venerdì 17 settembre 2004

Anno strano

Ho affettato la mia vita.
Sono stufo e arcistufo di crogiolarmi nel mio striminzito punto di vista.
Diciamolo pure: di dicotomici furori e altre baggianate ne ho avuto abbastanza.
Pure quella bella testa di Andrea De Carlo ha smesso di infilarsi nei suoi libri e sbirciare l'anima di carta dei suoi mucchietti di pensieri e parole.
Anno strano questo.
Mi hanno riempito la mail box tutte le donne del mio passato. Una dopo l'altra. Una dopo l'altra.
Avevano solo 'sta possibilità.
Potevano tentare o di chiamarmi a casa e li' mai e poi mai avrei alzato la cornetta riconoscendo, grazie al CHI E' della telecom, i loro numeri.
E allora hanno scelto la strada sicura. Lettere che s'assomigliano tutte in maniera inquietante.


Con sti dubbi tra amore e cranio vi lascio l'ultimo raccontino. Magari triste. Ma e' venuto su cosi'.


L'ultima danza delle marionette


Finiva sempre così, davanti a una fila di mezzebirre vuote a disegnare clessidre con gli indici.


Pagava il primo giro la carta da dieci euro del grande Zummo. Avevano ancora tempo, i brufoli del cameriere scemo della Rotonda non li avrebbero buttati fuori prima delle 3.
Stefano stava lì, con la stilografica, a scrivere poemetti zoppi sui tovagliolini. Li scriveva in continuazione, dedicandoli alle scollature più generose. A composizione ultimata, si avvicinava furtivo al DJ che, in cambio di svariate marlboro, li leggeva.


Come da copione, la seconda tappa di quelle notti tutte uguali: la locanda di Mario. Si aspettava l'alba giocando a biliardo, manco fossero stati tutti reincarnazioni di Paul Newman nel colore dei soldi. A Michele piaceva quel posto. Gli piaceva quella caverna buia e umida con schegge di pietra grezza alle pareti e quelle quattro panche ricavate da tronchi d'abete. Il piatto forte rimaneva la zona dedicata alla lettura, c'era pure un microfono per chi aveva voglia di leggere qualche poesia sua o karaokare qualche liquida serenata. E dietro il microfono la solita bella foto del Che sorridente con sigaro, basco e frase chiave: "bisogna essere duri senza perdere la tenerezza".
Mario è un medico in pensione, ha trasformato i soldi della buonuscita in quella locanda. Dietro al bancone c'è sempre suo figlio Luigi.
Zummo entra e si va a sedere al suo solito posto, saluta Mario e suo figlio. Lascia la tascapane nell'appendipanni e dopo aver passato una buona mezz'ora in bagno, va nella zona biliardo. Sono già tutti ai loro posti. Sta vincendo Santi con dodici palle di vantaggio su Nino. Luca e Michele giocano a freccette. Samuele, il ragazzo di Luigi, legge un libro e gira l'ombrellino del suo cocktail.


— Tutta quest'allegria mi demoralizza! Compagneros, niente di nuovo sul fronte occidentale? — Ulisse s'è rilassato, le paranoie sono volate via a tenere compagnia alla luna.
— Ulisse, non è serata. — Nino è sempre malinconico, la zita l'ha piantato per uno d'Azione Giovani e lui è rimasto come un orango a ululare al buttanesimo che riempie le mutande delle donne.
Ma gli passerà presto: — Santi mi sta massacrando e quel mussoliniano le ha comprato un ciondolo d'oro talmente pesante che camminerà curva le poche volte che se lo metterà. Non posso competere, Lidia mi sembrava quella giusta — lo dice e riesce solo ad imbucare una pallina che non ha dichiarato.
— Vedi che novità! Da quando ci conosciamo sempre a lamentarti, dici sempre che ti sembrava quella giusta e che è l'ultima volta che ti innamori. Ci frantumi le palle per due giorni e poi vai subito a provarci con tutte quelle che danno qualche segno di vita. —
— No, stavolta è proprio l'ultima, non m'innamoro più. Certo. Però quella a cui Stefano ha dedicato il tuo RANDAGIO BLUES aveva due zizze... forse in mezzo a quelle tette potrei trovare un pò di serenità...— un'altra palla, stavolta l'ha dichiarata ma ha fatto imbucare pure il boccino.
— Sei una schiappa! Se scopi come giochi...— Santi sghignazza, vince ogni volta e condisce la vittoria con lo stesso sarcasmo.
— Dai, vi offro qualcosa.— Michele è il più serio, manco un anno di fuoricorso, tutti 28 e 30, l'ingegnere del gruppo. Il capo di quella sgangherata comitiva.
— Festeggiamo la tua prima ingroppata? —


Michele sorride ma da qualche giorno è grigio e svacantato, ha accompagnato la sua ragazza ad abortire. I ragazzi non ne sanno nulla.


Si avvicinano tutti al bancone, Samuele resta a leggere "Narciso e Boccadoro". È un fanatico di Hermann Hesse. Siddharta lo potrebbe riscrivere a memoria.
— Sam lascia quel libro e unisciti a noi poveri mortali... E poi, credimi, non ne vale la pena. Quel libro è soporifero, solo solo la prima pagina con quella infinita sequenza descrittiva è capace di stendere perfino te! — lo stuzzica Stefano. Samuele grugnisce qualcosa d'incomprensibile e lascia in mezzo al libro un tovagliolino come segnale.
— Ragazzi, facciamo il solito giro? Vediamo: martini con ghiaccio per Luca e Michele, una doppia sambuca per Ulisse, un succo d'arancia con gin e vodka per Sam e tre quattro bianchi, uno per Santi, uno per Zummo e uno per Stefano. Giusto?—
— Sei il nostro barman preferito. Un brindisi per Luigi!—


Il calore dei superalcolici squaglia gli ultimi silenzi, Stefano si alza e inizia uno dei soliti comizi: — Mi sono stufato. Di tutte le abitudini. Del broccolo del giovedì, della pizza del venerdì e del pesce luna del martedì. Basta con Radio Maria e con quel presepe monumentale che mio padre ha iniziato a traforare vent'anni fa. Vi leggo la poesia che ho scritto su questo tovagliolo. Luigi, abbassa le luci, mettimi di sottofondo qualche cosa che sappia di blues...—


Stefano si alza, sistema il microfono e stropiccia un pò il tovagliolo che ha inciso con la stilografica d'ordinanza. Si toglie perfino lo zucchetto di cotone coi colori giamaicani che s'è fatto cucire da una ex di qualche vita fa. Si accende un'assassina bianca e arancione. Una boccata e inizia:
— nemmeno so
com'è fatto un colibrì
ma voglio andare via prima
che Pippo mi chiami un'altra volta compagno
passandomi il manifesto e Liberazione
snocciolando il resto,
cercando di capire
che 1500 lire saranno 0,77 euro
e chiederò a mio padre 5 euro,
sempre quelle 10 carte
che mi servono per far bere un pò quella
sconsolata R4 che aspetta qualche altra ragazza sul sedile anteriore
e io sono stanco
solo a pensare di ricominciare tutta quella danza delle marionette
per un bacio
e magari se mi và bene un'altra notte
da intaccare sulla colt che non ho
perché sono pacifista.
ma lo so che ci cadrò di nuovo
e basteranno magari solo due fossette.
gli attimi fuggono ed è tutta fatica sprecata corrergli dietro,
Gatsby è morto
e io cerco un'altra Daisy.


***


Michele era morto due anni dopo.
Suicidio.
Aveva scelto di andarsene riempiendo la focus di suo padre coi gas di scarico.
Ai suoi amici piaceva ricordarlo così, felice. Perché c'è sempre un altro giro di birra per mandare a nanna i rimorsi e i rimpianti. Michele lo sa e sorride nella foto lucida che hanno messo sulla sua lapide.
Sorride per sempre nella loro ultima estate.

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