? Bel modo di dimostrarmelo! Mi hai lasciato solo a combattere con gli zombi, stavo bene con Stefania e me l'hai portata via. Hai scelto tu che dovevo diventare un medico, nemmeno me l'hai chiesto e poi quell'incubo di nuovo buco. Tu mi hai fatto impazzire … -


-Se mi uccidi voi morirete con me, non lo capisci? Voi siete solo parole, parole sulla carta. Vivete solo se qualcuno vi legge, nessuno vi leggerà mai se io muoio. Le vostre vite sarebbero destinate a sbiadire, finireste di sicuro nella pattumiera. Mia sorella Simona farebbe piazza pulita di tutto quello che ho scritto. E le storie che ancora non ho stampato resterebbero nell'hard disk sino a quando qualcuno non formatterà. Vuoi suicidarti? Voi tutti volete morire, bene. Non perdiamo tempo, chiudimi in quella cassa. Fallo ora.-


- Stai bluffando. È nel tuo stile. Stavolta non puoi scrivere un finale diverso, papuccio. E se è vera la storiellina che ci hai appena raccontato, non cambierà nulla. Chi non è nato non può morire…Ragazzi cacciatelo nella cassa e portiamolo nella collina. I gabbiani del Giudice saranno affamati-


Ulisse non ha più niente da dire, niente può tirarlo fuori da quel pasticcio, morirà con tutte le sue creature.

l'autore onnipotente

Ci ho provato pure io a rivoluzionare lo stile e le idiosincrasie dicotomiche, prima mi metteva strizza solo l'idea di far parlare i personaggiucoli che tiravo dentro il foglio bianco nel mio piacevole hobby scriptorio.


MI terrorizzavano le virgolette. Perché capita che le parole non filtrate annullano le distanze. Sino a quando c'è l'autore che si dondola nelle sue sequenze descrittive regalategli dal suo punto di vista onnisciente uno accarezza l'onnipotenza.


Si sente quasi come Jim Carrey in una settimana da Dio.
Ecco, se avete presente il film c'è una scena in cui Bruce-Jim si impossessa del suo nemico anchor-man e lo fa blaterare come blaterava L'Ace Ventura dei tempi d'oro.
MI sento così quando provo a far parlare i personaggiucoli.
IO da anni provo a scrivere come Platone dialoghi densi in cui tutto avviene nel logos e attraverso esso. Comprese le scene esilaranti in cui il Buon Vecchio Socrate se la prende coi Sofisti e le loro acrobazie logico-sintattiche.


Una notte me la sono pure sognata tutta la scena: 'na specie di processo all'Autore.
Tutti i miei avatar di carta e parole che se la prendevano con me.  E poi, naturalmente, l'ho spiaccicata sul foglio.
 
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Da ULISSE, LUMACHE E CIOCCOLATINI | XI capitolo- Il processo:


Chi sei?- chiede Ulisse -Chi sei?- insiste ma l'uomo non risponde, continua a succhiare quel pezzo di carne e lo guarda, fisso.
- Sono l'Inquisitore. Il tuo inquisitore. Sei condannato e ora scriverò sul tuo corpo la condanna e non ci saranno richieste di clemenza. Sono solo l'ultimo degli inquisitori ma sono potente. Non riuscirai mai a corrompermi. Entri il primo testimone-.
La porta da dove Ulisse è entrato si spalanca, entra Stefano Re con la caldarella di cemento legata al collo che tiene sotto il braccio. Si va a sedere in un'altra sedia che è appena apparsa.
-Giura di dire tutta le falsità che può per incriminare questo recidivo?- Chiede l'Inquisitore.
-Lo giuro - Stefano sogghigna, al collo ha una catenina d'oro con un piccolo ciondolo a forma di delfino. La stessa collana che Ulisse aveva regalato a Lisa e lei gli aveva rispedito al mittente cacciandola dentro una busta che poi gli aveva spedito per posta prioritaria.
-Signor Re, riconosce il ragazzo che porta i ceppi ai piedi?-
- Sì. Lo riconosco, signor Giudice-
- Può dire alla giuria di che colpa s'è macchiato questo ragazzo?-
- Mi ha creato lui… in un certo senso, questo ragazzo è mio padre e mia madre. Mi ha regalato la vita ma lo ha fatto solo per togliersi di dosso tutto quello che non riusciva a reggere da solo. Tutto è iniziato sei anni fa. S'è messo davanti alla macchina da scrivere, s'è raddrizzato gli occhiali, ha infilato un foglio troppo bianco nel rullo e s'è messo a martellare sui tasti di quell'alfabeto di plastica e metallo. Era una storia simpatica, io ero solo un ragazzo che si stava affacciando alla vita, tagliando solo a quindici anni il cordone ombelicale. Era gasato, scriveva pagina dopo pagina e mi regalava un passato, un brutto passato, se posso aggiungere -
- Si limiti ai fatti, Signor Re, sono solo io qui che posso giudicare. Mi spieghi meglio che intende dire con "mi ha regalato un brutto passato"-
-Ero grasso, signor Giudice, ero grasso e mi obbligò a mangiare quintali di insalata e litri di yogurt alla fragola per scacciare la pancia che mi sollevava le camicie. E la dieta fu solo l'inizio.  M'aveva creato completamente miope, non vedevo neanche i passaggi delle equazioni che la professoressa svolgeva alla lavagna. E sedevo in seconda fila. Poi, finalmente, si decise di mettermi sul naso un paio d'occhiali e solo molto tempo dopo sostituì quei fondi di bottiglia con le lenti a contatto. La prima delle mie disgraziate avventure l'aveva intitolata "De amicitia et adulescentia". Ma dico, chi si credeva? La reincarnazione di Cicerone? E io lì, impotente, senza poter scegliere niente con la mia testa. Potevo solo aspettare un'altra frase da vivere. Con le ragazze, non le dico, signor Giudice. Tutte complessate e con problemi peggio dell'Uomo Ragno. E nemmeno questo gli bastava. Sentiva proprio il bisogno di trasformare ogni cavolata che gli capitava in un nuovo capitolo. Mi chiamò Stefano Re, dico, un po' di fantasia! Lui aveva passato tutta l'adolescenza spiaccicato sul letto a leggersi tutti i libri di Stephen King e aveva sentito il dovere di chiamarmi con la banalissima traduzione italiana del nome del suo autore preferito. Stephen King e Stefano Re, niente d'eccezionale. Per i miei amici, o meglio, per gli amici che mi mise accanto lui, non si sforzò nemmeno. Cambiava solo un po' il cognome o faceva qualche giochetto stupido con le parole. Dopo il De amicitia si dedicò alla sua versione della Divina Commedia. L'aveva iniziata in endecasillabi ma poi stufato s'era messo a riscrivere in prosa e manco s'accorgeva che non m'aveva mai fatto dire una parola. Si limitava a raccontare fatti e riempire frasi d'aggettivi, sempre gli stessi che giocava a sfumare con un dannato dizionario dei sinonimi. Un'angoscia, ero pieno d'aggettivi e muto come un pezzo di gesso. Poi finalmente l'epifania, si era messo a leggere Dylan Dog e lui che si cacava pure d'andare a pisciare da solo, decise di superare quella paura abusando di libri e videocassette horror. Già c'era stato Stephen King, ora s'era preso di petto Romero e i suoi zombi. La sua versione della Divina commedia era l'unica cosa decente che aveva scritto. Niente problemi esistenziali, l'aveva intitolata l'Infinita commedia-


- Mi racconti la trama, signor Re e non ometta particolari. Tutto peserà al momento della condanna-


-Camminavo tranquillo verso il mio liceo e arrivavo con due o tre minuti di ritardo, trovavo davanti la porta due giganteschi scarafaggi. Tremavo un po' quando arriva il mio prof. d'italiano a salvarmi. Ha in mano una versione fantascientifica di una mont blanc col pennino modificato che spara laser d'inchiostro. Laurentius, il professore, diventava la mia guida e io lo seguivo nelle varie classi. Ogni classe era occupata da dannati macchiati di varie colpe. Dopo aver visitato le classi della disperazione, passavo al limbo degli arrivisti, dove trovavo i miei amici secchioni…signor giudice, questo l'avevo dimenticato: non solo panzone e miope, pure secchione mi aveva fatto! … e i miei amici secchioni, dicevo, stavano seduti con il braccio piantato nel banco e la mano perennemente alzata per rispondere a qualsiasi cavolata. Poi passavo all'aula della felicità, dove la prof di filosofia, fasciata in uno smagliante vestitino che gli lasciava le zizze in trasparenza, mi dava il segreto della felicità. Mentre stavo per apprendere finalmente il segreto mi svegliavo all'ospedale con i miei amici a piangere come fontane. Avevo avuto un incidente col typhoon ed ero in coma da nove giorni. Capisce, signor giudice, pure in coma!-


-Stava parlando d'una epifania avuta leggendo Dylan Dog e visionando i film di Romero, a che si riferiva? -


- Giusto, signor giudice, ma mi capisca. Non ho mai avuto occasione di sfogarmi per tutto quello che mi ha fatto passare quel macchiafogli. E meno male che l'ha fatto imbavagliare! Chissà quale scuse avrebbe vomitato dinnanzi a lei per ottenere una pena più dolce. Dopo l'infinita commedia deve essersi fatto la prima ingroppata e di riflesso me la sono fatta pure io. Solo che questa non me l'ha fatta vivere sul foglio. Era solo una consapevolezza nuova che mi ha messo negli occhi. Con Romero e Dylan Dog in testa si mise davanti al pc, la macchina da scrivere era ormai obsoleta, e si mise a scrivere "Il liceo dei morti viventi", che poi diventò "Dicotomici Furori". Finalmente parlavo, avevo venti chili di ciccia in meno e i capelli lunghi che mi coprivano le orecchie a sventola. La trama era interessante ma quanti colpi di scena, signor giudice! Per poco non ci rimettevo il culo e il padulo! Era dicembre e lei sa bene che di quei tempi l'okkupazione è sempre in agguato. Il preside Galatus si era messo in testa di evitarla, ad ogni costo. Aveva evocato il diavolo e gli era apparso il demone Ciollone che in cambio dell'anima gli aveva promesso un liceo perfetto con alunni in divisa e senza tendenze anarchiche in testa. Lui aveva accettato e in un secondo era apparsa una strana marea bluastra che s'era infilata nelle varie aule. Come risultato gli studenti erano diventati zombi, zombi con ottimi risultati scolastici. E perfino dieci in condotta. Dall'oltretomba Ciollone aveva risvegliato i grandi pensatori del passato e gli zombi assistevano alle lezioni di Kant, di Cartesio, di Euclide, di Platone e prendevano appunti precisi e ordinati. S'erano salvati dal maleficio solo i miei amici e il prof Laurentius. Il macchiafogli scrive panzane, sicuro, però erano panzane con una certa logica. Non spiega mai nel romanzo perché Laurentius è immune al maleficio ma per me e i miei amici partorisce un'ideuzza niente male. Galatus aveva chiesto un liceo perfetto con studenti modello: io e i miei amici secchioni lo eravamo già, gli altri superstiti, i sodomizer boys, erano un caso irrecuperabile. Non sarebbero mai stati studenti modello manco se Satanasso in persona veniva a punzecchiarli con il suo forcone. E il romanzo procedeva con attacchi di zombi, lutti nella resistenza e grandi prove di lealtà. Finiva naturalmente bene per la resistenza dopo che l'azione si era spostato in un inferno egiziano. Il titolo veniva proprio dall'ultimo capitolo, un open ending, che m'affidava la responsabilità di tutto il liceo. Io scrivo, signor giudice, proprio come il mio ignobile creatore, e dalla mia scrittura dipendeva la mia sopravvivenza. Quello che scrivevo accadeva, ma solo le cose credibili, non potevo far resuscitare i miei amici scrivendo, potevo solo attendere il trillo della sesta ora e tutto sarebbe finalmente finito. Restavo sulla spiaggia con Stefania e Carlo, gli altri due sopravvissuti e non ci restava che attendere. Attendere o lasciarsi naufragare nell'oblio. Questo dubbio era al centro di tutti i dicotomici furori, proprio come in quel film, le ali della libertà: o fai di tutto per vivere o fai di tutto per morire. Mi ha sempre fatto vivere sul filo dei contrari, mai mezze misure, mi ha condannato a essere lacerato tra estremi, non ha mai capito la ricchezza delle sfumature. Quando finalmente le ha capite mi ha lasciato morire, quando finalmente potevo vivere avventure più mature mi ha fatto affogare con questa caldarella che mi porto addosso. Fregandosene di ogni logica temporale mi ha fatto vivere quell'incubo in "nuovo buco", un delirio senza né capo né coda. Signor giudice, è mio padre quello lì, incatenato. È con dolore che sono venuto qui a fare quello che doveva essere fatto. Perché io non sono capace di farmi giustizia con le mie mani, lui mi ha fatto così. Potevo vendicarmi lasciandolo sbranare da quello squalo ma non ci sono riuscito e ho dovuto salvarlo… è mio padre, non potevo ucciderlo! Voglio solo giustizia-


-Cosa chiede a questa corte?-


-Voglio vivere. Non posso morire con questa caldarella di cemento al collo. Voglio vivere la mia vita senza dover tremare ogni volta che lui si mette a scrivere. Chiedo solo un nuovo racconto e un nuovo amore. Andrò a vivere con la mia compagna e non tornerò mai più. Mai-


Ulisse ha ascoltato lo sfogo di Stefano, non aveva mai capito quanto può soffrire un personaggio. Ha le mani legate e in bocca un quadrato di scotch gli impedisce di parlare, si mette a sbraitare mugolando come un pazzo.


- Ha qualcosa da dire, imputato? E perché non parla? Come? Lei che tante volte ha lasciato in silenzio questo suo personaggio non ama forse assistere inerte allo svolgersi degli eventi? Vorrebbe magari essere slegato? Vero? Lei che ha deciso i movimenti di ognuno dei suoi personaggi, lei che è stato per loro solo un perfido burattinaio vuole essere libero? Capisce la sofferenza di Stefano? La capisce? Io penso che lei sia abile. Lei è viscido e ha molte risorse sotto quella montagna di capelli. Lei deve essere messo nella condizione di non nuocere più a nessuno. E c'è solo un modo: le verranno amputate le mani e i piedi e la lingua, le verranno strappate le palpebre e verrà seppellito nella tomba sopra la collina, solo la sua testa rimarrà fuori e i gabbiani si divertiranno a divorarla con piccole beccate. Le strapperanno brandelli di faccia e con quelli nutriranno i loro piccoli. La sentenza è definitiva. E dato che lei non ha niente da aggiungere, il caso è chiuso-
La porta si spalanca di nuovo, entrano gli altri personaggi dei suoi racconti. I ragazzi della Resistenza di Dicotomici Furori avanzano portando sulle spalle la cassa di pino che puzza di broccoli. Hanno tutti gli stessi occhi rossi del Giudice. Guida il corteo Stefano, il suo Stefano. Il Giudice sparisce e sullo scranno d'ebano resta solo il suo cappuccio di tela nera. Avanzano verso Ulisse e nella loro marcia funebre travolgono il cartello delle facce. Poi si fermano e i loro occhi di carbonella s'indirizzano verso Stefano. Aspettano un ordine dal loro capo. Stefano è in piedi, davanti a Ulisse. Si diverte a vederlo incaprettato, ride e accarezza il piccolo delfino che porta al collo. Ulisse agita la testa, vorrebbe parlare.


- Cos'altro vorresti aggiungere, papà? Che magari ti dispiace? Che neanche immaginavi quanta sofferenza ci hai regalato raccontando le tue storielle? Sono solo parole, non servirebbe a niente. Ma voglio sentire come invochi pietà. Non abbiamo mai avuto occasione per dialogare, noi due. Hai sempre guidato tu il gioco. Ma voglio sentire cosa ti inventerai stavolta, la fantasia non ti è mai mancata. Levategli il bavaglio dalla bocca, ragazzi-
Si avvicinano a Ulisse Stefania e Carlo, Carlo gli da un cazzotto nello stomaco e Stefania gli pianta le unghia laccate nel naso, poi gli solletica il mento e con uno strappo deciso gli toglie il cerotto dalla bocca. Ulisse trattiene un ululato e vede mezza barba restare incollata al cerotto. Respira a fatica. Guarda Stefania, la guarda con affetto. Poi si rivolge a Stefano.


-Non ho niente da dire. Sarebbero solo parole. Hai ragione, mi dispiace. Mi dispiace avervi piegato le spalle con i miei problemi. Voglio solo dirvi grazie, mi avete aiutato a superare momenti orribili. Stefano, siamo cresciuti assieme. Non ho nemmeno avuto il tempo di ringraziarti. Il tuo cuore di carta lo sa, lo sa bene quanto ti voglio bene.-


- Mi vuoi bene? Bel modo di dimostrarmelo! Mi hai lasciato solo a combattere con gli zombi, stavo bene con Stefania e me l'hai portata via. Hai scelto tu che dovevo diventare un medico, nemmeno me l'hai chiesto e poi quell'incubo di nuovo buco. Tu mi hai fatto impazzire … -


-Se mi uccidi voi morirete con me, non lo capisci? Voi siete solo parole, parole sulla carta. Vivete solo se qualcuno vi legge, nessuno vi leggerà mai se io muoio. Le vostre vite sarebbero destinate a sbiadire, finireste di sicuro nella pattumiera. Mia sorella Simona farebbe piazza pulita di tutto quello che ho scritto. E le storie che ancora non ho stampato resterebbero nell'hard disk sino a quando qualcuno non formatterà. Vuoi suicidarti? Voi tutti volete morire, bene. Non perdiamo tempo, chiudimi in quella cassa. Fallo ora.-


- Stai bluffando. È nel tuo stile. Stavolta non puoi scrivere un finale diverso, papuccio. E se è vera la storiellina che ci hai appena raccontato, non cambierà nulla. Chi non è nato non può morire…Ragazzi cacciatelo nella cassa e portiamolo nella collina. I gabbiani del Giudice saranno affamati-


Ulisse non ha più niente da dire, niente può tirarlo fuori da quel pasticcio, morirà con tutte le sue creature.

venerdì 17 settembre 2004

Anno strano

Ho affettato la mia vita.
Sono stufo e arcistufo di crogiolarmi nel mio striminzito punto di vista.
Diciamolo pure: di dicotomici furori e altre baggianate ne ho avuto abbastanza.
Pure quella bella testa di Andrea De Carlo ha smesso di infilarsi nei suoi libri e sbirciare l'anima di carta dei suoi mucchietti di pensieri e parole.
Anno strano questo.
Mi hanno riempito la mail box tutte le donne del mio passato. Una dopo l'altra. Una dopo l'altra.
Avevano solo 'sta possibilità.
Potevano tentare o di chiamarmi a casa e li' mai e poi mai avrei alzato la cornetta riconoscendo, grazie al CHI E' della telecom, i loro numeri.
E allora hanno scelto la strada sicura. Lettere che s'assomigliano tutte in maniera inquietante.


Con sti dubbi tra amore e cranio vi lascio l'ultimo raccontino. Magari triste. Ma e' venuto su cosi'.


L'ultima danza delle marionette


Finiva sempre così, davanti a una fila di mezzebirre vuote a disegnare clessidre con gli indici.


Pagava il primo giro la carta da dieci euro del grande Zummo. Avevano ancora tempo, i brufoli del cameriere scemo della Rotonda non li avrebbero buttati fuori prima delle 3.
Stefano stava lì, con la stilografica, a scrivere poemetti zoppi sui tovagliolini. Li scriveva in continuazione, dedicandoli alle scollature più generose. A composizione ultimata, si avvicinava furtivo al DJ che, in cambio di svariate marlboro, li leggeva.


Come da copione, la seconda tappa di quelle notti tutte uguali: la locanda di Mario. Si aspettava l'alba giocando a biliardo, manco fossero stati tutti reincarnazioni di Paul Newman nel colore dei soldi. A Michele piaceva quel posto. Gli piaceva quella caverna buia e umida con schegge di pietra grezza alle pareti e quelle quattro panche ricavate da tronchi d'abete. Il piatto forte rimaneva la zona dedicata alla lettura, c'era pure un microfono per chi aveva voglia di leggere qualche poesia sua o karaokare qualche liquida serenata. E dietro il microfono la solita bella foto del Che sorridente con sigaro, basco e frase chiave: "bisogna essere duri senza perdere la tenerezza".
Mario è un medico in pensione, ha trasformato i soldi della buonuscita in quella locanda. Dietro al bancone c'è sempre suo figlio Luigi.
Zummo entra e si va a sedere al suo solito posto, saluta Mario e suo figlio. Lascia la tascapane nell'appendipanni e dopo aver passato una buona mezz'ora in bagno, va nella zona biliardo. Sono già tutti ai loro posti. Sta vincendo Santi con dodici palle di vantaggio su Nino. Luca e Michele giocano a freccette. Samuele, il ragazzo di Luigi, legge un libro e gira l'ombrellino del suo cocktail.


— Tutta quest'allegria mi demoralizza! Compagneros, niente di nuovo sul fronte occidentale? — Ulisse s'è rilassato, le paranoie sono volate via a tenere compagnia alla luna.
— Ulisse, non è serata. — Nino è sempre malinconico, la zita l'ha piantato per uno d'Azione Giovani e lui è rimasto come un orango a ululare al buttanesimo che riempie le mutande delle donne.
Ma gli passerà presto: — Santi mi sta massacrando e quel mussoliniano le ha comprato un ciondolo d'oro talmente pesante che camminerà curva le poche volte che se lo metterà. Non posso competere, Lidia mi sembrava quella giusta — lo dice e riesce solo ad imbucare una pallina che non ha dichiarato.
— Vedi che novità! Da quando ci conosciamo sempre a lamentarti, dici sempre che ti sembrava quella giusta e che è l'ultima volta che ti innamori. Ci frantumi le palle per due giorni e poi vai subito a provarci con tutte quelle che danno qualche segno di vita. —
— No, stavolta è proprio l'ultima, non m'innamoro più. Certo. Però quella a cui Stefano ha dedicato il tuo RANDAGIO BLUES aveva due zizze... forse in mezzo a quelle tette potrei trovare un pò di serenità...— un'altra palla, stavolta l'ha dichiarata ma ha fatto imbucare pure il boccino.
— Sei una schiappa! Se scopi come giochi...— Santi sghignazza, vince ogni volta e condisce la vittoria con lo stesso sarcasmo.
— Dai, vi offro qualcosa.— Michele è il più serio, manco un anno di fuoricorso, tutti 28 e 30, l'ingegnere del gruppo. Il capo di quella sgangherata comitiva.
— Festeggiamo la tua prima ingroppata? —


Michele sorride ma da qualche giorno è grigio e svacantato, ha accompagnato la sua ragazza ad abortire. I ragazzi non ne sanno nulla.


Si avvicinano tutti al bancone, Samuele resta a leggere "Narciso e Boccadoro". È un fanatico di Hermann Hesse. Siddharta lo potrebbe riscrivere a memoria.
— Sam lascia quel libro e unisciti a noi poveri mortali... E poi, credimi, non ne vale la pena. Quel libro è soporifero, solo solo la prima pagina con quella infinita sequenza descrittiva è capace di stendere perfino te! — lo stuzzica Stefano. Samuele grugnisce qualcosa d'incomprensibile e lascia in mezzo al libro un tovagliolino come segnale.
— Ragazzi, facciamo il solito giro? Vediamo: martini con ghiaccio per Luca e Michele, una doppia sambuca per Ulisse, un succo d'arancia con gin e vodka per Sam e tre quattro bianchi, uno per Santi, uno per Zummo e uno per Stefano. Giusto?—
— Sei il nostro barman preferito. Un brindisi per Luigi!—


Il calore dei superalcolici squaglia gli ultimi silenzi, Stefano si alza e inizia uno dei soliti comizi: — Mi sono stufato. Di tutte le abitudini. Del broccolo del giovedì, della pizza del venerdì e del pesce luna del martedì. Basta con Radio Maria e con quel presepe monumentale che mio padre ha iniziato a traforare vent'anni fa. Vi leggo la poesia che ho scritto su questo tovagliolo. Luigi, abbassa le luci, mettimi di sottofondo qualche cosa che sappia di blues...—


Stefano si alza, sistema il microfono e stropiccia un pò il tovagliolo che ha inciso con la stilografica d'ordinanza. Si toglie perfino lo zucchetto di cotone coi colori giamaicani che s'è fatto cucire da una ex di qualche vita fa. Si accende un'assassina bianca e arancione. Una boccata e inizia:
— nemmeno so
com'è fatto un colibrì
ma voglio andare via prima
che Pippo mi chiami un'altra volta compagno
passandomi il manifesto e Liberazione
snocciolando il resto,
cercando di capire
che 1500 lire saranno 0,77 euro
e chiederò a mio padre 5 euro,
sempre quelle 10 carte
che mi servono per far bere un pò quella
sconsolata R4 che aspetta qualche altra ragazza sul sedile anteriore
e io sono stanco
solo a pensare di ricominciare tutta quella danza delle marionette
per un bacio
e magari se mi và bene un'altra notte
da intaccare sulla colt che non ho
perché sono pacifista.
ma lo so che ci cadrò di nuovo
e basteranno magari solo due fossette.
gli attimi fuggono ed è tutta fatica sprecata corrergli dietro,
Gatsby è morto
e io cerco un'altra Daisy.


***


Michele era morto due anni dopo.
Suicidio.
Aveva scelto di andarsene riempiendo la focus di suo padre coi gas di scarico.
Ai suoi amici piaceva ricordarlo così, felice. Perché c'è sempre un altro giro di birra per mandare a nanna i rimorsi e i rimpianti. Michele lo sa e sorride nella foto lucida che hanno messo sulla sua lapide.
Sorride per sempre nella loro ultima estate.

Anno strano

Ho affettato la mia vita.
Sono stufo e arcistufo di crogiolarmi nel mio striminzito punto di vista.
Diciamolo pure: di dicotomici furori e altre baggianate ne ho avuto abbastanza.
Pure quella bella testa di Andrea De Carlo ha smesso di infilarsi nei suoi libri e sbirciare l'anima di carta dei suoi mucchietti di pensieri e parole.
Anno strano questo.
Mi hanno riempito la mail box tutte le donne del mio passato. Una dopo l'altra. Una dopo l'altra.
Avevano solo 'sta possibilità.
Potevano tentare o di chiamarmi a casa e li' mai e poi mai avrei alzato la cornetta riconoscendo, grazie al CHI E' della telecom, i loro numeri.
E allora hanno scelto la strada sicura. Lettere che s'assomigliano tutte in maniera inquietante.


Con sti dubbi tra amore e cranio vi lascio l'ultimo raccontino. Magari triste. Ma e' venuto su cosi'.


L'ultima danza delle marionette


Finiva sempre così, davanti a una fila di mezzebirre vuote a disegnare clessidre con gli indici.


Pagava il primo giro la carta da dieci euro del grande Zummo. Avevano ancora tempo, i brufoli del cameriere scemo della Rotonda non li avrebbero buttati fuori prima delle 3.
Stefano stava lì, con la stilografica, a scrivere poemetti zoppi sui tovagliolini. Li scriveva in continuazione, dedicandoli alle scollature più generose. A composizione ultimata, si avvicinava furtivo al DJ che, in cambio di svariate marlboro, li leggeva.


Come da copione, la seconda tappa di quelle notti tutte uguali: la locanda di Mario. Si aspettava l'alba giocando a biliardo, manco fossero stati tutti reincarnazioni di Paul Newman nel colore dei soldi. A Michele piaceva quel posto. Gli piaceva quella caverna buia e umida con schegge di pietra grezza alle pareti e quelle quattro panche ricavate da tronchi d'abete. Il piatto forte rimaneva la zona dedicata alla lettura, c'era pure un microfono per chi aveva voglia di leggere qualche poesia sua o karaokare qualche liquida serenata. E dietro il microfono la solita bella foto del Che sorridente con sigaro, basco e frase chiave: "bisogna essere duri senza perdere la tenerezza".
Mario è un medico in pensione, ha trasformato i soldi della buonuscita in quella locanda. Dietro al bancone c'è sempre suo figlio Luigi.
Zummo entra e si va a sedere al suo solito posto, saluta Mario e suo figlio. Lascia la tascapane nell'appendipanni e dopo aver passato una buona mezz'ora in bagno, va nella zona biliardo. Sono già tutti ai loro posti. Sta vincendo Santi con dodici palle di vantaggio su Nino. Luca e Michele giocano a freccette. Samuele, il ragazzo di Luigi, legge un libro e gira l'ombrellino del suo cocktail.


— Tutta quest'allegria mi demoralizza! Compagneros, niente di nuovo sul fronte occidentale? — Ulisse s'è rilassato, le paranoie sono volate via a tenere compagnia alla luna.
— Ulisse, non è serata. — Nino è sempre malinconico, la zita l'ha piantato per uno d'Azione Giovani e lui è rimasto come un orango a ululare al buttanesimo che riempie le mutande delle donne.
Ma gli passerà presto: — Santi mi sta massacrando e quel mussoliniano le ha comprato un ciondolo d'oro talmente pesante che camminerà curva le poche volte che se lo metterà. Non posso competere, Lidia mi sembrava quella giusta — lo dice e riesce solo ad imbucare una pallina che non ha dichiarato.
— Vedi che novità! Da quando ci conosciamo sempre a lamentarti, dici sempre che ti sembrava quella giusta e che è l'ultima volta che ti innamori. Ci frantumi le palle per due giorni e poi vai subito a provarci con tutte quelle che danno qualche segno di vita. —
— No, stavolta è proprio l'ultima, non m'innamoro più. Certo. Però quella a cui Stefano ha dedicato il tuo RANDAGIO BLUES aveva due zizze... forse in mezzo a quelle tette potrei trovare un pò di serenità...— un'altra palla, stavolta l'ha dichiarata ma ha fatto imbucare pure il boccino.
— Sei una schiappa! Se scopi come giochi...— Santi sghignazza, vince ogni volta e condisce la vittoria con lo stesso sarcasmo.
— Dai, vi offro qualcosa.— Michele è il più serio, manco un anno di fuoricorso, tutti 28 e 30, l'ingegnere del gruppo. Il capo di quella sgangherata comitiva.
— Festeggiamo la tua prima ingroppata? —


Michele sorride ma da qualche giorno è grigio e svacantato, ha accompagnato la sua ragazza ad abortire. I ragazzi non ne sanno nulla.


Si avvicinano tutti al bancone, Samuele resta a leggere "Narciso e Boccadoro". È un fanatico di Hermann Hesse. Siddharta lo potrebbe riscrivere a memoria.
— Sam lascia quel libro e unisciti a noi poveri mortali... E poi, credimi, non ne vale la pena. Quel libro è soporifero, solo solo la prima pagina con quella infinita sequenza descrittiva è capace di stendere perfino te! — lo stuzzica Stefano. Samuele grugnisce qualcosa d'incomprensibile e lascia in mezzo al libro un tovagliolino come segnale.
— Ragazzi, facciamo il solito giro? Vediamo: martini con ghiaccio per Luca e Michele, una doppia sambuca per Ulisse, un succo d'arancia con gin e vodka per Sam e tre quattro bianchi, uno per Santi, uno per Zummo e uno per Stefano. Giusto?—
— Sei il nostro barman preferito. Un brindisi per Luigi!—


Il calore dei superalcolici squaglia gli ultimi silenzi, Stefano si alza e inizia uno dei soliti comizi: — Mi sono stufato. Di tutte le abitudini. Del broccolo del giovedì, della pizza del venerdì e del pesce luna del martedì. Basta con Radio Maria e con quel presepe monumentale che mio padre ha iniziato a traforare vent'anni fa. Vi leggo la poesia che ho scritto su questo tovagliolo. Luigi, abbassa le luci, mettimi di sottofondo qualche cosa che sappia di blues...—


Stefano si alza, sistema il microfono e stropiccia un pò il tovagliolo che ha inciso con la stilografica d'ordinanza. Si toglie perfino lo zucchetto di cotone coi colori giamaicani che s'è fatto cucire da una ex di qualche vita fa. Si accende un'assassina bianca e arancione. Una boccata e inizia:
— nemmeno so
com'è fatto un colibrì
ma voglio andare via prima
che Pippo mi chiami un'altra volta compagno
passandomi il manifesto e Liberazione
snocciolando il resto,
cercando di capire
che 1500 lire saranno 0,77 euro
e chiederò a mio padre 5 euro,
sempre quelle 10 carte
che mi servono per far bere un pò quella
sconsolata R4 che aspetta qualche altra ragazza sul sedile anteriore
e io sono stanco
solo a pensare di ricominciare tutta quella danza delle marionette
per un bacio
e magari se mi và bene un'altra notte
da intaccare sulla colt che non ho
perché sono pacifista.
ma lo so che ci cadrò di nuovo
e basteranno magari solo due fossette.
gli attimi fuggono ed è tutta fatica sprecata corrergli dietro,
Gatsby è morto
e io cerco un'altra Daisy.


***


Michele era morto due anni dopo.
Suicidio.
Aveva scelto di andarsene riempiendo la focus di suo padre coi gas di scarico.
Ai suoi amici piaceva ricordarlo così, felice. Perché c'è sempre un altro giro di birra per mandare a nanna i rimorsi e i rimpianti. Michele lo sa e sorride nella foto lucida che hanno messo sulla sua lapide.
Sorride per sempre nella loro ultima estate.

mercoledì 15 settembre 2004

tutto quello che sta dentro una didascalia

Sono vivo.
Sto studiando per le ultimissime 2 materie. Naturalmente le meno allettanti. Ci spariamo sempre i migliori piatti all'inizio del buffet.
Stamattina ho pagato 103,29 €  per diritto fisso AMMISSIONE ESAMI DI LAUREA, 11,32 € per PERGAMENA DI LAUREA E DIRITTI DI MECCANIZZAZIONE e, dulcis in fundo, 41,32 € per IMPOSTA DI BOLLO.
Mi sento strano.
Svuotato. Come un perno girato nella testa. Manco il tempo di godermi la rilettura dell'Odissea presa stamattina in edicola per soli 1,90 €.


Sono ad un punto di svolta. Ho addentato tutto quello che in un film avrebbero sintetizzato in una didascalia prima del cambio di scena. Notti passate sui libri, dubitanti dita su reggiseni, amori perduti, sguardi ritrovati.
Pure la Reno' 4 verde pisello non c'e' piu'. Ore ed ore a prendere appunti mai riletti ma buoni per stare sull'attenti. Amici persi, amici nuovi che rimpiazzano i compagneros del Liceo, La voglia di viaggiare e' sempre qui, la fama di vento che m'ha contagiato l'aquilone pure.
E c'e' pure il titolo definitivo della tesi: NEVE E SILENZIO. Paul Celan verso un'estetica della testimonianza.
Mi piace.
Sono seduto in mezzo al nulla, nel prato dell'Erba Voglio. Me ne fumo un ciuffo e poi un altro. Mi godo il tramonto.
E sorrido.


 

tutto quello che sta dentro una didascalia

Sono vivo.
Sto studiando per le ultimissime 2 materie. Naturalmente le meno allettanti. Ci spariamo sempre i migliori piatti all'inizio del buffet.
Stamattina ho pagato 103,29 €  per diritto fisso AMMISSIONE ESAMI DI LAUREA, 11,32 € per PERGAMENA DI LAUREA E DIRITTI DI MECCANIZZAZIONE e, dulcis in fundo, 41,32 € per IMPOSTA DI BOLLO.
Mi sento strano.
Svuotato. Come un perno girato nella testa. Manco il tempo di godermi la rilettura dell'Odissea presa stamattina in edicola per soli 1,90 €.


Sono ad un punto di svolta. Ho addentato tutto quello che in un film avrebbero sintetizzato in una didascalia prima del cambio di scena. Notti passate sui libri, dubitanti dita su reggiseni, amori perduti, sguardi ritrovati.
Pure la Reno' 4 verde pisello non c'e' piu'. Ore ed ore a prendere appunti mai riletti ma buoni per stare sull'attenti. Amici persi, amici nuovi che rimpiazzano i compagneros del Liceo, La voglia di viaggiare e' sempre qui, la fama di vento che m'ha contagiato l'aquilone pure.
E c'e' pure il titolo definitivo della tesi: NEVE E SILENZIO. Paul Celan verso un'estetica della testimonianza.
Mi piace.
Sono seduto in mezzo al nulla, nel prato dell'Erba Voglio. Me ne fumo un ciuffo e poi un altro. Mi godo il tramonto.
E sorrido.


 

giovedì 9 settembre 2004

cultura spazzasofferenze e le certezze dei sette anni

" Non piu' una cultura che consoli nelle sofferenze ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini


     Per un pezzo sara' difficile dire se qualcuno o qualcosa abbia vinto in questa guerra. Ma certo e' tanto che ha perduto, e che si vede come abbia perduto. I morti, se li contiamo, sono piu' di bambini che di soldati, le macerie sono di citta' che avevano venticinque secoli di vita; di case e biblioteche, di monumenti, di cattedrali, di tutte le forme per le quali e' passato il progresso civile dell'uomo; e i campi su cui si e' sparso piu' sangue si chiamano Mauthausen, Maidanek, Buchenwald, Dakau.
    Di chi e' la sconfitta più grave in tutto questo che è accaduto? Vi era bene qualcosa che, attraverso i secoli, ci aveva insegnato a considerare sacra l'esistenza dei bambini. Anche di ogni conquista civile dell'uomo ci aveva insegnato che era sacra; lo stesso pane; lo stesso del lavoro. E se ora milioni di bambini sono stati uccisi, se tanto che era sacro e' stato lo stesso colpito e distrutto, la sconfitta e' anzitutto di questa "cosa" che c'insegnava la in violabilita' loro. Non e' anzitutto di questa "cosa" che c'insegnava l'inviolabilita' loro?
    Questa "cosa", voglio subito dirlo, non e' altro che la cultura: lei che e' stata pensiero greco, ellenismo, romanesimo, cristianesimo latino, cristianesimo medievale, umanesimo, riforma, illuminismo, liberalismo, [...]"
( editoriale comparso sul primo numero del Politecnico, 29 settembre 1945)



A volte il silenzio cala e ricala come l'osso impugnato dallo scimmione del 2001 di Kubrick. E' l'unica risposta possibile.
Neanche il tempo di scrostare la patina grigiometallizzata di qualche giorno fa che si ricomincia.
Non ci sono alternative, si deve continuare a scrivere.
Magari solo per sentirsi dire che sono le solite banalita' ciclostilate. L'unica vera globalizzazione e' quella operata dal terrorismo. Agisce dovunque e non si ferma davanti a nulla.
Uccidono bambini, donne che non c'entrano un'emerita minchia con tutti i giochi di potere che qualcun altro decide per noi. Verrebbe davvero da salire al cielo e chiedere a Dio o a chi per Lui se e' permesso che le cose stiano davvero cosi'.


Quand'ero piccolo, avro' avuto 7 o 8 anni volevo bruciare le tappe, spicciarmi a conquistare la mia eta' a due cifre. Riempire almeno tutte le dita della mano. Credevo che sarebbe bastato sventagliare tutte e dieci le dita, far contemplare a tutti i GRANDI la mie eta' nelle mie unghia incrostate di terra per riuscire almeno a tenere il telecomando.
Ne sono morti a decine di bambini in quella scuola, la stessa scuola che doveva insegnargli in primis a vivere bene in societa'. Una societa' che imbottisce una palestra di esplosivo, una societa' che si scanna per conquistare petrodollari da rinvestire in altre guerre.


Sono stato fortunato, il significato di pedofilo me l'hanno spiegato a 13 anni quando gia' in faccia spuntavo lieve lieve il primo "pilu caninu", quello che poi sarebbe diventato il barbone riccio e ispido che ora mi porto dietro.


Sono stato fortunato: sono ancora qui a riempirmi l'amore e il cranio col sorriso del mio cuginetto di quattr'anni che mi chiede quanti anni ho. Me lo chiede aggiungendo che lui il prossimo anno riempira' pure l'ultimo dito della mano. Gli rispondo che io ho quattro mani e due dita gia' piene. Poi mi scrocca un ovetto kinder e mi obbliga all'ennesima visione di Harry Potter con lui che mi anticipa tutte le battute del maghetto.


Mi siedo li', mia zia sullo sfondo taglia la pancia a un pesce per la cena.
Sto li', con gli occhi incollati ai 28 pollici di quella scatola che se faccio zapping mi aggiorna sul bollettino dei morti. In Iraq sono morti gia' mille soldati. Mi gratto la barba, ritorno su Harry Potter e la sua partita di quidditch tra le nuvole. Avrei voglia di chiederla a lui una soluzione.
Ma ritorno sulla poltrona col cuscino a fiori blu e i miei dubbi li lascio impigliati alla scopa di saggina del maghetto.


"... Vidi venire su dalla valle un aquilone, e lo seguii con gli occhi passare sopra a me nell'alta luce, mi chiesi perche', dopotutto, il mondo non fosse sempre, come a sette anni, Mille e una notte. Udivo le zampogne, le campane da capre e voci per la gradinata di tetti e per la valle, e fu molte volte che me lo chiesi mentre in quell'aria guardavo l'aquilone. Questo si chiama drago volante in Sicilia, ed e' in qualche modo Cina o Persia per il cielo siciliano, zaffiro, opale e geometria, e io non potevo non chiedermi, guardandolo, perche' davvero la fede dei sette anni non esistesse sempre per l'uomo.
    O forse sarebbe pericolosa? Uno, a sette anni, ha miracoli in tutte le cose, e dalla nudita' loro, dalla donna, ha la certezze di esse, come suppongo che lei, costola nostra, l'ha da noi. La morte c'e', ma non toglie nulla alla certezza, non reca mai offesa, allora, al mondo Mille e una notte dell'uomo. Ragazzo, uno non chiede che carta e vento, ha solo bisogno di lanciare un aquilone. Esce e lo lancia; ed e' grido che si alza da lui, e il ragazzo lo porta per le sfere con filo lungo che non si vede, e cosi' la sua fede consuma, celebra la certezza. Ma dopo che farebbe con la certezza? Dopo uno conosce le offese recate al mondo, l'empieta', e la servitu', l'ingiustizia tra gli uomini, e la profanazione della vita terrena contro il genere umano e contro il mondo. Che farebbe allora se avesse pur sempre certezza?"
da "Conversazione in Sicilia"

cultura spazzasofferenze e le certezze dei sette anni

" Non piu' una cultura che consoli nelle sofferenze ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini


     Per un pezzo sara' difficile dire se qualcuno o qualcosa abbia vinto in questa guerra. Ma certo e' tanto che ha perduto, e che si vede come abbia perduto. I morti, se li contiamo, sono piu' di bambini che di soldati, le macerie sono di citta' che avevano venticinque secoli di vita; di case e biblioteche, di monumenti, di cattedrali, di tutte le forme per le quali e' passato il progresso civile dell'uomo; e i campi su cui si e' sparso piu' sangue si chiamano Mauthausen, Maidanek, Buchenwald, Dakau.
    Di chi e' la sconfitta più grave in tutto questo che è accaduto? Vi era bene qualcosa che, attraverso i secoli, ci aveva insegnato a considerare sacra l'esistenza dei bambini. Anche di ogni conquista civile dell'uomo ci aveva insegnato che era sacra; lo stesso pane; lo stesso del lavoro. E se ora milioni di bambini sono stati uccisi, se tanto che era sacro e' stato lo stesso colpito e distrutto, la sconfitta e' anzitutto di questa "cosa" che c'insegnava la in violabilita' loro. Non e' anzitutto di questa "cosa" che c'insegnava l'inviolabilita' loro?
    Questa "cosa", voglio subito dirlo, non e' altro che la cultura: lei che e' stata pensiero greco, ellenismo, romanesimo, cristianesimo latino, cristianesimo medievale, umanesimo, riforma, illuminismo, liberalismo, [...]"
( editoriale comparso sul primo numero del Politecnico, 29 settembre 1945)



A volte il silenzio cala e ricala come l'osso impugnato dallo scimmione del 2001 di Kubrick. E' l'unica risposta possibile.
Neanche il tempo di scrostare la patina grigiometallizzata di qualche giorno fa che si ricomincia.
Non ci sono alternative, si deve continuare a scrivere.
Magari solo per sentirsi dire che sono le solite banalita' ciclostilate. L'unica vera globalizzazione e' quella operata dal terrorismo. Agisce dovunque e non si ferma davanti a nulla.
Uccidono bambini, donne che non c'entrano un'emerita minchia con tutti i giochi di potere che qualcun altro decide per noi. Verrebbe davvero da salire al cielo e chiedere a Dio o a chi per Lui se e' permesso che le cose stiano davvero cosi'.


Quand'ero piccolo, avro' avuto 7 o 8 anni volevo bruciare le tappe, spicciarmi a conquistare la mia eta' a due cifre. Riempire almeno tutte le dita della mano. Credevo che sarebbe bastato sventagliare tutte e dieci le dita, far contemplare a tutti i GRANDI la mie eta' nelle mie unghia incrostate di terra per riuscire almeno a tenere il telecomando.
Ne sono morti a decine di bambini in quella scuola, la stessa scuola che doveva insegnargli in primis a vivere bene in societa'. Una societa' che imbottisce una palestra di esplosivo, una societa' che si scanna per conquistare petrodollari da rinvestire in altre guerre.


Sono stato fortunato, il significato di pedofilo me l'hanno spiegato a 13 anni quando gia' in faccia spuntavo lieve lieve il primo "pilu caninu", quello che poi sarebbe diventato il barbone riccio e ispido che ora mi porto dietro.


Sono stato fortunato: sono ancora qui a riempirmi l'amore e il cranio col sorriso del mio cuginetto di quattr'anni che mi chiede quanti anni ho. Me lo chiede aggiungendo che lui il prossimo anno riempira' pure l'ultimo dito della mano. Gli rispondo che io ho quattro mani e due dita gia' piene. Poi mi scrocca un ovetto kinder e mi obbliga all'ennesima visione di Harry Potter con lui che mi anticipa tutte le battute del maghetto.


Mi siedo li', mia zia sullo sfondo taglia la pancia a un pesce per la cena.
Sto li', con gli occhi incollati ai 28 pollici di quella scatola che se faccio zapping mi aggiorna sul bollettino dei morti. In Iraq sono morti gia' mille soldati. Mi gratto la barba, ritorno su Harry Potter e la sua partita di quidditch tra le nuvole. Avrei voglia di chiederla a lui una soluzione.
Ma ritorno sulla poltrona col cuscino a fiori blu e i miei dubbi li lascio impigliati alla scopa di saggina del maghetto.


"... Vidi venire su dalla valle un aquilone, e lo seguii con gli occhi passare sopra a me nell'alta luce, mi chiesi perche', dopotutto, il mondo non fosse sempre, come a sette anni, Mille e una notte. Udivo le zampogne, le campane da capre e voci per la gradinata di tetti e per la valle, e fu molte volte che me lo chiesi mentre in quell'aria guardavo l'aquilone. Questo si chiama drago volante in Sicilia, ed e' in qualche modo Cina o Persia per il cielo siciliano, zaffiro, opale e geometria, e io non potevo non chiedermi, guardandolo, perche' davvero la fede dei sette anni non esistesse sempre per l'uomo.
    O forse sarebbe pericolosa? Uno, a sette anni, ha miracoli in tutte le cose, e dalla nudita' loro, dalla donna, ha la certezze di esse, come suppongo che lei, costola nostra, l'ha da noi. La morte c'e', ma non toglie nulla alla certezza, non reca mai offesa, allora, al mondo Mille e una notte dell'uomo. Ragazzo, uno non chiede che carta e vento, ha solo bisogno di lanciare un aquilone. Esce e lo lancia; ed e' grido che si alza da lui, e il ragazzo lo porta per le sfere con filo lungo che non si vede, e cosi' la sua fede consuma, celebra la certezza. Ma dopo che farebbe con la certezza? Dopo uno conosce le offese recate al mondo, l'empieta', e la servitu', l'ingiustizia tra gli uomini, e la profanazione della vita terrena contro il genere umano e contro il mondo. Che farebbe allora se avesse pur sempre certezza?"
da "Conversazione in Sicilia"

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