venerdì 14 aprile 2006

Destra che occupa

Un libro di Domenico Di Tullio spiega genesi, miti, culti e battaglie dei centri sociali “non conformi”, dove non entra droga e dove con Ezra Pound si costruisce l’alternativa al modello di Action

Destra che occupa: ecco l'identikit
di Annalisa Terranova

domenico di tullioSono quelli che rifiutano di «sbiancarsi nella piscinetta del politicamente corretto». E ancora «quelli geneticamente alterati che non puoi più alterare geneticamente». Quelli che «nel bene o nel male, ma è sempre col cuore». Quelli che rigettano il «vittimismo di maniera», e dicono basta ai «fasci cimiteriali e piagnoni...». Che si sognano “ribelli” alla maniera di Ernst Jünger: attraversano la foresta guardando più avanti, con occhi d’aquila, per trovare la sorgente dove l’acqua è più pura. Minuscole avanguardie, che non si fanno contaminare ma hanno l’ambizione di creare nuove contaminazioni, con la loro musica e il loro linguaggio.
Sono quelli delle “occupazioni nere”, quelli della “destra non conforme”, che a Roma muovono oltre 1500 militanti-attivisti cui si sommano simpatizzanti e osservatori che frequentano i cicli di conferenze, le tavole rotonde, i dibattiti.

La loro esperienza politica e le loro speranze “di lotta” sono ora raccontate in un libroinchiesta  di Domenico Di Tullio (ex-militante di Fare Fronte e oggi avvocato di chi organizza le che risale al 27 dicembre 2003: «Abbiamo occupato uno stabile vuoto da molti anni, abbiamo dato casa a venti famiglie. Siamo Italiani. Non siamo emarginati sociali. Siamo lavoratori, studenti, madri e padri. Tutti precari come voi, non per scelta». Dallo stabile di via
Napoleone III si diffondono, spiega l’autore, vibrazioni “metapolitiche” che hanno origini lontane. Casa Pound esprimerà anche un proprio
candidato alle scorse regionali del Lazio, Germano Boccolini detto Gerri (Lista Storace) i cui manifesti per il “mutuo sociale” hanno monopolizzato l’attenzione per la loro irriverenza (Gerri dava le spalle agli elettori, incuriosiva, rovesciava la propaganda del sorriso facile). Se i guerriglieri urbani del “mutuo sociale” (cui si deve la disseminazione di manichini “strozzati” dalle banche nelle strade di Roma) scelgono Ezra Pound come autore di riferimento, quelli di Casa Montag si ispirano al protagonista del romanzo di Ray Bradbury Fahrenheit 451. «Un eroe romantico – dice Di Tullio – con il singolare destino di difendere i libri, che la società in cui vive vorrebbe tutti divorati dalle fiamme, poiché il sapere conforme è garantito da schermi televisivi grandi come pareti intere. La sua lotta è la lotta contro la globalizzazione...».

I “centri sociali di destra” – è la tesi centrale del libro – non sono e non vogliono essere una scopiazzatura degli antagonisti alla Casarini, non sono i figli minori e di segno opposto del Villaggio globale e di Forte Prenestino. Chi li organizza e li gestisce si richiama ai guizzi creativi della destra dei Campi Hobbit, all’impegno sociale nelle periferie, alla pratica delle organizzazioni parallele che ha dato i suoi frutti rigogliosi con sigle come “Fare Verde”,
alle prime embrionali esperienze di comunità giovanili aperte messe in campo sul finire degli anni Ottanta dal Fronte della Gioventù, come quella di Busto Arsizio, sorta nel 1989 in memoria di due militanti morti in un incidente stradale, uno dei quali era esponente di Fare Fronte. Lì si pratica il mito dell’«alternativa comunitaria», si aggrega in modo differente dalle forme classiche (oratorio, bar, discoteca) senza pregiudizi ideologici, così vivi nei centri sociali “rossi”. Fu un successo enorme, un esempio politico da non dimenticare – spiega l’autore – «nella provincia varesotta devastata culturalmente e socialmente, dove il denaro fresco misura la rispettabilità, dove i giovanissmi lasciano l’inutile scuola per la fabbrica, mentre la crisi si appresta a fare a pezzi il ricordo degli anni del benessere diffuso, un gruppo che arriva a contare 4000 tra aderenti e simpatizzanti diventa la realtà giovanile egemone».
Da quel modello le occupazioni della destra che ama definirsi “non conforme” ereditano l’idea e la pratica dell’apertura al mondo esterno.

«Le vecchie sezioni missine – spiega Di Tullio – erano vissute come riserve indiane, c’era la porta blindata, c’era l’idea di difendersi dal mondo, e i giovani avevano paura di entrare nel “fortino”. A Casa Montag, a Casa Pound e nelle altre Osa si entra senza paura, perché si sentono avamposti in mezzo al mondo, pronti a dialogare anche con i nemici dei centri sociali di sinistra, perché loro fanno dell’antifascismo una religione mentre di qua c’è una cultura diversa, che ritiene superato tutto ciò che è “anti”, compreso l’anticomunismo».
Se la pratica dell’occupazione è comune con i cugini-avversari della rete antagonista, i valori di riferimento sono tra loro irriducibilmente distanti: «I ragazzi delle occupazioni non conformi – continua Di Tullio – vengono dalle periferie, è gente che ha trovato una valida alternativa allo stadio o all’ammazzarsi di canne sotto casa. Rifiutano la droga e ogni mezzo per annichilire il cervello, nelle case del coordinamento non è tollerato né il consumo di droghe leggere né quello di droghe pesanti». E tuttavia la cronaca non registra episodi di epici scontri tra opposte fazioni, quasi come se
antagonisti antifascisti e ribelli non conformi avessero abbandonato la logica dello scontro: contro uno dei centri sociali di destra, il “Foro 753” ubicato al Celio, nell’ex-Casa del popolo di via Capo d’Africa, si è distinta invece per astio e faziosità l’amministrazione comunale capeggiata da Walter Veltroni. Non a caso il primo atto della giunta Marrazzo appena insediatasi alla Regione Lazio è stato lo sgombero dell’occupazione non conforme del Foro 753.
La colpa degli occupanti? Per la sinistra erano “protetti da Francesco Storace”. Lo stabile infatti è di proprietà della Regione e Storace aveva avuto il torto di dialogare con il Foro anziché chiedere l’intervento della polizia.

Guardando alle letture di riferimento di quest’area si scopre una curiosità intellettuale notevole, non inedita a destra (si pensi, appunto, alla stagione creativa vissuta dall’area giovanile alla fine degli anni Settanta, quando Marco Tarchi predicava il “gramscismo di destra”). Troviamo quelle classiche della destra radicale, da Ezra Pound, il poeta antiusura, a Marinetti, Céline ed Evola. Ma accanto agli “auctores” che affollano da sempre il pantheon culturale della destra questi giovani hanno adottato testi «certamente non sospetti di fascismo». «Chuck Palahniuk per esempio – sottolinea Di Tullio – con il suo romanzo Fight Club ha per certi versi spodestato il famigerato Capo di Cuib di Codreanu dal podio di primo libro consigliato, mentre nelle predilezioni di un mondo che fa del vitalismo uno stile di vita non può mancare il classico dell’avventura disegnato da Hugo Pratt, quel Corto Maltese
icona di molti a sinistra. Un caso a parte poi è la figura di Capitan Harlock, che assurge a fascista immaginario d’elezione...».
La cifra identificante del mondo degli occupanti di destra quale può essere, in definitiva, guardando alle esperienze attuali e alle “radici” rivendicate dai protagonisti? «Direi che l’azione metapolitica – osserva l’autore di Centri sociali di destra – è il comune denominatore di questi esperimenti. Per metapolitica si intende quel complesso di attività, sia artistiche che sociali, che coinvolgono i giovani in una prospettiva
di vita e di valori comuni. Non è detto che questo debba avere per forza uno sbocco istituzionale, per esempio in un partito. Ma quello che contraddistingue questi ragazzi è anche il pragmatismo. Se una candidatura può servire per radicare in profondità un’azione utile alle fasce disagiate della società ben venga. L’importante è il risultato,  non lo strumento».

Il Secolo d'Italia, 14/4/2006



Domenico Di Tullio
Centri sociali di Destra
Occupazioni e culture non conformi.
ISBN: 88-7615-105-2
Pagine: 280-euro:14,00
Collana: Analisi

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